martedì 12 agosto 2008

Omaggio a Gava, cento volte più bravo di Bassolino (L'Occidentale dell'8 agosto)


Antonio Gava era uomo dolce, si dice oggi, ed è vero. Ma era anche un simbolo: per decenni è stato indicato dalla sinistra italiana, come incarnazione somatica del rapporto equivoco tra il Palazzo e il malaffare, la camorra, il lato oscuro della forza. Gava era insieme il doroteo al quadrato e l’antistato ala quadrato. Se si prendessero i fogli di carta in cui, a partire da Fortebraccio sull’Unità, l’Italia della sinistra ha fatto di lui l’icona del governo del malaffare, si riempirebbe non uno, ma dieci bastimenti.
Ma non è di lui che vogliamo parlare oggi. Lo vogliamo solo salutare come un politico di razza e un uomo dolce. Perché lo era.Vogliamo parlare di altro: della demenza senile della sinistra, del suo elettroencefalogramma piatto.
Il processo Andreotti e quello a Gava (più silente, più defilato, ma non meno squassante) hanno eliminato dalla scena nel 1992 -complice un distratto e snob Martinazzoli- la Democrazia Cristiana. Bene, cosa fatta capo ha.
Ma dopo di lui, dopo la Corrente del Golfo (Gava, Pomicino e Scotti), dopo il genocidio dei dorotei, cosa è successo?E’ successo che tutta la classe dirigente della sinistra che ha preso il loro posto, ha avuto un rapporto con la Camorra e il malaffare ancora più equivoco, ambiguo, disastroso, colpevole, vischioso.
Lo scandalo dei rifiuti è lì a farne da testimone planetario, perché a tutti è chiaro che Bassolino & C. lo hanno costruito passo passo, proprio perché incapaci di spezzare quelle ambiguità dei rapporti col lato oscuro della società campana, che con tanta ferocia avevano criticato in Gava, sino ad ucciderlo politicamente. Lo scandalo di una società campana che si ritrova oggi dopo 14 anni di governi locali di sinistra, immobile, paludosa, senza progetto, senza servizi, senza vocazione, è lì a dimostrare che là dove la Dc -malamente- aveva avuto delle idee sulla Campania, gli eredi del Pci di idee, semplicemente, non ne hanno mai avuto, se non il culto per la frase vuota.
Lo stesso meccanismo principe usato da Berlusconi per dominare e risolvere l’emergenza rifiuti dimostra come la sinistra ha fatto molto peggio di Gava, perché ha lasciato la gestione del dossier rifiuti alla Camorra. Dopo avere immobilizzato con la nuova super Procura gli interventi demenziali dei magistrati locali (variante impazzita tutta italiana, anch’essa figlia della cultura legalitaria degli anti Gava), Berlusconi ha semplicemente interrotto -dichiarando strategici i siti e facendoli presidiare dall’esercito- il rapporto tra amministrazioni locali e Camorra, togliendo alle prime ogni potere formale di intervento e lasciando loro solo la pura rappresentanza politica nei vari tavoli di concertazione.Di questo, solo di questo dovrebbe discutere oggi la sinistra. Dovrebbe inchinarsi a Gava, chiedergli scusa, e iniziare a discutere di come e perché, dopo averlo eliminato dalla scena, la sua gestione del potere locale è stata più condizionata dalla Camorra e dalla malavita di quanto non lo fosse stata nel cinquantennio precedente. Dovrebbe smettere di pensare che il principio di legalità consiste nell’abdicare il potere alla magistratura (errore principe del bassolinismo) e va invece posto al centro di un rapporto tutto da costruire tra mondo istituzionale e una società civile che è largamente corrotta, malavitosa, zavorrata.

Ma chiedere alla sinistra di ragionare, magari anche solo su sé stessa, è oggi sicuramente troppo.

1 commento:

Lucag. ha detto...

Non dimentichiamo, nel commemorare a figura di Antonio Gava, che se i pricipali responsabili della sua fine personale e politica sono stati gli esponenti di sinistra (e non solo) che l'hanno dipinto come il peggiore affarista e camorrista della storia repubblicana, gli esecutori materiali sono stati alcuni membri della magistratura di questo Paese. Non voglio fare polemica sui magistrati e sulle loro presunte inclinazioni politiche: mi preme solo rilevare che giudici italiani hanno intentato processi campati in aria, costringendo esponenti politici a chiudere anzitempo la propria carriera, a soggiacere per anni all'umiliazione pubblica di vedersi chiamati coi peggiori epiteti (e qui la stampa ha una grossa responsabilità) salvo poi giungere a sentenze di assoluzione perchè il quadro probatorio non aveva retto alla prova del contraddittorio. Così è finita per Antonio Gava, per Giulio Andreotti, per Calogero Mannino. In un Paese civile, agli errori così grossolani - che poi grossolani non erano, ma il tentativo preciso di trasformare le responsabilità storiche e politiche in responsabilità penali, chiudendo in cella i principali protagonisti della storia dell'Italia repubblicana - ad errori così grossolani, dicevo, sarebbero seguite sanzioni nei confronti dei magistrati che li avevano commessi. Non punizioni esemplari, non intimidazioni, non attacchi all'indipendenza della magistratura: semplicemente l'ovvia conseguenza di un errore, ovvero la sua riparazione e l'assunzione di tutte le misure affinchè non si ripeta. Così non è stato: progressioni di carriera, nomine al CSM, fasti e trionfi celebrati sui giornali, ingressi in Parlamento... queste sono state le conseguenze, complici la sinistra, parte della stampa e di una certa DC che, divenuta "adulta" dimenticava la sua storia.
Non rivoluzioni - come invece ancora oggi predicano taluni - ma semplice applicazione della regola democratica del chi sbaglia paga, con l'invito, a tutti gli altri, ad evitare di sbagliare o di prendere abbagli. Ma forse è troppo per chi di responsabilità, separazione dei poteri, corretto esercizio della dialettica politica non ha dimestichezza.