sabato 24 dicembre 2011

AUGURI AI NOSTRI LETTORI


Non sarà facile, non sarà del tutto lieto,
ma dovremo comunque farcela!

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venerdì 16 dicembre 2011

CANDIDATI SINDACI PER QUARRATA? PESCI NON FRESCHI


Scende in pista anche Dalì, per succedere alla peggio Sindaca di Quarrata – di cui peraltro il cadavere sta ormai per passare sul fiume, portato finalmente via dalla corrente: tanto che tutti, Sel compreso, ne prendono le distanze anche se in 10 anni di malgoverno, spreco e disprezzo della popolazione, hanno fatto una muraglia cinese a difesa di questa esperienza politica insulsa e offensiva per i cittadini.

Scende in campo anche Dalì, ma si affretta a dire che lui non è il delfino di Lei.

E ha ragione. Gli dobbiamo trovare solo un pesce adatto: trota non è possibile, perché c’è già Bossi junior; storione neppure, perché Dalì non viene da una vera esperienza sovietica, ma da ex-democristiani margheritini (anche questo sarebbe un legame con la peggio Sindaca); luccio nemmeno, perché sarebbe troppo vorace, ma lui non si è quasi visto in questi 10 anni di nulla.

E allora, come chiamarlo? Tinca? Forse sì, dato che abita in una cassa di espansione dell’Ombrone e di pantano ne ha respirato abbastanza con lo stare vicino alla sua padrona dalla quale non ha mai – ridiciamolo a chiare lettere – preso le distanze, come del resto anche quel bravo ragazzo del Mazzanti, che ora apre la polemica sull’acqua, ma esumandola solo per fini e scopi elettoralistici. Del resto lo sappiamo tutti che Mazzanti a Publiacqua c’è andato (e un tempo lo scrivemmo anche) solo una volta su dieci.

Ma per tornare alla metafora ittica – cioè dei pesci – Dalì potrebbe essere definito, visto che non ha mai detto di no alla sua padrona, se non il suo delfino almeno il suo baccalà: sempre pronto e rigido sugli attenti a seguirne le assurde decisioni. Una variante, per senso, potrebbe essere anche stoccafisso

Oggi, si ripete, tutti fanno finta di prenderne le distanze: ma puzzano tutti della stessa cucina sabriniana. Pd compreso che ha protetto, benda sugli occhi, questo Sindaco del nulla, senza battere ciglio.

Tutti tranne Burchietti.

Ecco. Per dare un segno di vera discontinuità bisognerebbe che il Pd avesse lanciato lui come candidato Sindaco; lui che, per non acconsentire agli scempi della peggio Sindaca, si è perfino dimesso con onestà e coraggio.

Dalì e Mazzanti, i due pesci candidati di ora, signori elettori di Quarrata, non sono freschi.

Hanno l’occhio spento da dieci anni di signorsì e insomma… puzzano già ora che sono in cassetta: figuriamoci se saranno messi sul banco!

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mercoledì 14 dicembre 2011

DOPO LA STRAGE DI FIRENZE, SUL WEB SPAZIO A FRASI RAZZISTE: “E’ ORA CHE QUALCUNO FACCIA PIAZZA PULITA”

CHI SEMINA VENTO RACCOGLIE TEMPESTA: DOPO ANNI DI APOLOGIA DELLA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE, CON UNA FORZA XENOFOBA AL GOVERNO DEL PAESE, QUESTI SONO I FRUTTI… CASA POUND NON C’ENTRA NULLA, IL PROBLEMA E’ AVER SDOGANATO IL RAZZISMO E AVERGLI DATO DIGNITA’ CULTURALE

