venerdì 27 febbraio 2009

L’Oscar Wilde nascosto da Benigni



Oscar Wilde, citato in modo parziale e strumentale da Roberto Benigni durante la serata inaugurale del Festival di Sanremo, ha scritto in carcere un’opera straordinaria: De profundis. Si tratta della lunga lettera che il romanziere e commediografo di successo – almeno fino al processo del 1895 e la successiva prigionia, che hanno stroncato la sua carriera e la sua stessa vita – ha indirizzato ad Alfred Douglas, la causa di tutte le sue disgrazie. Disgrazie fatali. Il capo dei carcerieri aveva previsto: «Morirà entro due anni». Wilde completò il periodo di detenzione il 19 maggio 1897 e morì, quarantaseienne, poco più di tre anni dopo, il 30 novembre 1900.
La lunga lettera – Wilde voleva intitolarla Epistola: In Carcere et Vinculis; il titolo attuale gli è stato dato da Robert Ross, che l’ha parzialmente pubblicata nel 1905 – non può certo essere ridotta a qualche battuta smagliante, del tipo di quelle per cui Wilde era celebre, sull’omosessualità.
Essa è anzitutto e soprattutto una riflessione sulla sofferenza. Dice Wilde di sé: «Gli dèi m’avevano concesso quasi tutto. Possedevo la genialità, un nome illustre, un’alta posizione sociale, una mente brillante e ardimentosa. Qualsiasi cosa toccassi la rendevo bella d’un nuovo genere di bellezza». E adesso? « Le cose esteriori dell’esistenza non possiedono per me alcuna importanza, ora».
Cos’era successo? Wilde aveva colto, in carcere, il significato del patire: «La sofferenza, per quanto ti possa apparire strano, è il nostro modo d’esistere, poiché è l’unico modo a nostra disposizione per diventare consapevoli della vita. Là dove cresce il Dolore è terra benedetta. Gli ecclesiastici e tutti quelli che discorrono a vanvera parlano a volte della sofferenza come d’un mistero. In realtà è una rivelazione».
Come è stato possibile? Attraverso l’immedesimazione con le sofferenze di Cristo. Egli, scrive Wilde, «con una prodigiosa larghezza d’immaginazione che ci riempie quasi di religioso timore, si scelse per regno tutto il mondo dell’inespresso, il mondo senza voce del dolore, e gli prestò in eterno la propria voce». Cristo, «come tutte le nature poetiche amava gli ignoranti. Sapeva che nell’anima d’un ignorante una grande idea trova sempre il suo posto. Ma non poteva sopportare gli sciocchi, specialmente quelli che son resi tali dall’istruzione». Amava, Cristo, anche i peccatori: «Trasformare un ladro interessante in un noioso onest’uomo non era la sua più alta aspirazione. La conversione di un pubblicano in un fariseo non gli sarebbe parsa un gran risultato». Egli «non insegna nulla ad alcuno, ma chi venga semplicemente condotto al suo cospetto, diventa qualcosa».
Cristo, dunque, è stato il vero artista, ciò che Wilde aveva cercato di essere nel successo e stava scoprendo nel carcere: «Il proponimento d’essere più buoni è un bell’esempio d’ipocrita retorica, esser diventati più profondi è il privilegio di quanti hanno sofferto».
Partendo daquesta esperienza di dolore redento, Wilde è in grado di giudicare il mondo che lo circonda. La sua ipocrisia: «Una faccia di bronzo è la cosa più importante da ostentare davanti al mondo ma, se di quando in quando ti capita di restare solo, dovrai bene toglierti la maschera, suppongo, se non altro per respirare. Altrimenti, infatti, finiresti per soffocare». Il suo sentimentalismo: «Un sentimentale è semplicemente uno che vuol godere il lusso di un’emozione senza pagare. Il sentimentalismo è la festa legale del cinismo». La sua menzogna: «La verità è una cosa penosissima a dire. Ma esser costretti a mentire è molto peggio».
La lettera si conclude sullo stesso accento da cui era partita: con una richiesta di perdono. Il suo ultimo insegnamento suona infatti così: «Il momento supremo per un uomo è quello in cui s’inginocchia nella polvere, e si batte il petto, e confessa tutti i peccati della sua esistenza». Perciò, Wilde consiglia a lord Douglas e a ciascuno di noi: «Non aver paura del passato. Se la gente ti dice che è irrevocabile, non crederci. Il passato, il presente e il futuro son solo un momento agli occhi di Dio, alla vista del quale dovremo cercare di vivere sempre».

Pigi Colognesi, Il Sussidiario, 27 Febbraio 2009

ENERGIA/ Tutte le bugie sul nucleare


INT. Elio Sindoni
Elio Sindoni, Professore Ordinario di Fisica Generale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, dal 2007 è Presidente della Fondazione C.E.U.R. (n.d.r)

Il SUssidiario, venerdì 27 febbraio 2009
Non ci sono pericoli oggettivi, spiega Elio Sindoni, in relazione al ritorno delle centrali nucleari in Italia. Centrali sicurissime, scorie rese innocue e sistemi ancor più avanzati in via sperimentale. Senza contare il risparmio economico che le centrali procurerebbero all’Italia. Ma l’ideologia che vede nell’uomo un parassita del pianeta continua a seminare panico

In che modo si produce l’energia nucleare e come mai è così redditizia?

L’energia nucleare, che, occorre ricordarlo, ormai trattiamo da tempo, si produce utilizzando le reazioni di “fissione nucleare”.
Per spiegare in parole povere il meccanismo è il seguente: si prende il nucleo di un atomo e lo si rompe in due parti. L’effetto di questa rottura fa sì che la massa di queste due parti, sommata, sia inferiore a quella di partenza. Questo è segno del fatto che la differenza è stata trasformata in energia, la stessa energia che era racchiusa nell’atomo. Si dà il caso che tale forza sia davvero enorme e che per ottenerla occorra pochissimo materiale. In questo senso è redditizia. Si tratta di un guadagno non tanto in termini di realizzazione delle centrali, che in realtà sono costose, quanto di risparmi di materiale, un investimento nel tempo. Basta pochissimo infatti per alimentare a lungo vaste zone civilizzate che necessitano di molta energia.

Che cosa sono esattamente le scorie? È vero che non c’è modo di eliminarle definitivamente?

Le scorie non sono altro che il combustibile utilizzato per produrre energia, il cosiddetto “fissile”. Per dividere il nucleo dell’atomo occorre “bombardarlo” con neutroni. E per ottenere un simile bombardamento occorre un combustibile radioattivo che emetta particelle, raggi gamma e altro. Finora però non si riesce però a utilizzare il fissile in modo tale che tutta la radioattività di cui dispone sia esaurita. Resta così una radiazione residua che caratterizza la famigerate scorie. Questa non si può eliminare, se non aspettando qualche milione di anni.
Vi sono però vari metodi, assolutamente sicuri, per renderle innocue. Uno di questi consiste nel “vetrificarle” cioè nel renderne il più piccolo possibile il volume.
Comunque, dal momento che alcune di queste possono continuare a emettere per centinaia di migliaia di anni, occorre che siano blindate in luoghi sotterranei dove non ci sia possibilità di intrusioni d’acqua. Ci sono appositi geologi chiamati a ricercare siti speciali per i depositi di scorie.

Come mai da più parti si garantisce con un’assoluta certezza che un eventuale incidente non recherà danni alla popolazione?

Tutti, e a ragione, sono spaventati se ripensano all’incidente di Chernobyl. Ma è bene ricordare che ad oggi sono passati più di due decenni e la tecnologia, non da noi purtroppo ma all’estero, ha progredito notevolmente da allora. In sé un moderno reattore nucleare funzionante non presenta assolutamente alcuna perdita di radiazione ed è uno strumento sicurissimo. Qualora dovesse accadere un incidente come quello ci Chernobyl gli impianti si spegnerebbero automaticamente. Questo perché i reattori di ultima generazione hanno numerosissimi sistemi di sicurezza continuamente attivi.
A questo si aggiunga la protezione fisica di cui sono oggi dotati i reattori. Infatti si trovano all’interno di una struttura progettata per resistere all’urto di un Boeing, insomma a prova di “11 settembre”. È chiaro che la certezza matematica non c’è e non ci sarà mai, ma possiamo tranquillamente affermare che le probabilità di un incidente davvero grave sono precipitate drasticamente. Se paragoniamo i rischi di una centrale nucleare moderna a quelli di una miniera non c’è confronto che regga: quest’ultima continua realmente a mietere vittime, a differenza della prima. E lo scopo è lo stesso, produrre energia.

Dicono che in Italia non c’è l’uranio e che quindi il nostro Paese rimarrà comunque dipendente in quanto dovrà importare tale elemento da altre nazioni. Che cosa ne pensa?

In primo luogo la dipendenza che ci viene dall’uranio non è così massiccia come quella dei combustibili fossili. E poi mi domando come si faccia a sviluppare un’economia in cui l’energia è basata quasi esclusivamente sui combustibili fossili quando quest’ultimi hanno degli sbalzi di prezzo imprevedibili. È difficile anche programmare una tabella di costi.
Comunque, per rispondere compiutamente alla domanda, posso dire che sono a progetto nuovi “reattori autofertilizzanti” in cui il consumo di combustibile è regolato in modo che si riesca a riprodurne sempre di nuovo. Per il momento sono ancora sperimentali. Ci fu una prova famosa anni fa con il reattore “Super Phoenix” in Francia. Andò piuttosto male, ma l’idea rimase valida. Oggi siamo molto più vicini di allora a una realizzazione efficace di tale sistema.

Le energie alternative sono una controproposta realistica? È troppo presto per proporle o non potranno mai sostituire in maniera soddisfacente le fonti attuali?

Personalmente sono a favore delle energie alternative. Per riuscire ad avere nuove centrali nucleari in Italia ci vorranno parecchi anni. D’altra parte sarebbe meglio non continuare a bruciare carbone e combustibili fossili, non tanto per il surriscaldamento globale, perché credo che l’effetto dell’uomo in questo frangente sia abbastanza trascurabile, ma perché che non possiamo permetterci di consumare, in poche centinaia di anni, tutto ciò che la natura ha racchiuso in milioni di anni nella nostra terra. Le centrali a combustibili fossili hanno una tecnologia abbastanza bassa e a mio avviso sarebbe meglio farle utilizzare dai Paesi che non possono permettersi un alto livello di tecnologia come quello delle centrali nucleari.
Per quanto riguarda le energie alternative, possono sì servire e aiutare. L’energia solare va benissimo e ce ne è anche tanta, ma a bassa intensità. Perché non concentrare gli sforzi e gli studi, anziché in crociate contro il nucleare, nel migliorare ulteriormente questo tipo di sfruttamento? Per quel che concerne l’energia eolica nel nostro Paese sono più scettico per un’effettiva assenza di risorse. Un’altra soluzione di cui si parla poco sono le biomasse, l’utilizzo di scarti vegetali e biologici per la combustione.