Mentre Casa Pound prende le distanze da Gianluca Casseri («lo conoscevamo appena», “era considerato lo scemo del villaggio”), definendo l’assassinio dei due senegalesi «un gesto ripugnante», «un gesto vile e miope messo in atto da chi non ha a cuore il vero interesse della Nazione e finisce a fare il gioco del potere che a parole sostiene di voler combattere», ci sono forum di sedicente estrema destra in cui gli iscritti celebrano la memoria del loro «camerata».
Su stormfront.org, forum italiano di «White Pride, World White», si leggono commenti che inneggiano a Casseri quale «eroe bianco», che merita «rispetto e onore» perché ha avuto il coraggio di «fare pulizia di questa immondizia negra».
«E’ uno dei nostri» scrive un utente; «Rispetto e onore» gli fa eco Biomirko.
Chissà in quale mondo vivono questi due soggetti e a quali riferimenti valoriali facciano capo, ammesso che sappiano leggere.
C’è anche chi azzarda concetti più articolati, come NonConforme, «E’ il prezzo che ha pagato un eroe – dice – una situazione ormai figlia dell’esasperazione di chi ha creato questa società multietnica che è una bomba a orologeria pronta a esplodere, perché la storia insegna che tante etnie non possono coesistere insieme».
Ancora più deliranti le affermazioni di un certo Costantino che scrive: «Gli sbirri di m… che non ci sono mai quando un allogeno [uno straniero, ndr] delinque oggi sono stati efficientissimi. E’ terribile, Casseri è morto».
E siccome non c’è limite al delirio, Longobard, un nickname che è tutto un programma, prova a dire la sua: «Firenze è ormai contesa tra bande di sporchi negri criminali. E’ ora che qualcuno faccia pulizia di questa immondizia negra! Via negri e stranieri dall’Italia. Abbattere chi devasta le proprietà degli italiani».
Intanto su Facebook è subito nata l’immancabile pagina celebrativa dell’omicida, «Onore al Camerata Gianluca Casseri, Italiano Vero».
Pochi gli utenti che inneggiano alla sua terribile azione, una quindicina, ma molto significativi i post: immagini di manifestazioni con tanto di saluto romano, slogan pesantemente razzisti come «Morte ai negri» e frasi antisemite talmente sgrammaticate da risultare quasi incomprensibili («Havete le ore contate bancari giudii»); tanto che Sergio ribatte: «Io che sono albanese scrivo meglio».
A ruota, è nata una seconda pagina fan, sempre su Facebook («Gianluca Casseri e il conte Dracula Vlad Tepes eroi!!!») in cui Costel affianca la figura di Casseri a quella dello storico impalatore (di cui l’omicida era un appassionato), esaltando entrambi come eroi «anti islamici».
Il basso livello degli interventi dimostra che portare studi sulla struttura delle società aristocratiche (intesa come espressione della mente e non del censo), sulla fenomenologia dei flussi migratori, sulle diseguaglianze dei processi storici e sull’analisi geopolitica può provocare problemi psichici a persone già scosse mentalmente.
Persino nelle tradizioni di riferimento di costoro, gli eroi sono ben altri, non certo chi uccide a sangue freddo per odio razziale. Per questo suggeriremmo a certi sfigati una lettura alla presenza di un traduttore che sappia far comprendere i testi a fronte.
Forse costoro dimenticano i milioni di emigranti italiani a cavallo del secolo scorso che, spinti dalla necessità, approdarono nelle Americhe e nei paesi del nord Europa. Salvo che anche costoro, seguendo i loro criteri razziali, non avrebbero dovuto essere abbattuti dai locali a colpi di pistola.
In fondo è un peccato che non esistano più i campi di rieducazione dove, rompendosi la schiena a spaccare pietre per 10 ore al giorno, certi soggetti comprenderebbero i reali problemi della società in cui vivono.
E che il posto di lavoro non glielo ruba nessuno, se avessero voglia di lavorare.
Anche se in fondo essi sono solo il prodotto dello sdoganamento di una cultura razzista, fatta di egoismi e meschinità, che ha trovato persino rappresentanza al governo del nosstro Paese e dignità istituzionale (si fa per dire).
Ai figli di Borghezio e Calderoli, acculturati su malfatti Bignami senza libri di testo a fronte, non resta che la trincea razzista per giustificare il proprio fallimento. perchè la sfida del futuro è sulle intelligenze, non sul colore dela pelle.
Ieri non sono morti assassinati “due senegalesi”, ma due esseri umani di nome Mor Diop e Modou Samb che si guadagnavano onestamente da vivere in Italia.
Come un secolo fa nelle baracche svizzere vivevano ai margini della società tanti Salvatore e Carmela.
E per la povertà si deve avere rispetto, non odio.

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giovedì 8 dicembre 2011

LA VERITA’ DI MARIO NEL TEATRINO DI “PORTA A PORTA”

COSI’ VIENE ARCHIVIATA LA FAVOLA BERLUSCONIANA: DAL SALOTTO DI VESPA PER ANNI MESSAGGI RASSICURANTI…IERI SERA MONTI HA ROTTO L’INCANTESIMO

Erano irritanti le prime domande di Bruno Vespa, al solito le più gradite all’ospite di turno: «Eravamo ormai vicini alla Grecia? A un passo da non poter pagare gli stipendi agli statali? ».
Già, perché non se n’era accorto nessuno.
Ma soprattutto non se n’erano accorti gli spettatori di Porta a Porta, dove per tre anni si è raccontata un’altra favola.
La favola che la crisi non c’era. Se c’era, riguardava altri.
La Grecia, l’Irlanda, la Spagna, ma anche Germania e la Francia stavano «molto peggio di noi».
In Italia c’era Tremonti che teneva «i conti in ordine» e Berlusconi sempre in procinto di varare una grande riforma fiscale, con ricchi doni per i contribuenti.
Il rischio di default poi era impensabile, «un’ipotesi che non sta né in cielo né in terra».
Ed ecco, in dieci secondi, la nuova Italia di Porta a Porta, tagliata su misura per il nuovo premier: un paese sull’orlo della catastrofe, anzi «un treno già avviato a deragliare ».
Ma una volta superato il fastidio, bisogna ammettere che la lezione del professor Monti è stata piuttosto chiara.
Senza fronzoli, belletti e vespismo, campanelli e «via col vento», compagnia di giro e plastici o scrivanie intorno, il presidente del consiglio ha spiegato le ragioni della stangata.
Il compito non era facile perché la manovra del nuovo governo è in grado di far piangere molti e non solo i ministri più sensibili.
Per dirla tutta, ha l’aria della solita strage degli innocenti, sulle spalle del pezzo d’Italia che ha sempre lavorato e pagato le tasse.
Lo stesso premier Mario Monti avrebbe avuto difficoltà a difenderla dalle critiche del Monti Mario opinionista del Corriere della Sera, che negli ultimi anni aveva così ben spiegato ai governi come i tagli alla spesa fossero da privilegiare rispetto a nuove imposte.
Qui le tasse sono l’80 per cento e i tagli alla spesa il 20. Per fortuna o sfortuna l’intervistatore non lo sa, o forse non vuole disturbare, e cita cifre a casaccio («17 miliardi di tasse e 12- 13 di tagli») .
Ma pazienza, Monti si fa le domande e si dà le risposte.
Il merito maggiore di Mario Monti è la sincerità. Questo lo rendeva un marziano ieri sera sulle poltrone da talk show frequentate dal peggior trasformismo italiota.
Ma forse la scelta di rivolgersi agli italiani dal più compromesso dei luoghi televisivi non era del tutto sbagliata.
L’irrompere della dura verità sullo stato della nazione proprio in quello che è stato per diciassette anni il teatrino di cartapesta del berlusconismo trionfante, alla fine ha reso il messaggio di Monti più drammatico.
Questa è l’Italia di oggi, ha voluto dire il presidente del consiglio ai cittadini.
Un paese sull’orlo della bancarotta di Stato, a tre mesi di distanza dalla soluzione greca, anello debole di un’Europa già fragile e ora da rifondare.
Una nazione finita in un tunnel dal quale sarà lungo e difficile uscire. Ed era impossibile, guardando Monti in quello studio, non pensare ai bagordi del passato, agli altri tunnel e ponti e trafori disegnati sulla lavagna dal predecessore, fra gli applausi dei figuranti in studio, ai contratti che promettevano fantastilioni di posti di lavoro, agli anni persi in uno show demenziale, mentre il declino avanzava inesorabile.
Al conto tragico da pagare tutto di colpo per una buffonata durata troppo a lungo.