A quali cause ideologiche o culturali lei riconduce il cosiddetto “fondamentalismo ambientalista”? Che obiettivi si pone e che vantaggi può ottenere una simile posizione?

Non ho idea degli effettivi vantaggi, perché non faccio parte della schiera. Penso che gli ambientalisti abbiano di fondo un’idea dell’uomo che lo dipinge quasi fosse un parassita della terra, un virus che rovina il pianeta. Dietro questa visione risiede un’ideologia convinta che l’umanità possa vivere tranquillamente senza usare energia. Non ci si rende conto che siamo sette miliardi di individui e che quindi ci sono un po’ di problemi di utilities. Non credo, infatti, che ci siano verdi e ambientalisti nei paesi più poveri dell’Africa.

Al di là della costruzione o meno di centrali nucleari nel nostro Paese, qual è il futuro di questo tipo di energia?

L’altro sistema per utilizzare l’energia nucleare, che presenta ancora meno rischi, è la “fusione nucleare”. Questa fusione non produce la minima scoria. In tale procedimento si fanno fondere tra loro due atomi “leggeri” ottenendo un atomo composto da questi, ma con massa inferiore. Anche qui la differenza va in energia. Una dinamica questa che è la più importante dell’universo perché è la stessa per la quale bruciano il sole e tutte le stelle. Le ricerche in questo campo sono iniziate 50 anni fa. Oggi il passo fondamentale verrà effettuato dal reattore sperimentale ITER situato nel centro di ricerca Cadarache in Francia. Questa sarà molto probabilmente la vera energia del futuro.

giovedì 26 febbraio 2009

Nucleare, accordo Berlusconi-Sarkozy: 4 centrali in Italia


E' francese la porta attraverso la quale l'Italia rientra nel settore del nucleare. Alla fine dell'incontro a Villa Madama con il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier Silvio Berlusconi ha firmato un importante protocollo che, tra l'altro, apre la strada alla tecnologia francese nei 4 reattori con cui l' Italia dovrebbe tornare al nucleare dopo 21 anni dal referendum del 1987. Il ritorno al nucleare era uno dei punti del programma del governo Berlusconi."Due importanti accordi, cose concrete"Silvio Berlusconi da' il "cordiale e affettuoso benvenuto" al presidente francese Sarkozy e illustra l'intesa sul nucleare firmata nel vertice italo-francese a villa Madama.Quattro nuove centrali in ItaliaLa cooperazione italo francese vedrà l'Enel rafforzare i suoi rapporti con il suo omologo d'oltralpe, Edf, sia attraverso una joint-venture in Italia, sia nella partecipazione al secondo reattore di nuova generazione Epr (europeaan Pressurized Reactor) di Penly in Normandia.Massima colabroazione fra Roma e Parigi anche in materia di Difesa e per la Tav Torino-Lione che, lo aveva ribadito ieri Berlusconi, "si farà".
"E' il primo vertice del mio governo con l'amico governo francese. I nostri ministri - spiega il presidente del Consiglio - si sono incontrati e hanno fatto il punto sulla relazione tra i nostri due Paesi. In tutti i settori abbiamo visto che ci sono tante cose in piu' che si possono fare, visti i nostri rapporti e la nostra amicizia. C'e' l'intenzione di aumentare le attivita' comuni tra i due Paesi e la nostra presenza in Europa. Ora lavoreremo - aggiunge Berlusconi - per presentarci con un'identica posizione per il vertice di Bruxelles.
http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsId=107996 Rainews24.it, Roma, 24 Febbraio 2009

mercoledì 25 febbraio 2009

DOPO ELUANA QUALE LEGGE PER IL FINE VITA ?

PARROCCHIA SANTA MARIA ASSUNTA QUARRATA





giovedì 26 febbraio ore 20,45
nella sala parrocchiale

interviene in videoconferenza
Giuseppe Dalla Torre
giurista e rettore della Libera Università Maria Ss.ma Assunta (Lumsa) - Roma


seguirà dibattito tra i presenti

Per informazioni: 335 1225618

martedì 24 febbraio 2009

DEMOCRAZIA PARTECIPATA


QUARRATA_ La protesta silenziosa degli artigiani presentatisi con i suoi massimi esponenti provinciali in consiglio comunale è stata interrotta da un sarcastico applauso all’approvazione da parte dei gruppi di Pd e la Sinistra del piano finanziario per l’anno 2009 proposto dal Cis che comporterà come noto un considerevole aumento della Tia per le utenze non domestiche fino al 15 per cento. A nulla sono valsi i tanti appelli di questi questi giorni lanciati anche da altre associazioni di categoria, neppure i cartelli e le bandiere portate tra gli altri dal presidente provinciale Massimo Donnini, da Lamberto Tarocchi (presidente area tessile Quarrata-Agliana-Montale), Lamberto Tarocchi (presidente settore Legno), dal direttore e dal vicepresidente di Confartigianato. Nessuna eccezione al regolamento del consiglio comunale è stata poi fatta e per questo – dopo una sospensione del consiglio comunale - è stata respinta la richiesta avanzata da Mario Niccolai (Fi-Verso il Pdl) di “poter ascoltare la voce di uno dei rappresentanti degli artigiani, la parte più penalizzata dalla crisi che sta attanagliando il Paese”. Il vicepresidente del consiglio comunale Alessandra Migliorini (che sostituiva Massimo Sauleo) aveva poco prima incontrato sia il presidente Donnini che gli esponenti del consiglio di amministrazione del Cis ai quali aveva esposto – anche su sollecitazione del sindaco - la volontà di non voler transigere sulle regole. Subito dopo un incontro di maggioranza e la successiva convocazione dei capigruppo l’amministrazione comunale ha annunciato la volontà di organizzare sul tema della Tia e dei rifiuti un convegno che veda presenti tutte le associazioni di categoria. Una “tregua” è stata chiesta da Confartigianato. “Se avessi potuto parlare – ci ha detto il presidente dell’associazione Massimo Donnini – avrei sicuramente detto a nome delle oltre 1250 aziende che rappresento, che probabilmente anche i nostri politici locali non si stanno rendendo conto fino in fondo della profondità di questa crisi. Non si doveva agire nuovamente sulle entrate per ripianare i debiti e gli errori fatti dal Cis ma occorreva in questa fase difficile pensare ad una drastica riduzione dei costi. Questo avviene in ogni azienda quando si trova in difficoltà ”. “Anche a Quarrata – ha aggiunto - i più fortunati lavorano con listini fermi a 3-4 anni fa e chi fa concertazione non ha più prezzi perché i prezzi del prodotto li fa il lavoro irregolare. E’ inutile quindi meravigliarsi dello stacco tra politica e paese reale”. “Della politica c’è bisogno per uscire dalla crisi”. La protesta di Confartigianato è stata estesa anche ai consigli comunali di Agliana e Montale.

Andrea Balli

Renzi: "Hanno eletto il vicedisastro"


Parla l'emergente: il nuovo leader? E' un'occasione persa
Intervista a Matteo Renzi, www.lastampa.it
FRANCESCA SCHIANCHI, Roma, 23 Febbraio 2009
Il Davide che ha sconfitto Golia, all’Assemblea del Pd non c’era. Matteo Renzi, il giovane presidente della Provincia di Firenze che ha vinto la sua sfida contro l’apparato sbaragliando le primarie per candidarsi a sindaco, è fuori per una vacanza con la famiglia, nei giorni in cui Time lo indica come possibile Obama italiano, parlando di lui per la seconda volta in tre anni (la prima, nel 2006, inserendolo in una carrellata di giovani da tenere d’occhio). Sabato esito diverso rispetto alla sua battaglia: stavolta la dirigenza ha serrato i ranghi, Franceschini è stato eletto, di primarie manco a parlarne. «Sabato è stata un’occasione persa. Non avrei votato Dario: se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione. In questi anni Franceschini è stato una delusione, percepito come il guardiano di Quarta Fase, l’associazione degli ex popolari: basta con questa storia degli ex! Sono pronto a collaborare con lui, ma è fondamentale che cambi praticamente tutto rispetto agli ultimi mesi». Fatto sta che l’opzione primarie è stata sconfitta...«Ho la sensazione che ci sia qualcuno che dice “viva le primarie” finché le puoi gestire; ma quando scopre che non sempre vince l’aficionados del gruppo dirigente, allora comincia a dubitarne». Forse i giovani avrebbero potuto fare di più, magari presentare un candidato alternativo... «Se non avessi lottato a Firenze, io una pensatina a questa cosa ce l’avrei fatta. Non per candidarmi, ma avrei lavorato perché qualcuno potesse farlo: non dico un nome solo, ce ne sono tanti. Se l’unica alternativa a Franceschini è Parisi - il rappresentante dell’ala nostalgica, quello che accende il cero a San Romano - è normale che Dario prenda oltre mille voti». Bersani dice che le primarie ora servirebbero a votare un uomo, non una piattaforma politica. «E’ finita la fase in cui si stabiliva prima la linea, e poi si sceglieva il segretario: oggi è il segretario che condivide, discute e dà la linea». E’ il momento che nel Pd i giovani facciano gruppo? «Potrebbe essere già tardi: sabato era l’occasione. Sogno un movimento non solo di giovani, anche di amministratori, che chiedano ai dirigenti di essere meno autoreferenziali. In politica ci vuole coraggio: a me hanno detto “Tu rifai il presidente della Provincia”, come dire “Ti si piazza”. Io ho deciso di giocare tutte le mie carte sul Comune, dicendo: se perdo, torno al mio lavoro, non mi faccio piazzare da qualche parte. Questo è stato apprezzato: l’idea che qualcuno butti il cuore oltre l’ostacolo. Il contrario della scelta dell’Assemblea». Però anche lei non è un outsider: segretario del Ppi fiorentino nel ‘99, poi della Margherita, poi presidente della Provincia... «Ho fatto il presidente della Provincia perché sono stato cooptato dal gruppo dirigente. Ma la differenza è che fino a tre- cinque anni fa questo sistema reggeva: ora i meccanismi della politica sono cambiati, è cambiato il meccanismo di rappresentanza e ci vuole una rottura. Per questo ho detto no alla nuova cooptazione: o prendiamo il vento del nuovo, o saremo spazzati via. Quei giovani che Veltroni ha portato lavorano con la consapevolezza che si è chiusa una fase e se ne apre un’altra? Si direbbe di no». Si parla già di “modello Renzi”...«Che non esiste. C’è una persona che ha rinunciato a un posto al sole per una scommessa collettiva, ha parlato di futuro in una città che sa di passato, e lo ha fatto con un linguaggio diverso, con una comunicazione fuori dagli schemi». Già, lei è il candidato di Internet. Ma milioni di italiani non sanno nemmeno cosa sia Facebook... «Noi la campagna elettorale l’abbiamo vinta non tanto su Facebook, ma soprattutto davanti ai supermercati, tra la gente. C’è stata una signora di 99 anni che ha chiamato il comitato: “Vorrei votare ma nessuno mi porta”. La siamo andati a prendere e ci ha detto: “Stavolta siete venuti a prendermi voi, se non fate bene la prossima volta vengo a prendervi io...”». La sua vittoria ha lasciato sul campo morti e feriti nel partito. E adesso? «Se fai primarie vere devi accettare il verdetto: chi perde è pronto a collaborare, chi vince recupera il contributo di tutti. La cosa migliore che posso fare per aiutare il partito è vincere le elezioni di giugno: perché se si perde Firenze, suonano le campane a morto».