Curzio Maltese
(da “La Repubblica”)

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martedì 6 dicembre 2011

NUOVA RICHIESTA DI ARRESTO PER COSENTINO: “E’ REFERENTE DEI CASALESI”

INDAGATO ANCHE CESARO: 50 ARRESTI IN TUTTA ITALIA, COMPRESI POLITICI E BANCHIERI… IL PRIMO MANDATO DI CATTURA PER COSENTINO VENNE RIGETTATO DALLA CAMERA
Antimafia e carabinieri in azione all’alba con un blitz in tutta Italia finalizzati all’arresto di boss, banchieri e politici ritenuti vicini al clan dei Casalesi: tra loro anche l’ex sottosegretario all’Economia e attuale coordinatore del Pdl campano Nicola Cosentino.
La magistratura di Napoli ha chiesto a Montecitorio di autorizzare l’arresto del deputato, indagato per corruzione ed altri reati.
La richiesta d’arresto è arrivata stamattina, martedì 6, in giunta per le autorizzazioni della Camera.
Fa il paio con la prima che, rigettata nel novembre 2009 dalla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, provocò le dimissioni dell’allora sottosegretario.
Il coordinatore del Pdl della Campania è definito nei capi di imputazione formulati dai pm «referente politico nazionale del clan dei Casalesi».
I provvedimenti restrittivi colpiscono in particolare elementi riconducibili alle fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei Casalesi.
Fra i destinatari anche esponenti politici di rilievo nazionale e locale, personaggi del mondo bancario ed imprenditoriale operanti oltre che in Campania, nel Lazio, in Toscana, nell’Emilia Romagna, in Lombardia ed in Veneto.
Tra gli indagati (ma non per camorra) c’è anche il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro che, secondo l’accusa, accompagnò Cosentino a Roma per sollecitare i vertici di Unicredit a concedere un credito a favore del clan, peraltro garantito da una falsa fidejussione.
«Pochi giorni dopo tale intervento - è scritto in un comunicato della Procura - il finanziamento, che fino a quel momento aveva incontrato ostacoli e rallentamenti, veniva sbloccato».
Il finanziamento ammontava a 5 milioni e mezzo di euro. All’epoca Cosentino era sottosegretario all’Economia.
L’ordinanza riguarda anche un’altra cinquantina di persone,arrestati dai carabinieri con la Dia di Napoli.
I reati contestati, a vario titolo, sono associazione camorristica, riciclaggio, corruzione e falso.
Secondo quanto si apprende l’inchiesta riguarda vicende di infiltrazioni del clan dei Casalesi nella pubblica amministrazione ed in particolare tra ex amministratori di Casal di Principe, roccaforte del clan dove il Comune viene sciolto in media ogni due anni. Gli indagati sono oltre settanta.
Il gip scrive: quella tra politica e economia rappresenta «un’osmosi che genera effetti patologici nei settori più rilevanti della vita sociale e politica della provincia casertana: quello elettorale, quello economico e quello istituzionale».
Intorno a questo intreccio - prosegue il gip - si muovono enormi interessi economici del clan dei Casalesi e i politici coinvolti sono «asserviti al sodalizio camorristico.
E ciò che avviene in snodi fondamentali e sensibili dell’attività economica: nell’apertura di centri commerciali, nelle attività edilizie e nella fornitura del calcestruzzo.
Ed i poteri della politica e dell’ente mafioso si saldano nel momento più solenne ed importante della vita democratica: il momento elettorale».
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sabato 3 dicembre 2011

Formigoni, che disse sì alla bambola in lista


In una preziosa intervista a Repubblica, Roberto Formigoni, presidente di quel che è ancora rimasto a piede libero della Regione Lombardia, rivela di avere chiesto informazioni su Nicole Minetti a don Verzé, il presidente aviatore del San Raffaele. Deve essere stata una scena di prim’ordine. Roba buona per Monicelli.

Proviamo a immaginarci i due don spaparanzati al trentacinquesimo piano del Pirellone. Si stanno rigirando tra le mani le foto a colori di quella povera ragazza gonfiata dagli ingegneri del botulino, armata di tacco, spacco, cerniera, rossetto e wonderbra gotico che il vecchio Buscaglione avrebbe chiamato “mammifero modello centotre”. La bambola va nella lista bloccata, lo ha ordinato il Cavaliere. Le liste sono piene di firme false. I bilanci del San Raffaele pure. Nessun problema: si obbedisce. Per don Formigoni il mezzo giustifica sempre il fine. Per don Verzé il fine giustifica qualunque mezzo e “Berlusconi è un dono di Dio”. Quali saranno le qualità di questa tizia, la dialettica, l’etica, l’impepata? Tu la conosci? Come no. Racconta l’illibato: “Quando domandai mi fu risposto che era una ragazza laureata”. Risate, pacche sulle spalle, un rutto. Scusami. Ma ti pare.

Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2011

Caro padre


di SIMONA BONFANTE – Caro padre se il mio presente è ansiogeno ed il mio futuro oscuro è perché il tuo passato ha del socialmente criminogeno. Caro padre il debito pubblico, insieme ad una pluralità di cose non tutte buone, me lo hai lasciato tu in eredità. E dunque mi appartiene, come mi apparterrà, un giorno, il patrimonio che ti sei costruito con parsimonia e sacrifici. Come faccio ora che quel debito ci ha portato praticamente al default, a dire ‘no, io il (tuo) debito non lo pago‘?

Caro padre, in tempi ancora finanziariamente non sospetti ti invitavo a riflettere sul fatto che i tuoi ‘diritti acquisiti’ assomigliavano piuttosto a ‘privilegi estorti’. Tu non mi hai ascoltato. Mi dicevi che se non avevo protezioni la colpa era mia, ché invece di trovarmi un impiego fisso e sindacalizzato, lavoravo a progetto – un po’ qua e un po’ là. Ora però che hai visto anche tu quanti di quelli con l’impiego fisso e sindacalizzato il lavoro non ce l’hanno più, cominci a capire che la colpa non era mia allora e non è mia manco adesso, e che sostanzialmente invece la colpa è della tua bulimia laburistica alla quale tu – e i tuoi coetanei – avete bellamente ceduto. Lo capisci, ora, che quel ricco ‘menu di diritti’ al quale ti eri accostumato non era per lo più che un metabolicamente insostenibile insieme di pretese à la carte?

Caro padre, forse oggi non staremmo qui – io e te – a fantasticare di un modo per garantire questa tua sfortunata figliuola di non restare in braghe di tela quando arriverà al suo limite anagrafico-contributivo. Quel modo, caro padre, per quelli come me che hanno cominciato a lavorare nell’era dell’ubiquità ed atemporalità professionale, alle condizioni attuali non c’è. E non c’è a dispetto del fatto che per molti di quelli come me i festivi siano da sempre solo giornate diversamente lavorative, che non si abbia mai beneficiato di congedi malattia né di vacanze stipendiate e che dunque dal concetto di produttività si sia imparato a far dipendere sostanzialmente tutto quel (poco) cui siamo in grado di provvedere.

Caro padre la tensione affettuosa e partecipe che ti procura questa mia condizione così ineluttabilmente precaria – a dispetto delle incommensurabilmente maggiori opportunità che mi ha concesso il benessere che tu mi hai dato (e che tu non hai avuto) – non potrà mai essere alleviata dalla generosità con cui proponi l’aiutino periodico, il supporto semi-ordinario alle spese impreviste. Non è quello il modo di fare il mio bene, caro padre. Il modo migliore per fare il mio bene, la cosa per la quale ti sarò grata in aeternum, è che tu stia con me adesso per impedire a quelli che minacciano guerra al governo Monti di sabotare la riforma del welfare che mi darebbe per la prima volta la possibilità di essere cittadina adulta anch’io.

Caro padre, se vuoi il mio bene, restituisci la tessera di quel sindacato (e quel partito) che ti si dice amico e che invece non ha sino ad ora fatto altro che lucrare sul mio futuro.

About Simona Bonfante

Siciliana, giornalista free-lance e blogger, si è fatta le ossa di analista politico nei circoli neolaburisti durante gli anni di Tony Blair. Dopo un periodo in Francia alla scoperta della rupture sarkozienne, rientra in Italia, prima a Milano poi a Roma dove, oltre a scrivere per varie testate online, si occupa di comunicazione politica e lobbying

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mercoledì 30 novembre 2011

Addio compagni! Lucio Magri sceglie la dolce morte .


Una fine silenziosa, quasi delicata, amorevole. È così che se ne va Lucio Magri, fondatore del Manifesto, a 79 anni, quando la vita, per lui, innamorato della sua Mara, era diventata insostenibile. Per questo ha scelto di seguirla e di essere sepolto con lei, a Recanati. Non ha voluto fare troppo rumore, e, per non morire solo, l'ha fatto in Svizzera, da un amico medico. Là, dove il suicidio assistito è una pratica legale, basta decidere. E non è facile.