lunedì 23 febbraio 2009

In anteprima il pezzo di Mario Niccolai, capogruppo di Forza Italia in Consiglio Comunale sul prossimo numero di Quarrata Informa


Quarrata: eccola sotto i nostri occhi. Sono anni che questa città diventa sempre meno attraente, meno vivibile e sempre più inadatta a esprimere la sua vera identità. Duemila battute – quelle che occorrono per l’intervento con cui siamo “ospitati” in casa dell’amministrazione – non bastano. Dal traffico che soffre (eppure non siamo a Parigi), a una piazza in cui nessun quarratino verace riconosce più se stesso, a un’area Lenzi in cui sembra di vivere ad Amsterdam e ci aspetteremmo di vedere un canale su cui si specchiamo le finestrine quadrate del Nord-Europa, dietro le quali si apre un Est postcomunista di spazi metafisici, astratti e assurdi, ecco emergere una città spersonalizzata e a immagine di chi la amministra.
Bella Quarrata degli anni 50, provinciale ma omogenea; senza salti logici e senza offese alla razionalità. E bella quella Quarrata in cui – al contrario di oggi – gli amministratori erano, pur con tutti i loro limiti e peccati, accessibili direttamente per strada e senza tanta bambagia e filtri burocratici.
E i servizi pubblici sono forse migliorati? Quelli, intendo, per il cittadino che ha bisogno di risposte e non di protocolli e cerimoniali. Non credo. Certe scelte, operate negli ultimi due decenni, fanno e faranno sentire a tutti il loro peso: parlo del rifiuto di gestire la Villa della Magia in tandem con l’Università più grande e prestigiosa degli USA, l’UCLA di Los Angeles, un fatto che avrebbe portato vènti di nuove idee e risorse economiche a Quarrata; mentre ora la villa è ridotta a struttura per banchetti e sagre cittadine. E che dire delle scelte della Querciola, anch’esse pozzo senza fondo per glorificare l’idea di un’area-museo naturale che non può avere un futuro se non per le scuole locali del primo ciclo?
Non basta l’invio di pubblicazioni supponenti come il «Noi cittadini del Comune di Quarrata» sotto l’egida dell’Europa dei Diritti, per dare risposte alle necessità concrete e determinanti di ogni giorno. È l’ora, io credo, che tutto questo vegnga detto chiaramente: perché l’amministrazione non si fa con l’immagine e i proclami, ma lavorando, razionalizzando le spese, operando scelte produttive e rinunciando a velleità di parata che si rivelano solo nocive salassate.
È l’ora che i Quarratini diano un’adeguata risposta a uno sperpero miope e ingiusto destinato, giocoforza, a rivoltarsi tutto contro di loro e i loro più santi interessi.

SPAGNA/ L’ultimo affondo di Zapatero sull’aborto



Mercoledì scorso la Camera dei Deputati ha approvato le conclusioni sulla riforma della legge sull’aborto. Il titolo del documento è molto chiaro: “Conclusioni della Sottocommissione sulla riforma della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza nel quadro di una norma sui diritti e la salute sessuale e riproduttiva”.

Lo scorso mese di dicembre il governo ha presentato un Piano dei Diritti Umani in cui si parlava del diritto delle donne che abortivano alla riservatezza nei casi in cui era depenalizzato. Sono passati solo due mesi e già si parla dell’aborto (in realtà si utilizza l’espressione Interruzione Volontaria della Gravidanza, IVG) come di un diritto.

«Oggi - dice il testo approvato - la IVG deve essere analizzata anche alla luce del diritto delle donne a godere della sessualità e a decidere riguardo alla maternità; tale diritto si trova, inoltre, legato ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Costituzione».

Le raccomandazioni della Camera portano a una legge con presupposti e termini temporali che renderanno in pratica possibile un aborto libero. Il progetto che verrà presto approvato dall’Esecutivo raccoglierà letteralmente queste raccomandazioni.

Contrariamente a ciò che prevede la Costituzione cui ci si richiama e contrariamente alla giurisprudenza costituzionale raccolta nella sentenza 53/1985, l’aborto si trasforma in un diritto soggettivo che ha a che fare con la salute. «Non siamo - dice il testo - di fronte a un conflitto tra due diritti fondamentali; gli unici diritti fondamentali sono quelli delle donne».

La soggettivizzazione assoluta dei diritti, che già non riconosce alcun vincolo, tradizione o evidenza, sfocia nella cultura della morte. Ma non contento di questo, il gruppo socialista e i suoi soci del Governo raccomandano di «ricondurre la pratica dell’IVG al regime ordinario, in cui si riconosce alle minori la capacità di decidere autonomamente a partire dai 16 anni».

Permettere alle ragazze di 16 anni di abortire senza il consenso dei genitori significa che lo Stato espropria la paternità. Espropria i genitori e, soprattutto, le figlie, in un momento drammatico, di una relazione decisiva, imponendo la solitudine. È il vecchio sogno del potere: individui soli facilmente manipolabili.

Fernando De Haro, Il Sussidiario, 23 Febbraio 2009

domenica 22 febbraio 2009

Le reazioni

E da sinistra il Prc: «Non ci sarà vera opposizione a governo, vaticano e confindustria»
«Franceschini? Altre sconfitte in vista»
Da Forza Italia dure critiche dopo la scelta del nuovo
segretario: «Ha ripreso la solita tiritera anti-Berlusconi»

ROMA - «La linea esposta da Franceschini è suicida: una miscela di antiberlusconismo forsennato e di elogi incomprensibili del governo Prodi. Su queste basi, il Pd può prepararsi ad altri lunghi mesi ed anni di sconfitte». Lo ha detto Daniele Capezzone, portavoce di Forza Italia. Le reazioni delle altre forze politiche alla linea emersa dall'assemblea nazionale del Pd sono tendenzialmente molto critiche. Soprattutto dal fronte del centrodestra.

Perplessità arrivano anche dalla sinistra del Pd. «L'elezione di Franceschini non è certo una svolta a sinistra - ha detto il segretario del Prc, Paolo Ferrero -. La cosa che mi fa impressione è che non c'è nessuna discussione sui motivi della sconfitta dei democratici. Affrontare questo argomento sarebbe invece l'unica soluzione per fare chiarezza. Spero che da questa crisi il Pd esca finalmente facendo opposizione al governo, alla Confindustria e, quando serve, al Vaticano. Ma temo che con Franceschini non sarà così». Quanto alle alleanza del Prc per le prossime elezioni amministrative, Ferrero ha aggiunto: «Le sceglieremo caso per caso. Dove si può trovare un buon accordo per governare con il Pd difendendo le classi più deboli, lo faremo. Quando questo non sarà possibile ci presenteremo con una lista di sinistra, come temo accadrà in moltissime località»

I facili entusiasmi

Franceschini nuovo segretario del Pd
Veltroni: «Dario è la persona giusta»
Il vice di Veltroni eletto a grande maggioranza, dopo la decisione di saltare le primarie. Resterà fino a Ottobre

ROMA - Dario Franceschini è il nuovo segretario del Partito democratico. La sua elezione è avvenuta al termine dell'Assemblea nazionale del partito che, in mattinata, aveva deciso di nominare subito un nuovo leader, dopo le dimissioni di Walter Veltroni annunciate all'indomani della sconfitta elettorale alle regionali in Sardegna. Franceschini ha ottenuto 1.047 voti; il suo unico sfidante, Arturo Parisi, ne ha conquistati invece solo 92. I votanti sono stati complessivamente 1.258, meno della metà rispetto al numero di delegati che era atteso nei padiglioni della nuova Fiera di Roma per la convention democratica. «Da oggi inizia davvero la stagione dell'unità» è stato il primo commento del nuovo numero uno di Sant'Andrea delle Fratte, che per il suo esordio ha citato una frase di Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini quando erano partigiani: «Se è notte si farà giorno. Noi abbiamo dimostrato che stiamo cominciando a lavorare per costruire un giorno nuovo».primaria. Resterà fino a ottobre
GLI AUGURI DI VELTRONI - «Dario è un uomo politico leale, forte e che crede in quel progetto del Partito democratico come un soggetto nuovo che sia perno del riformismo italiano - ha detto invece Walter Veltroni in una nota diffusa dopo l'esito del voto -. Dario è la persona giusta per guidare il partito verso le nuove sfide che penso potranno vedere per il Pd quei successi che merita. A lui voglio dare un abbraccio e rivolgere il più caloroso e affettuoso augurio di buon lavoro».
http://www.corriere.it/politica/09_febbraio_21/assemblea_pd_segretario_881de254-fff8-11dd-a585-00144f02aabc.shtml

Passaggio burocratico Franceschini eletto segretario di un partito che non c'è


“Se è notte si farà giorno. Lo dicevano due partigiani come Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini e noi ora lavoriamo per costruire un giorno nuovo. Adesso è la stagione dell’unità". Con queste parole si apre l’interregno di Dario Franceschini, eletto nuovo segretario del Partito Democratico dall’assemblea costituente, sia pure tra mille dubbi e cautele.
Sono gli stessi delegati, a stragrande maggioranza, a decidere in mattinata che la sola risposta possibile dopo l’uscita di scena di Walter Veltroni è quella della nomina immediata di un sostituto con pieni poteri, non dunque di un semplice reggente, che possa guidare il partito nei prossimi mesi e traghettarlo fino al congresso di ottobre. Sui 1229 delegati presenti (ma ne erano stati annunciati quasi 3 mila) sono 1.006 quelli che votano per eleggere subito un segretario, a fronte di 207 no e 16 astenuti. Nel pomeriggio viene completata l’opera con l’assemblea che affida a Franceschini 1047 voti. Ad Arturo Parisi vanno 92 preferenze mentre al voto partecipano 1258 delegati.
Alla prova dei fatti, dunque, quello che era stato presentato come il giorno più lungo per il Pd si traduce in un passaggio quasi burocratico, un rito di stanca sopravvivenza, una recita dal copione scontato. Nella grande sala della Nuova Fiera di Roma manca il pathos delle grandi occasioni, è come se nei giorni caldi del dopo-voto in Sardegna le energie si fossero esaurite e ora si facesse fatica a recuperare la rabbia o perlomeno lo slancio necessario a combattere la grande crisi che attanaglia il partito. L’unico che prova a metterci del pepe è il solito Arturo Parisi ma la sua candidatura e il suo tentativo di includere nel Grande Fallimento della dirigenza del Pd lo stesso Franceschini si infrange sul muro dell’impotenza numerica. E così finisce con la “transizione morbida” ovvero con il passaggio delle consegne dal segretario Veltroni al suo vice e con il partito erede del Pci che si consegna a una guida di stampo democristiano. Nei suoi due interventi, però, Franceschini, comprensibilmente, evita di toccare territori di confine o i nervi più scoperti della convivenza tra diversi, citando come valori fondanti del suo mandato la Costituzione, la Resistenza, la laicità dello Stato e l’unità sindacale.
Franceschini disegna quello che sarà il filo rosso del suo mandato. Che sarà a termine ma non sarà, giura, quello di un mero reggente, di un segretario dimezzato. Magari facile preda "delle oligarchie" del partito. Il neo segretario rassicura che non c’è nessun 8 settembre del Pd: "Non è il momento della delusione, della paura, della fuga ma quello della raccolta delle forze per dare vita a una lunga battaglia civile". Ci tiene Franceschini a fugare lo spettro delle divisioni, dei passi indietro e in ultima analisi della dissoluzione. "Non ho fatto patti, non avrò padrini e protettori, non sono qui per preparare il mio futuro personale". La sala esplode in un applauso. Ma Franceschini avverte: "Non faccio trattative e chi batte le mani adesso non mi chieda domani di nominare qualcuno”. C’è spazio per un excursus sul recente passato, dalle difficoltà del Pd, alle dimissioni di Veltroni ("i suoi errori sono i miei errori") fino Romano Prodi e l'Ulivo di cui rivendica l'esperienza. Per il presente preferisce, invece, imbracciare il copione più antico: quello dell’affondo contro Berlusconi e il suo governo “che nega la crisi e che vuole diventare padrone dell'Italia, sfruttando una ragazza morente per attaccare la Costituzione”. Ma anche alla Chiesa il cattolico Franceschini manda precisi segnali rivendicando la laicità dello Stato. Parole che la sala accoglie con un lungo applauso. E che fanno storcere il naso alla cattolica Paola Binetti che non nasconde il proprio disappunto.
Per quanto riguarda la gestione pura, l’aspirazione è quella di mandare in pensione il partito-liquido e recuperare il radicamento con il territorio. Niente più governo-ombra ma soprattutto “basta con le interviste sulle nostre divisioni - tuona Franceschini - gli scontri si fanno in casa e non sui giornali e sulle televisioni". Infine un omaggio al suo predecessore. "E' tornata la fiducia e la voglia di combattere e se è tornata è grazie a Walter, che nel suo atto d'amore verso il Pd è stato l'unico ad aver capito che serviva una scossa". In una giornata dalle polveri bagnate il protagonista dell’unica contestazione frontale è Gad Lerner, nella sua qualità di membro dell’Assemblea Costituente. «Rischiamo di farci ancora una volta molto male a non parlare con il Paese e a illuderci di trovarci compatti dietro un gruppo dirigente che ci ha portato di sconfitta in sconfitta». Per lui scatta un’ovazione. Chiedendo a gran voce le primarie, Lerner si inoltra nel territorio polemico: «Come mai qui oggi non si presenta Bersani, per quando si annunciano le candidature? A cosa si rinvia la propria assunzione di responsabilità? Già una volta Bersani ha ammesso di aver fatto una grossa cavolata a non presentarsi – sottolinea - non vorrei che oggi la facessimo noi, se ci chiudessimo dentro a un gruppo dirigente che deve essere fortemente ricambiato. Il problema vero del Paese oggi è un’ opposizione che non c’è».
StefanoFolli, L'Occidentale, 22 Febbraio 2009.

venerdì 20 febbraio 2009

TV/ I successi di Sanremo e del Grande Fratello: quando trionfa il relativismo



Invece di usarlo per sostenere le mie ossa di jedi millenario, avrei volentieri usato il mio bastone per accarezzare la schiena degli 8 milioni che la sera della morte di Eluana hanno guardato il Grande Fratello. Non tanto per aver guardato un programma di intrattenimento invece di seguire noiose pseudo-dirette che inquadravano il cancello della Casa di Riposo dove si era concluso il dramma, quanto per aver guardato intenzionalmente un programma che mette in mostra sentimenti fasulli, e pianti e lacrime per motivi del tutto ingiustificati e inesistenti. Mentre c’era da piangere e commuoversi sul serio per ben altro.

Il mio bastone lo userei anche per gli oltre 14 milioni (di male in peggio!) che hanno guardato la prima serata del Festival di Sanremo. Non perché si trattasse del Festival della canzone italiana (che male c’è, in fondo, a distrarsi seguendo una gara canora?), ma perché buona parte di questi telespettatori sono caduti nella rete abilmente costruita da Bonolis, Del Noce & C. Scandali annunciati e coltivati (la canzone anti-gay di Povia, con Grillini dell’Arcigay - invitato in sala - cui è stato dato un microfono per replicare…), sbandieratissima “partecipazione” di Mina (che ha cantato virtualmente da par suo, ma sullo sfondo di un video assai modesto), grande attesa per Benigni che ha gestito anche lui da par suo il solito repertorio di smargiassate antiberlusconiane, seppellendo la povera Zanicchi (che se l’è davvero cercata, per la verità) sotto una montagna di trivialità. Finendo sul registro del “politically correct” con la recita di una famosa lettera di Oscar Wilde al suo giovane e maschio amante, e concludendo che quello che importa è l’amore, che sia poi etero, omo, chi se ne frega, tanto è tutto uguale.

Ci vogliamo scommettere che i critici del settore, che erano pronti a crocifiggere Del Noce e Bonolis, per via dei grandi ascolti li dichiareranno salvatori della patria per aver impedito al Festival di naufragare come meriterebbe? Lascio agli esperti analisi più approfondite, a un vecchio saggio preme assai di più sottolineare la gravità del momento che stiamo vivendo, dove tutto ruota intorno a un valore semplicemente quantitativo (l’audience), mentre di qualitativo non c’è più niente.

Alla prima serata del Festival le proposte musicali erano assai modeste, i cantanti di lungo corso (Mina a parte) pallide imitazioni di se stessi, giusto un paio di giovani promesse non male. Al Grande Fratello la “conversatio” tra gli abitanti della casa è a un livello che al confronto i camionisti sembrano membri dell’Accademia della Crusca. Bonolis e Benigni si sentono eroi per aver portato al grande pubblico di Sanremo la battaglia sociale per la parità sociale dei sessi (ma non tra uomo e donna, bensì tra etero e omo!).

In definitiva, commentava qualcuno all’interessante chat organizzata durante la prima serata da ilsussidiario.net, tutto si è risolto in un grande esempio di relativismo: etico, musicale, estetico. Ecco il vero punto: alla tv di oggi la verità, la dignità, la cultura, il rispetto dei valori non interessano. Tutto va bene purché si faccia audience.

Così che Bonolis possa dire di essersi meritato il suo milione (più le telepromozioni, ci hanno fatto notare), Benigni altri soldi & ovazioni, e Del Noce possa continuare a distribuire tonnellate di relativismo quotidiano, insieme alla sua costante presenza dalla prima fila di ogni programma. Ma cosa avete fatto voi umani per meritarvi un simile triste destino?

Yoda, Il Sussidiario, 19 Febbraio 2009

giovedì 19 febbraio 2009

Dobbiamo interrogarci tutti sulla responsabiltà personale di chi prende certe decisioni


ALLARME SICUREZZA
"Quel rumeno non è pericoloso"
Dopo la scarcerazione del tunisino che poi stuprò la ragazzina in via Mattei, i giudici di Bologna di nuovo sott'accusa. L'estate scorsa annullarono l'espulsione di uno dei due romeni che lo scorso 14 febbraio hanno violentato a Roma una 14enne. Nonostante i precedenti, non lo ritenevano pericoloso

LO STUPRATORE rumeno che ha violentato «per dispetto» una quattordicenne a Roma, secondo il Tribunale di Bologna non era un soggetto pericoloso e quindi non andava rispedito in Romania. Già al centro di polemiche per aver rimesso in libertà il tunisino che giorni fa ha stuprato una 15enne in via Mattei, il Tribunale presieduto da Francesco Scutellari torna dunque nell’occhio del ciclone, tanto che il ministro della Giustizia Alfano ha incaricato gli ispettori di avviare accertamenti sul nuovo caso.
ALEXANDRU Isztoika Loyos, il romeno di 20 anni che l’altra notte ha confessato lo stupro di una quattordicenne nel parco della Caffarella a Roma, il 15 luglio 2008 non fu rispedito in Romania, nonostante un decreto di allontanamento emesso dall’ex prefetto di Roma Carlo Mosca, perché un giudice bolognese della seconda Sezione civile decise diversamente (per il tunisino, aveva invece deciso il Riesame). «Non è pericoloso», è stata la conclusione del giudice onorario Mariangela Gentile, che ha annullato il provvedimento del prefetto. Loyos aveva precedenti per lesioni, minacce, rapina, ricettazione e una condanna per furto. Proprio dopo aver scontato quella condanna era stato scarcerato il 12 luglio scorso a Viterbo: a quel punto era ancora pendente il decreto di allontanamento emesso dal prefetto. Quel tipo di provvedimento era stato introdotto nel novembre 2007 da un decreto legge del Governo Prodi subito dopo la brutale aggressione a Giovanna Reggiani a Roma. La nuova norma permette di ordinare il rimpatrio anche di cittadini comunitari (fra cui, ovviamente, i rumeni) se ritenuti socialmente pericolosi.
COME DETTO, il 12 luglio Loyos (che non ha commesso reati in Emilia Romagna) fu scarcerato a Viterbo e, in attesa del rimpatrio, fu portato nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione, l’ex Cpt) di Bologna, visto che nel Lazio non c’era posto. Per questo il fascicolo è finito sul tavolo del giudice bolognese, il cui compito era convalidare l’allontanamento (per la convalida delle espulsioni degli extracomunitari è competente invece il giudice di pace). Tre giorni dopo si è svolta l’udienza: nonostante i precedenti e nonostante il parere dell’ex prefetto di Roma e del questore di Viterbo, il giudice ha però ritenuto non sussistente il requisito della pericolosità sociale. Alexandru è perciò uscito quello stesso giorno, cioè il 15 luglio, e ha potuto fare ritorno a Roma, con le conseguenze che si conoscono.