Eppure Magri l'ha fatto, circondato dalle foto della moglie, dai ricordi ormai troppo struggenti, dai familiari e dagli amici di una vita di passione politica. Protagonista della sinistra eretica se ne va allo stesso modo: compiendo un'eresia, agli occhi di chi è pronto a giudicare il dolore e la sofferenza altrui. E allora questa morte farà discutere quanto la sua vita, anche se ha cercato di consumarla in silenzio, nel rispetto degli affetti.

Quegli stessi affetti che oggi meritano delicatezza e non i toni accesi di una inutile polemica cui, purtroppo, il tono del dibattito ci ha nel tempo abituato. Una polemica temuta da chi ritiene che oggi non sia tempo di sguardi infuocati pronti a giudicare, né di dita puntate, di regole sulle vita e sulla morte e sull'amore. Perché regole non ce ne sono. Ogni storia, e ogni fine di una storia, è un mondo a sé, prezioso. Anche nell'ultimo, struggente, gesto.

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venerdì 25 novembre 2011

FABIO GRANATA: LA CITTADINANZA AI BAMBINI NATI IN ITALIA E`UNA QUESTIONE DI CIVILTA`

LA PROPOSTA DI LEGGE DI FUTURO E LIBERTA’ PREVEDE DI RICONOSCERE LA CITTADINANZA AI NATI IN ITALIA DA GENITORI STRANIERI STABILMENTE RESIDENTI DA ALMENO 5 ANNI O A COLORO CHE VI ABBIANO COMPIUTO UN INTERO CICLO SCOLASTICO… L’OBBLIGATORIETA’ DELLA DICHIARAZIONE PER I GENITORI ALL’ATTO DI NASCITA

La nostra proposta di legge mira a riconoscere il diritto di cittadinanza a quanti siano nati in Italia da genitori stranieri stabilmente residenti o a quanti, avendo raggiunto l’Italia da minori, vi abbiano compiuto un intero ciclo scolastico: una riforma epocale, sempre più improrogabile, che consentirebbe ad una fetta importante di giovani di essere parte della comunità nazionale.
Non amiamo definirli stranieri di seconda generazione, ma “italiani senza cittadinanza”.
Parlano italiano, spesso con inflessione dialettale, conoscono e vivono l’Italia come loro “casa”.
La scoperta di non godere appieno dei diritti e dei doveri dei loro amici o dei compagni di scuola – che solitamente avviene in età adolescenziale – provoca nella gran parte dei casi un senso profondo di esclusione e di discriminazione: si crea una sorta di «terra di mezzo», dove i bambini nati da genitori non italiani crescono con un senso di frustrazione, estraniazione dal loro contesto, pericoloso per il futuro processo di integrazione e di inserimento sociale del minore.
L’iter attuale di acquisizione della cittadinanza, lungo e incerto, rappresenta per molti di questi giovani italiani la prova concreta di una “diversità” inaccettabile.
E’ sempre più diffuso il convincimento che sia ormai antistorico negare ad un giovane nato in Italia o emigratovi da bambino il diritto di essere italiano (i dati stimano che i minori stranieri nati o comunque residenti in Italia abbiano ormai raggiunto il milione di unità), passando dai principi dello «jus sanguinis» e da un’ottica «concessoria e quantitativa» della cittadinanza, sui quali si basa la legislazione vigente, al principio dello “jus soli temperato”, condizionato dalla stabilità del nucleo familiare in Italia o dalla partecipazione del minore a un ciclo scolastico-formativo.
L’ispirazione della presente proposta di legge – oltre ad avere come riferimento storico-culturale la tradizione del modello italiano, fondato su una identità dinamica ed aperta – si rifà alla Convenzione europea sulla nazionalità, del 6 novembre 1997, che prevede che lo Stato faciliti nel suo diritto interno l’acquisto della cittadinanza per le «persone nate sul territorio e ivi domiciliate legalmente ed abitualmente» [(articolo 6, paragrafo 4, lettera e)
Prevediamo al comma 1 dell’unico articolo che il minore nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno legalmente soggiornante da almeno cinque anni e attualmente residente, possa diventare cittadino italiano, previa dichiarazione di un genitore da inserire «obbligatoriamente» nell’atto di nascita.
L’obbligatorietà della dichiarazione introduce, per così dire, un onere a carico dello Stato a fare sì che il diniego sia consapevole o, da un altro punto di vista, a evitare che l’omissione dell’assenso avvenga per ignoranza della norma.
È un meccanismo previsto per soddisfare l’interesse dello Stato a favorire e a garantire l’instaurarsi del processo di integrazione.
Se il genitore, poi, dovesse dissentire, al soggetto è comunque garantita, sulla base degli stessi presupposti, la possibilità di diventare cittadino italiano richiedendolo entro due anni dal compimento della maggiore età.
Al comma 2 si presta invece attenzione ai minori che, seppure non nati in Italia, vi risiedano legalmente e compiano in Italia il proprio percorso formativo.
È previsto che un minore diventi cittadino italiano, su istanza del genitore (o del soggetto stesso se compie la maggiore età durante gli studi), se ha completato un percorso d’istruzione scolastica o di formazione professionale nel nostro Paese.
I commi da 3 a 6 contengono la disciplina di attuazione e le misure transitorie.