SCENARIO/ 1. Polito: Veltroni è morto di berlusconismo


INT. Antonio Polito
mercoledì 18 febbraio 2009

Veltroni è stato alla fine irremovibile. «Se io sono il problema, allora me ne vado» ha detto senza mezzi termini al quartier generale del partito, riunitosi ieri dopo la pesante sconfitta in Sardegna. E l’esame di coscienza dopo il voto isolano si è così trasformato in una bufera che manda definitivamente all’aria un progetto nato solo un anno fa.
Ora dunque per il centrosinistra non c’è solo un partito da ricostruire, ma un’intera strategia politica, e il modo stesso di concepire l’opposizione e la possibile alternativa al governo in carica. Un’operazione lunga e complessa che, secondo il direttore del Riformista Antonio Polito, non può che passare attraverso una faticosa guerra di trincea, durante la quale ripensare alla strategia delle alleanze e, soprattutto, a come recuperare il contatto con il Paese reale.

Direttore, sulla convulsa giornata politica di ieri, sfociata nelle dimissioni di Veltroni, ha pesato solo la sconfitta in Sardegna, o ha giocato un ruolo anche la vittoria dell’outsider Renzi (osteggiato dal gruppo dirigente del Pd) alle primarie di Firenze?

La vittoria di Renzi Veltroni si preparava già a presentarla come una vittoria del sistema delle primarie: anche se il suo candidato usciva sconfitto, ci si poteva pur sempre aggrappare alla bontà del metodo. Invece la sconfitta in Sardegna è stata una dèbacle politica di dimensioni enormi, con un distacco tra la coalizione politica di centrosinistra e quella di centrodestra intorno ai diciotto punti percentuali. Le elezioni politiche e due elezioni regionali hanno dimostrato che il Partito democratico non è competitivo; e questo avviene sia quando ci si presenta quasi vergognandosi del governo precedente (come nel caso dell’Abruzzo), sia quando lo si esalta (come in Sardegna).

Al di là del pesante dato numerico, qual è stato l’elemento tanto grave di questa sconfitta, da giustificare le dimissioni del leader?

Il dato che deve far riflettere più di tutti è che ci troviamo in una situazione difficile per il Paese: non solo c’è una grave crisi economica, ma c’è anche una crisi di ordine pubblico, legata ai fatti di delinquenza dell’ultimo periodo. Al colmo di tutto questo, il governo si rafforza. Ebbene, questo dal punto di vista politologico è una assoluta anomalia, perché è noto che le situazioni di crisi dovrebbero spingere l’elettorato verso l’opposizione, e non il contrario. Questo significa che siamo di fronte a un’opposizione che, come direbbero gli inglesi, non è “electable”, non è eleggibile.

Le alternative alla leadership di Veltroni, come ad esempio la strategia di D’Alema che addirittura rilancia l’alleanza con Rifondazione, escono anch’esse sconfitte da questa situazione, o sono piuttosto rafforzate?

Quello che è risultato chiarissimo dalle elezioni di Abruzzo e Sardegna è che se la coalizione tutta insieme non ce la fa, figurarsi il Pd da solo. L’ipotesi dell’autosufficienza del Pd è uscita chiaramente sconfitta da questo voto, dato che anche con alleanze più larghe non riesce non dico a insidiare, ma nemmeno ad avvicinare l’avversario. Ora è chiaro che c’è bisogno di ricostruire un sistema di alleanze, e che tali alleanze difficilmente possono escludere l’Udc (in Sardegna si è visto che quando l’Udc va col centrodestra non c’è partita). Quindi è la stessa base del progetto veltroniano – l’autosufficienza del Pd – che è stata stravolta da questo risultato.

L’ipotesi di aprire all’Udc rilancia la strategia di Rutelli?

Innanzitutto bisogna considerare che la possibilità di un’apertura all’Udc dipende in primo luogo dall’Udc stesso, e non dal Pd. L’impressione invece è che il partito di Casini si trovi molto bene nella condizione attuale, dove può scegliere alleanze variabili a seconda delle circostanze politiche. C’è poi da considerare un secondo aspetto: l’Udc raccoglie molti voti dai cattolici delusi dall’esperienza del Partito democratico, e quindi al momento non ha alcuna convenienza in un’alleanza a sinistra. Questi sono problemi che stanno prima di ogni considerazione sulle strategie centriste del Pd.

Uno sguardo sulla maggioranza: in che modo il voto in Sardegna rafforza il centrodestra?

Il voto rafforza molto la figura di Berlusconi. Il presidente del Consiglio, infatti, ha vissuto in queste settimane i primi segni di tensione e di logoramento all’interno della maggioranza, nei rapporti con Fini e la Lega. Una sua vittoria così personale, con un candidato scelto da lui e una campagna elettorale fatta solo da lui, certamente rinsalda la maggioranza di centrodestra e la rimette un po’ in riga sotto la leadership berlusconiana.

Cosa dovrebbe fare allora il centrosinistra per scalfire il potere sempre più solido di Berlusconi?

Il Pd deve prepararsi secondo me a una lunga guerra di posizione, una guerra di trincea. L’ipotesi dello sfondamento basata sull’imitazione del partito personale berlusconiano è fallita. Il progetto stesso è fallito; e in ogni caso, se anche eventualmente si fosse tentati di riprovare la via leaderistica, non sarebbe certo Veltroni a poterla incarnare di nuovo. Il Pd deve allora prepararsi a ricostruire le sue forze, e a ricostruire soprattutto il suo radicamento nella società (credo infatti che ora sia un partito molto lontano da tutti i luoghi dove gli italiani lavorano). E poi costruire un sistema di alleanze politiche che renda credibile la sua alternativa di governo. Chi va a votare deve poter credere nella possibilità, anche numerica, che la forza politica cui dà il proprio voto possa essere maggioranza in Parlamento.

ISTRUZIONE/ Ecco come sono iniziati i guai della scuola media italiana


La proposta di una scuola media, distinta dai successivi percorsi della scuola secondaria, ha una lunga gestazione. Essa è emersa per la prima volta all’inizio del secolo scorso nel quadro del riformismo giolittiano
Nel 1905 la Commissione Reale istituita dall’allora Ministro della PI on. Bianchi propone che dopo la scuola elementare, appena riformata dalla Legge Orlando (1904), venga istituito un corso quadriennale unico, senza latino, che si sostituisca al ginnasio e alle scuole tecniche inferiori previsti dalla Casati e che dia la possibilità di proseguire gli studi nei tre differenti indirizzi: scuola normale, istituto tecnico, liceo, a sua volta articolato in moderno e classico.
Questa scelta, maggioritaria nella Commissione, trovò forti e motivate opposizioni, tra cui sono particolarmente interessanti quelle emerse nella sinistra liberale e socialista.
Salvemini e Galletti ad es. obiettano che questa scuola non può essere contemporaneamente “scuola preparatoria alla prosecuzione degli studi e scuola complementare fine e se stessa” sottolineando anche che questa situazione sarebbe “innaturale rispetto alle condizioni degli allievi…inaccettabile dal punto di vista pedagogico perché (questa scuola è) costretta a scegliere tra le diverse attese o a diventare un ibrido in grado di scontentare tutti”. Si rileva inoltre che essa nasce per “difendere la scuola classica dall’attacco della scuola tecnica”, fortemente in crescita per il modificarsi delle condizioni economiche in particolare nel nord dell’Italia. Viene ribadita l’opposta esigenza di mantenere i corsi professionali ‘aperti’ verso l’alto per mantenere una loro specifica dimensione culturale.

La riforma Gentile (RD 1923) rappresenta un tentativo di conciliare le due opposte tendenze.
Essa conferma la specifica identità dei diversi percorsi di istruzione, distinguendo un grado inferiore e uno superiore.L’obbligo scolastico viene portato a 8 anni, cinque di scuola elementare più tre di una qualunque scuola secondaria (con esame di ammissione al primo anno) se si intende proseguire negli studi, o di scuola complementare (dopo qualche anno diventata avviamento al lavoro) se si intende concludere così il proprio curricolo.

Il vero grande cambiamento avviene con la Carta della Scuola presentata da Bottai al Gran Consiglio del Fascismo nel 1939.
Tra le molte innovazioni proposte, tutte volte a dare finalmente al sistema scolastico italiano una impostazione coerente alla ideologia del regime, solo due vennero realizzate: l’Ente Nazionale per l’Istruzione Media e Superiore (ENIMS) «organo di propulsione, coordinamento e controllo di tutta la scuola non regia di questi due ordini» e, nel 1940, la ‘scuola media unica’, con l’insegnamento del latino, che sostituisce il triennio iniziale di tutti i corsi di scuola secondaria previsti dalla riforma Gentile.
«La scuola media, con i primi fondamenti della cultura umanistica e con la pratica del lavoro, saggia le attitudini degli alunni, ne educa le capacità e, in collaborazione con le famiglie, li orienta nella scelta degli studi e li prepara a proseguirli». Ad essa si accede con un esame di ammissione e si chiude con un esame di licenza il cui risultato «…si esprime con uno dei seguenti giudizi: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente, affatto insufficiente» che propongono «…un giudizio complessivo e motivato: 1° sulle capacità generali e sul profitto di ciascuna disciplina; 2°sull’energia e continuità del volere; 3° sulla disposizione a proseguire gli studi; 4° sulle qualità morali dimostrate, anche in rapporto alle attività svolte nelle organizzazioni giovanili».
Alla SMU si affiancavano, per il completamento degli otto anni di obbligo scolastico, la scuola di avviamento al lavoro, volta alla preparazione della mano d’opera per l’industria, e la scuola artigiana volta al completamento del percorso scolastiche delle popolazioni rurali.

Nel 1962 la legge 1859 istituisce la nuova Scuola Media Unica con il compito di rendere uguale l’istruzione obbligatoria prevista dalla Costituzione. L’avviamento e la scuola post-elementare vengono abolite.
Ciò avviene dopo un duro confronto con quanti, anche in difesa dei maestri, ritenevano opportuno mantenere in unico contenitore, la tripartizione del percorso triennale obbligatorio successivo alla istruzione elementare.
Occorre notare che in molte delle scelte compiute pongono questa legge in continuità con le linee di riforma della precedente legge sulla scuola media e che la legge contiene anche indicazioni pressanti per una sua compiuta e rapida estensione su tutto il territorio nazionale e a tutti i ragazzi.
«“In attuazione all’art.34 della Costituzione l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratuitamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di 1° grado. La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta della attività successiva» (art.1).
«Entro il 1° ottobre 1966 la scuola media sarà istituita in tutti i comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti ed in ogni altra località in cui si ravvisi la necessità dell’istituzione stessa…». Vengono inoltre istituite classi di aggiornamento per il recupero della scolarizzazione (art.11) e classi differenziali per l’inserimento degli handicappati (art.12)

La riforma prevista dalla legge 1859 rappresenta però solo l’inizio di un percorso che avrebbe dovuto coinvolgere tutta l’istruzione secondaria (cfr i risultati della Commissione Biasini che dieci anni dopo propone l’unificazione dell’intero percorso dell’istruzione secondaria).
Questo percorso, come è noto, troverà ostacoli insormontabili, ma ciò non toglie che ugualmente l’intervento legislativo proceda al perfezionamento del modello attraverso una serie di norme emanate alla fine degli anni settanta (n.348/77 modica la legge togliendo le opzionalità, lavori maschili e femminili, ecc.; n.517/77 sulla valutazione dell’alunno abolizione degli esami di riparazione scuola dell’obbligo) che culmina, con i nuovi programmi (DPR 50/79 “Programmi, orari di insegnamento, prove di esame per la scuola media statale») che, anche nella forma, appaiono come una vera e propria “riforma didattica”.
Dalla premessa generale, di cui è significativa anche solo la articolazione:
1. Il dettato costituzionale
(si citano per esteso gli artt. 34 - istruzione obbligatoria e gratuita - e 3 - compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…- ).
«Al raggiungimento di questi fini è diretta e ordinata la scuola media nella sua impostazione educativa e didattica, nelle sue strutture, nei suoi contenuti programmatici».
2. Gli interventi legislativi, richiamati analiticamente
L.1859/62 «ha istituito la scuola media unica, obbligatoria, gratuita, secondaria di primo grado».
L.348/77 «ha perfezionato il processo di unificazione eliminando il principio della facoltatività, estendendo in pari tempo l’area delle discipline obbligatorie tutte aventi uguale valore e dignità e introducendo notevoli innovazioni nella impostazione dell’educazione linguistica, … scientifica, … tecnica».
L.517/77 «ha rafforzato la capacità democratica delle strutture della scuola media, ponendo al centro dei suoi interventi la programmazione educativa e didattica dalla quale discendono nuovi criteri di organizzazione del lavoro scolastico, nuovi strumenti valutativi e corrispondenti iniziative di integrazione e sostegno».
3. Principi e fini generali della scuola media
a- «scuola della formazione dell’uomo e del cittadino … in quanto si preoccupa di offrire occasioni di sviluppo della personalità in tutte le direzioni … favorisce, anche mediante l’acquisizione di conoscenze fondamentali specifiche, la conquista di capacità logiche, scientifiche, operative e delle corrispondenti abilità e la progressiva maturazione della coscienza di se e del proprio rapporto con il mondo esterno».
b. «scuola che colloca nel mondo … (in quanto) … aiuta l’alunno ad acquisire…riconoscere … comprendere …»
c. «scuola orientativa … in quanto favorisce l’iniziativa del soggetto per … conquistare la propria identità … operare scelte realistiche … fondata su una verificata conoscenza di se».
d. «scuola secondaria nel quadro della istruzione obbligatoria … si colloca all’interno del processo unitario di sviluppo della formazione, che si consegue attraverso la continuità dinamica dei contenuti e delle metodologie, … Come tale non è finalizzata all’accesso alla scuola secondaria superiore … pur costituendo il presupposto indispensabile per ogni ulteriore impegno scolastico».
I limiti di una impostazione che intende coprire e controllare tutti gli aspetti della crescita e della conoscenza sono già allora evidenti come pure l’asfitticità in cui il quadro normativo obbliga l’atto dell’insegnamento. Le spinte che dalla scuola media sono arrivate alla scuola elementare prima (programmi del 1985 e Legge 148 del 1990) e alla scuola secondaria (sperimentazioni Brocca per il biennio e “Progetto 92” proposto da Martinez per l’istruzione tecnica e professionale) hanno contribuito in modo rilevante a segnare uno scenario in cui interrogativi e problemi appaiono nettamente dominanti rispetto a risposte e risultati.

Felice Crema, il Sussidiario, 18 Febbraio 2009.

mercoledì 18 febbraio 2009

ELEZIONI SARDEGNA/ Folli: la vera sconfitta del Pd? La vittoria di Renzi a Firenze


INT. Stefano Folli
martedì 17 febbraio 2009

Cappellacci batte Soru 51 a 42: peggio di così per il Pd non poteva andare. Una sconfitta totale, che per un particolare scherzo del destino coincide anche con la vittoria alle primarie di Firenze di Matteo Renzi, osteggiato dal gruppo dirigente del partito.
Due sintomi evidenti di una crisi profonda da cui, secondo l’editorialista del Sole 24 Ore Stefano Folli, il partito deve uscire al più presto, se vuole avere un futuro.

Folli, gli errori della sinistra sono stati moltissimi: dovendo fare una sintesi, hanno pesato di più gli errori di Veltroni o quelli dei suoi avversari?

La sinistra è entrata in una crisi talmente grave che è difficile fare distinzioni di questo genere. Ci sono stati nell’ultimo periodo momenti diversi in cui si è manifestata sempre e comunque una profonda debolezza politica e un’incapacità di definire le caratteristiche politiche di questo centrosinistra. È dunque qualcosa che va al di là degli errori singoli. Si è creato un cortocircuito in cui l’unica cosa che conta è l’assoluta povertà della strategia e l’inconsistenza complessiva del gruppo dirigente. C’è naturalmente anche la debolezza dei competitori di Veltroni; ma è nel complesso il gruppo dirigente che a mio avviso viene definitivamente delegittimato.

E non è certo un caso la concomitanza con la vittoria, nelle primarie di Firenze, dell’“outsider” Matteo Renzi.

In effetti il dato della Sardegna va letto insieme a quello di Firenze, altrimenti non se ne capisce la portata. In Sardegna, infatti, ci sono anche fattori locali, legati pure alla figura di Soru. Ma a Firenze il gioco è stato tutto interno al partito: erano primarie, e quindi si trattava di testare il rapporto con la base. Ed è stato un disastro: il partito e il gruppo dirigente non hanno alcuna influenza sulla gente, e le realtà locali vanno avanti con logiche proprie. Non a caso questo Matteo Renzi è un personaggio trasversale: è cattolico, è legato a Rutelli (che adesso è il più critico verso il gruppo dirigente romano) e a Firenze è percepito come un personaggio che paradossalmente potrebbe essere candidato anche dall’altra parte. Il gruppo di dirigente ha perso i contatti con la realtà, ed è la caratteristica tipica dei momenti di crisi.

La vittoria di Renzi può rafforzare la posizione di Rutelli?

Secondo me è soprattutto una vittoria contro il gruppo dirigente, locale e nazionale. Che poi lui sia personalmente amico di Rutelli è un fatto, ma non è quello il punto essenziale. Rutelli potrà forse anche avvantaggiarsi di questo elemento; ma ciò che conta è capire il significato profondo di questo risultato.

E l’alternativa dell’ala dalemiana? Oggi D’Alema parla anche di un possibile ritorno all’alleanza con Rifondazione.

Il disegno veltroniano era quello di fare del Pd un partito “pigliatutto”, sul modello del partito laburista inglese, che occupa indistintamente la sinistra e il centro. Ed è un progetto fallito. La strategia di D’Alema è invece di impianto classico, e consiste nel riconoscere e nel tornare a dire “siamo una forza socialdemocratica”, e su questa base ricostruire un rapporto con l’ala sinistra, riconoscendola come parte radicale, ma facente parte dello stesso mondo. Va tutto bene, se non fosse che in questo momento bisogna far poggiare queste idee sulle gambe degli uomini, trovando l’uomo giusto. E anche sperare che non sia troppo tardi. Io invece ho la netta impressione che in questo momento il centrosinistra sia davvero a un punto molto basso.

È dunque perduta ogni speranza di recupero per il centrosinistra?

In politica nulla è per sempre, ma in questo momento Berlusconi è arrivato ad avere un consenso impressionante. Il voto sardo, anche come quantità, è una lezione. D’Alema e altri cercano di mettere in campo una strategia; però è una strategia che ha bisogno di molto, moltissimo tempo per essere costruita. E questo significa altri scossoni, altre lacerazioni. Non so quanto se lo possano permettere. Fermo restando che qualcosa devono fare, dato che questa idea in cui sono vissuti un anno, del partito che fa fuori Prodi perché troppo legato all’estrema sinistra e poi costruisce un’alternativa neo-laburista, è fallita.

Anche la vittoria del Pdl però lascia aperti degli interrogativi: dietro al successo numerico, non c’è il rischio di riproporre lo schema della perenne campagna elettorale?

Non c’è dubbio che questo sia il limite grave di Berlusconi: lui dà il meglio nelle campagne elettorali. Non a caso le ama in questo modo. Abbiamo avuto il caso abbastanza singolare di un presidente del Consiglio che in un momento di forte crisi economica passa grandi giornate in Sardegna a fare campagna per un’elezione minore. È una situazione curiosa. D’altra parte lui fa un ragionamento che ha una sua logica, seppure un po’ spregiudicata: finché riesco ad avere un rapporto diretto con l’opinione pubblica apro costantemente la crisi dei miei avversari, e quindi ottengo una investitura popolare che si rinnova. Questo non si concilia esattamente con l’idea di un governo che agisce e si applica a trovare la soluzione dei problemi, ed è il limite del Pdl, che rischia di essere una grande macchina elettorale, ma di non essere poi adeguato all’azione di governo.

Che conseguenze ha sul lungo termine questo atteggiamento?

Questo è un Paese che ha un enorme bisogno di riforme radicali: la maggioranza ha un consenso molto forte, e potrebbe farle. Invece siamo in una condizione in cui tutto sommato non vediamo le riforme procedere speditamente. Certo, si parla tanto di federalismo fiscale, ma è una cosa molto generica, perché poi non ci sono i fondi per realizzarlo. Sono progetti molto belli, ma lontani nel tempo. Le riforme essenziali che dovrebbero cambiare la vita degli italiani non vengono affrontate con la sollecitudine necessaria. Una vittoria come quella in Sardegna è importante, ma lascia insoddisfatta la domanda di governo che l’Italia ha. Ed è solo sulla risposta a questa domanda che si può costruire un vero, stabile e solido rapporto con gli italiani.

martedì 17 febbraio 2009

Amarcord: le migliori perle di Veltroni


Uolter ha gettato la spugna. Umanamente dispiace, in fondo la sua intenzione iniziale era buona e non era sicuramente il peggiore nel centrosinistra, anzi.
Tuttavia mi pare giusto ricordarlo con qualche sua perla storica
La più famosa (che ora potrà mettere in atto) è
Tra 5 anni avrò concluso la mia carriera politica e andrò in Africa
E mi sembra giusto ricordare qualche sua perla storica in campagna elettorale
Stiamo assistendo alla più spettacolare rimonta della storia politica italiana
e ancora
Noi siamo come la nazionale di Bearzot, siamo partiti in sordina e poi, come gli azzurri con l’Argentina, il Brasile e la Polonia, siamo arrivati alla finale. Il 13 aprile sarà la nostra finale
e ancora #2
Grazie Nordest. Grazie della fiducia che mi date e della forte spinta per cambiare questo Paese. Mi fa enormemente piacere l’accoglienza del Veneto, sono cadute le difficoltà di comunicazione. Adesso ci possiamo capire meglio: noi vogliamo quello che questa parte di Italia vuole”
“Mai come oggi c’è una sintonia tra Nord-Est e Pd. Ora possiamo vincere la nostra sfida riformista”

e ancora #3
Sono fiducioso, pronto a giocare – e spuntarla - al tie-break
e ancora #4
Ora siamo a un’incollatura e faremo insieme l’ultimo miglio della volata
e ancora #5
ho parlato di altre cose che interessano le persone come le cure odontoiatriche perchè la gente ha diritto al sorriso
sulla situazione del PD in questi mesi
Il Pd nei sondaggi è intorno al 30 per cento e continua a salire. È un grandissimo successo. Siamo in condizione di crescere ulteriormente». Assicura: «È il momento di dare ai cittadini un messaggio vero». Perché, aggiunge, «è un luogo comune dire che il Pd è in crisi, come fa il circo mediatico dei vignettisti»
dopo il Trentino
I risultati delle elezioni in Trentino sono un importante segnale di valore nazionale, e confermano come anche nel nostro Paese il clima stia cambiando. Tutto questo si inserisce in un mutato clima politico e sociale dell’Italia nei confronti del governo Berlusconi. Sono gli italiani che mostrano di considerare l’esecutivo sempre più inadeguato rispetto ai problemi dei cittadini e delle famiglie, alle grandi questioni economiche e finanziarie che investono un Paese che rischia il declino
Ci mancherai Walter, come potremo svegliarci la mattina senza una tua banalità, qualche tua frase che non vuol dire nulla, i tuoi commenti immaginifici, i tuoi storici ma anche. Che tristezza
Se volete contribuire con qualche perla di veltroniana memoria, scrivetela nei commenti e la aggiungerò

La polpetta avvelenata di Barak Veltroni


Veltroni si è dimesso, dopo la bruciante sconfitta in Sardegna. Naturalmente i maggiorenti (i leader delle millemila correnti) del PD gli hanno subito rinnovato la loro fiducia (sic) e gli hanno chiesto di restare al timone "fino al congresso di Ottobre", ma Uòlter a quanto pare stavolta ha deciso che "dimissioni" significa proprio dimissioni.Erano mesi, ormai, che all'interno del partito i dalemiani (e non solo loro) gli facevano la fronda, portando avanti una vera e propria guerra di logoramento in vista della resa dei conti, da tenere o in Ottobre o meglio ancora appena dopo le elezioni europee.Proprio questa mattina, commentando il risultato della Sardegna in un thread su FriendFeed, avevo scritto:
I suoi avversari all'interno del PD aspetteranno fin dopo le europee. Se lo silurassero adesso si ritroverebbero già alla guida del partito quando, in Giugno, ci sarà l'annunciata catastrofe elettorale e rischierebbero di condividerne la responsabilità: meglio lasciare che sia Veltroni a prendersi le torte in faccia, e poi cacciarlo "a furor di popolo" subito dopo il disastro.Ho come l'impressione che anche Veltroni sia arrivato alle stesse conclusioni, e abbia deciso di fare un bello sgarbo a D'Alema, Bersani e agli altri che in questi mesi hanno continuato sistematicamente a indebolirlo all'interno del partito: ora che lui ha gettato la spugna "in anticipo" sui tempi previsti dai suoi detrattori, prendendoli in contropiede, voglio proprio vedere chi si assumerà la responsabilità di condurre il Partito Democratico al disastro annunciato delle europee. Preparate i popcorn: ne vedremo delle belle.

lunedì 16 febbraio 2009

Ci mancava pure Clemente



Il segretario dell’Udeur, Clemente Mastella, sarà candidato alle europee nella lista del Pdl. Lo rende noto un comunicato che formalizza le indiscrezioni dei giorni scorsi e nel quale si puntualizza che il sodalizio tra Pdl e Udeur verrà esteso anche alle elezioni amministrative in Campania, dove i due partiti presenteranno candidati comuni.
PIENA SINTONIA - «L’alleanza con il Pdl vale per le europee - conferma Mastella. - Dove si andrà a votare per le amministrative, in Campania, faremo una verifica e visto come mi hanno trattato non credo che ci saranno altre alleanze a sinistra». L’ex Guardasigilli replica seccato a chi insinua che il premier, Silvio Berlusconi, abbia in qualche modo saldato il debito con chi, di fatto, ha provocato la caduta di Prodi: «Chi dice questo è un farabutto». Mastella non intende però rivolgere nessun messaggio politico ai suoi ex partner del centrosinistra: «Non ho nulla da dire, a Veltroni o ad altri. Ringrazio invece il gruppo dirigente del Pdl: potevano avere molti motivi per dire no all’intesa, invece ho riscontrato piena sintonia sia dai livelli nazionali che da quelli locali». E con quale spirito torna in politica? «Ero angosciato, adesso sono più motivato che mai. Mi batterò per le cose per le quali mi sono sempre battuto». Come la giustizia? «Certo, sulle intercettazioni continuo a pensare che ripartire dal mio ddl sarebbe la cosa migliore per tutti». «Riparto - conclude Mastella - con umiltà e determinazione, dopo un periodo di umiliazioni e amarezze di ogni tipo. Riparto con la coscienza dell’uomo libero, con la serenità di chi riprende a vedere un po’ di luce».
Ovviamente ringraziamo Mastella per essere stato protagonista della caduta del pessimo governo Prodi ma quest’innesto non è sicuramente il massimo per noi elettori del PDL: Anche a torto (poi come è andata a finire l’inchiesta di Santa Maria Capua a Vetere?) Mastella rappresenta nell’immaginario collettivo la peggior politica, quella della casta, dei favori, delle raccomandazioni, degli inciuci, dei voltagabbana. Insomma in Campania probabilmente consentirà di aumentare il bottino del PDL (che andrà oltre il 40% delle politiche) e di conquistare qualche provincia e comune ma come immagine a livello nazionale il PDL sembra voler conquistare definitivamente lo scettro di nuova DC pronta a mettere da parte il rinnovamento per i voti figli del clientelismo. Sul breve periodo può anche essere utile, ma sul lungo periodo con queste decisioni si rischia di far diventare il PDL un partito oggettivamente e volontariamente legato agli schemi della prima repubblica.


giovedì 12 febbraio 2009

SCENARIO/ Dopo Eluana: l’ambiguità di Fini, e il futuro dei rapporti fra Berlusconi e Napolitano


Il capo dello Stato ha invocato una pausa di «riflessione comune» dopo la morte di Eluana Englaro, e l’avrà. E’ il momento in cui la polemica politica e la caccia alle responsabilità lasciano il posto agli interrogativi delle coscienze. La pausa servirà per placare gli animi degli italiani, per far rientrare nei ranghi i parlamentari più esagitati, per mettere a punto la proposta di legge sul testamento biologico che tra 15 giorni approderà a Palazzo Madama. Ma servirà anche per ragionare a mente fredda sulle ultime drammatiche giornate e sulla crisi istituzionale sfiorata.
Nell’opinione pubblica, ne esce indubbiamente rafforzata l’immagine di Silvio Berlusconi. Nel precipitare degli eventi, il premier ha avuto la forza di prendere una posizione chiara e ferma. E’ vero che la legge sul «fine vita» negli scorsi mesi è andata avanti al rallentatore; il governo e il parlamento non hanno impresso quell’accelerazione che la determinazione di Beppino Englaro avrebbe reso opportuna. Ma il capo del governo non si è fatto prendere la mano dalle considerazioni sul passato: c’era un’emergenza, una vita da salvare, un precedente da evitare; ha compattato il governo e ha deciso per il decreto in virtù della responsabilità che la Costituzione gli attribuisce. Una scelta tanto più coraggiosa se si considera che finora, sui temi etici, il Cavaliere aveva lasciato libertà di coscienza.
I laici del Pdl hanno accettato la svolta di Berlusconi; lo stesso ministro Stefania Prestigiacomo, inizialmente contraria a un intervento del governo, in consiglio dei ministri ha votato a favore del decreto. L’unico nel centrodestra a smarcarsi dal leader è stato Gianfranco Fini. Quella del numero uno di Montecitorio è una posizione ambivalente: quando Berlusconi ha attaccato Napolitano per la mancata firma al decreto legge, Fini ha fatto prevalere il profilo istituzionale schierandosi da subito a fianco dell’inquilino del Colle; tuttavia è tornato immediatamente a fare il capo-partito chiudendo la bocca a Gasparri. Irrituale che un presidente della Camera zittisca un capogruppo del Senato. Il duro richiamo di Fini a uno dei suoi colonnelli dà comunque la misura delle condizioni in cui versa Alleanza nazionale.
Sarebbe fuori luogo attribuire a Fini il cinismo di chi, in un frangente così tragico, vuole aggiungere un ulteriore attestato di lealtà costituzionale al proprio curriculum in allontanamento dal Male assoluto e in avvicinamento al Quirinale. Certo che la mossa di Berlusconi ha marcato una differenza tra quella che si potrebbe chiamare la «politica della sostanza» da quella «della forma», la politica dell’azione da quella dei regolamenti.
La pausa servirà allo stesso Napolitano, apparso anch’egli irremovibile custode della lettera della legge, eccessivamente preoccupato – in qualità di presidente del Consiglio superiore della magistratura – di non urtare la sensibilità delle toghe che hanno tracciato il percorso verso la fine di Eluana. «Nessuno ha il monopolio del dolore», ha detto, ed è una considerazione ineccepibile. Ma nessuno ha neppure il monopolio della legalità. Il rapporto con Berlusconi andrà ricucito da entrambe le parti; se ne farà carico Gianni Letta. L’occasione per verificare la ritrovata intesa si presenterà presto: il 19 febbraio il capo dello stato dovrà nominare un giudice costituzionale al posto del presidente Flick, in scadenza di mandato. Il decreto di nomina del presidente della repubblica dev’essere controfirmato dal presidente del consiglio, il quale può negare il proprio assenso per mancanza di requisiti del candidato oppure per ragioni di opportunità. Il nome che circola con maggiore insistenza è quello di Luciano Violante. Sarà un banco di prova interessante.

di Renato Farina, Il Sussidiario, 11 Febbraio 2009

Anche Bossi fa il superconservatore sulla Costituzione


La Costituzione non si tocca, i poteri del presidente della Repubblica nemmeno per sogno. E il Quirinale è giusto che faccia argine al governo e controlli il presidente del Consiglio. Dopo le uscite a sorpresa di Gianfranco Fini a fianco di Giorgio Napolitano, arriva un’altra tegola dal centro destra sui propositi di Silvio Berlusconi. A schierarsi per la conservazione dell’esistente proprio con queste tesi e parole è il leader storico della Lega, Umberto Bossi. Un atteggiamento probabilmente tattico, perchè a lui come al Carroccio interessa soprattutto l’arrivo in porto di quel federalismo fiscale che ha bisogno dell’appoggio del Colle e di una parte dell’attuale opposizione. Ma il Bossi a difesa del 1948 fa comunque specie. Sono andato ieri a rispulciare gli atti della Costituente sui decreti legge, che è poi il vero tema del contrasto di queste settimane fra palazzo Chigi e Quirinale. Non c’è dubbio sul fatto che i padri della Costituzione volessero limitare l’utilizzo di questo strumento a casi eccezionali. Tanto è che in un primo tempo si era deciso di non inserire del tutto la possibilità nella Costituzione. Lo si è fatto solo alla fine, conservando il carattere di eccezionalità, e chiarendo anche come il presidente della Repubblica non potesse avere voce sul loro contenuto, essendo la sua firma priva di responsabilità. Domani pubblicheremo stralci di questo dibattito. Ma è un fatto che quel testo, divenuto articolo 77 della Costituzione, si sia prestato a interpretazioni del tutto difformi. Basta leggere gli interventi dei costituzionalisti sulla stampa dopo il decreto legge sul caso Englaro. Metà a sostenere che il decreto era legittimo e non legittima la bocciatura preventiva da parte del presidente della Repubblica. Metà a interpretare la stessa norma all’esatto contrario. Secondo Marco Olivetti, ordinario di diritto Costituzionale all’università di Foggia: “la logica del consenso del presidente della Repubblica non è quello di sostituirsi alla valutazione del governo”. Per Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale: “La Costituzione dice che il decreto legge viene adottato sotto l’esclusiva responsabilità del governo”. Alessandro Pace, presidente della Associazione italiana costituzionalisti: “Se un presidente della Repubblica ritiene un decreto incostituzionale puo’ non emanarlo”. Per Michele Ainis il diritto è del Capo dello Stato. Non basta questo per fare capire che quell’articolo della Costituzione va modificato e chiarito? A me sembra di sì. Ed è urgente

mercoledì 11 febbraio 2009

LA SFILATA DEL SIGNOR “NON CI STO”: SCALFARO MADONNARO PENTITO


IN PIAZZA CON IL PD PER “SALVARE LA COSTITUZIONE”… MASSIMO ESPERTO DI FRATTURE TRA FEDE E VITA… PRESIDENTE ONORARIO DELL’APOSTOLATO MONDIALE DI FATIMA MA SULLA VIA DELLA DISOBBEDIENZA ALLA CHIESA… FECE ESEGUIRE LA CONDANNA A MORTE DI SEI FASCISTI MA PRIMA FECE LA COMUNIONE CON LORO…UNA VITA COERENTE

E’ rimasto famoso per i suoi “non ci sto”. No al fascismo, dopo aver giurato nel 1943 fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana. No al comunismo, salvo poi stringere alleanze coi suoi eredi.Finito il settennato di presidente della Repubblica, diventa presidente del comitato “Salviamo la Costituzione” che si salverebbe, per carità, anche senza di lui, ma l’importante è che lui ci sia.Nella veste di salvatore della Patria in pericolo, si è presentato ieri in Piazza Santi Apostoli, a Roma, alla manifestazione indetta dal Pd, ad arringare la folla che vede un golpe dietro l’angolo.E’ lui un massimo esperto delle fratture tra fede e vita.Nell’aprile del 1978, quando la statua della Madonna di Fatima sosta al santuario romano del Divino Amore, Scalfaro, allora deputato Dc e presidente del movimento mariano Armata Azzurra si rivolge a Maria Vergine, davanti ai pellegrini in processione, con queste parole: “Insegnaci a dire di sì. E’ tutto qui il segreto dei credenti, la forza della fede”.Ma la strada della politica non insegna la coerenza ai principi.Non essendo un angelo, Scalfaro disobbedisce alla Chiesa cattolica, quando nel 2005 vota da cattolico al referendum della legge sulla fecondazione assistita, ma nello stesso tempo dice no ai vescovi italiani che suggerivano la strategia vincente dell’astensione.Imboccata la china della disobbedienza progressista, ritroviamo Oscar Luigi nella contraddittoria veste di presidente onorario del’apostolato mondiale di Fatima e contestualmente mentre dichiara a “Repubblica” di sostenere il disegno di legge Bindi-Pollastrini per il riconoscimento delle coppie di fatto.Ormai sale in cattedra e detta l’indirizzo pure della Chiesa che “pur nella fermezza dei suoi principi, non deve compiere interventi che pongano a un bivio obbligato i parlamantari cattolici perché distruggerebbe la presenza degli stessi in Parlamento”.In pratica “il pontefice Oscar Primo” stabilisce l’esenzione per i parlamentari cattolici dal dover seguire l’insegnamento della Chiesa.Un bonus da giocarsi ogni tanto che consenta loro di schierarsi tra le file dei progressisti e degli atei.Sempre sulla base dei valori non negoziabili, si ritorna a quel 23 settembre 1945, quando sei fascisti di Novara vengono assassinati in esecuzione di una sentenza del tribunale partigiano di cui fa parte Scalfaro.Che però prima li condanna a morte e poi si consulta a lungo con un prete che lo solleva dagli scrupoli.E Oscar ricorda che ” Prima della fucilazione, li ho abbracciati ad uno ad uno e ho fatto la comunione sul loro camion”. Bontà sua.Aveva salvato così la sua coscienza cattolica, dopo aver impartito sei condanne a morte, incompatibili con la dottrina cristiana.Anche in quella occasione era riuscito a barcamenarsi tra il si e il no, dicendo forte “Io ci sto”.Ora è tornato per insegnare alla Chiesa come deve comportarsi e cosa deve dire e fare.Salendo sul palco ad arringare la folla di coloro che fino a ieri lo spernacchiavano per la sua scelta cattolica. Ma stavolta ha detto “Io ci sto”, forse anche perché non si tratta di gestione dei fondi neri del Sisde, ma solo della condanna a morte per eutanasia di Eluana.

martedì 10 febbraio 2009

No alla straordinaria Mentana si dimette


di Marco Castoro, ItaliaOggi, 10 Febbraio 2009.

Il caso del giornoColpo di scena a Canale 5: il grande Fratello più di EluanaEnrico Mentana si dimette da Mediaset. Una notizia bomba che ha poco a che vedere con Scherzi a parte. O, vista la serata di ieri, con il Grande fratello, non scalfito nemmeno dall'improvvisa morte di Eluana Englaro, un caso che ha scosso l'opinione pubblica. Ma Enrico Mentana non ha potuto informare i telespettatori del Biscione perché Mediaset non ha deciso di cambiare il palinsesto. Seccata e sconvolgente la reazione dell'anchorman di Matrix: «Di fronte a un dramma che scuote il paese intero, Mediaset ha deciso di non cambiare di una virgola la sua programmazione della serata su Canale 5, nonostante sia il Tg5 sia Matrix fossero pronti a aprire finestre informative sulla morte di Eluana. Non è così che si fa informazione su una grande rete nazionale. Non esiste solo l'audience. Simili scelte tolgono credibilità a chi le compie, e personalmente non ho nessuna intenzione di avallarle». Pronta la replica del direttore editoriale di Mauro Crippa: «Mentana è un giornalista di grande esperienza che conosce bene le regole della tv commerciale che gli hanno consentito e gli consentono di lavorare in piena libertà e autonomia editoriale».

La crisi del Pd si specchia nelle difficoltà del Pdl


di Claudio Bgnoli, ItaliaOggi, 10 Febbraio 2009

La crisi delle democrazie si rispecchia nei comportamenti dell'opposizione. Lo scambio tra quorum per le europee e via libera per la Rai ha segnato una vittoria sostanziale per Silvio Berlusconi e una effimera per Walter Veltroni che ha, però, prevalso su Massimo D'Alema. In questo è stato bravo. Forte dell'appoggio dei compagni di provenienza democristiana è andato alla conta interna; qualcosa di estraneo alla tradizione comunista, ma con ciò ha vinto. Sicuramente non ha convinto, ma un D'Alema rimasto solo ha abbandonato il campo. Si vedrà come ci rientrerà. Supponiamo che, nel merito, sia i mariniani che i rutelliani vorranno dire la loro. I prodiani, infine, sembrano essere le guardie d'onore del Pantheon. Comunque la si voglia mettere, insomma, l'opposizione democratica mostra, al di là delle tattiche, intrinseci motivi di debolezza. Berlusconi ha campo libero fino ad affermare di volersi rivolgere al popolo per cambiare la Costituzione; una tale affermazione, grave per un presidente del consiglio, denota che la maggioranza non è strutturalmente coesa. Il quadro politico appare immerso in un diffuso confusionismo. E mentre nella maggioranza, giorno dopo giorno, si evidenzia il dualismo Berlusconi-Fini, nel partito democratico è sul tavolo quello Veltroni-Bersani. Fedele alla propria immagine di uomo delle lenzuolate, questi non ha mancato, mentre votava a favore di Veltroni nella riunione del gruppo, di far conoscere la “mission” che affida all'annunciata candidatura alla testa del partito; farne “Non un partito socialdemocratico, ma un partito di sinistra”. Chissà cosa avranno pensato coloro che lo avevano rappresentato come l'espressione di un genuino riformismo padano richiamando addirittura il nome di Camillo Prampolini che, com'è abbastanza noto, era sicuramente socialdemocratico. Bersani ci sembra dire quello che D'Alema pensa. Siamo sempre lì, ad affermare l'esigenza di andare oltre – all'esperienza storica del pci, s'intende – senza, tuttavia, conoscerne l'approdo. Rispetto a ciò il “ma anche” di Veltroni suona già più rassicurante. La verità è che, né l'una né l'altra linea, risolvono la questione di fondo: la debolezza del maggior partito di opposizione e le sue irrisolte ambiguità culturali non lasciano intravedere il profilo forte di un'alternativa democratica a Berlusconi. E' naturale, quindi, che il dipietrismo dilaghi rendendo tutto più complicato. In definitiva: siamo ad un passo dalla rottura dell'equilibrio instabile su cui poggia il sistema e se la crisi economico-sociale si dovesse saldare con quella politico-istituzionale chissà quali scenari potrebbero aprirsi.