( da blog Fabio Granata)

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RIVELAZIONI: “LA PADANIA ESISTE PERCHE’ ESISTE IL GRANA PADANO”


E’ LA TESI DEL LEGHISTA GIANLUCA BUONANNO ALLA “ZANZARA” SU RADIO 24… POI AGGIUNGE: “C’E’ PURE IL GAZZETTINO PADANO”… ESPLODE LA ILARITA’ SU INTERNET

Scorrendo la classifica dei trend sul Twitter italiano, sta imperando il Grana padano. Come mai tanto interesse per il gustoso cugino dell’eccellente Reggiano?
Nessuna riscoperta del formaggio, ma la riscoperta del grattuggiato si deve alla tesi «storico-antropologica» di Gianluca Buonanno, deputato leghista e sindaco di Varallo, Piemonte.
«La Padania? Certo che esiste, altrimenti non esisterebbe il Grana padano!».
Questa la scoperta del parlamentare, rivelata mercoledì sera alla Zanzara, su Radio 24. «Perché il Grana padano si chiama così e perchè esiste il Gazzettino padano? Se c’è questa terminologia significa che la Padania esiste».
I conduttori, Giuseppe Cruciani e David Parenzom, tra il divertito e lo stupefatto rirordano a Buonanno che «il Gazzettino è una trasmissione di Radio Rai».
Ma Buonanno è come un treno: «Ah, se anche la Rai, che è romanocentrica, qualcosa vorra dire».
Per poi ricordare «che senza la Padania, l’Italia sarebbe già in Africa e poi non c’è dubbio che la Padania ha un suo ceppo etnico che ha portato grande benessere a tutti». La filippica pro-padana continua e sono otto minuti di divertissement puro.
E il miglior commento è quello dell’utente “colamesta” su YouTube: «I tartari esistono perché esiste la salsa tartara».

(da “Il Corriere della Sera“)

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sabato 19 novembre 2011

La sinistra estrema ha il suo leader: Silvio .


Fervono i preparativi per la prossima campagna elettorale, in casa pidiellina. A lasciare il posto, il Cavaliere non ci pensa nemmeno (e non tragga in inganno la decisione di far parlare Angelino al posto suo, durante il voto di fiducia che ha visto la nascita ufficiale della grande coalizione all'italiana : a decidere è sempre lui). E già si sente rinvigorito all’idea di chiamare in piazza milioni di suoi sostenitori che - ne è convinto - dovrebbero sospingerlo assieme al suo partito ancora una volta verso Palazzo Chigi (confidando magari nella "poca memoria" degli italiani...). Il programma c’è già: nonostante le parole al miele dispensate in pubblico al nuovo premier, il leitmotiv portato già avanti da giornali e colonnelli sarà l'opposizione al governo liberal-democratico di Mario Monti.

Lo si capisce bene dalle parole sottilmente “ricattatorie” dei capigruppo Cicchitto e Gasparri, i quali hanno condito i loro discorsi con minacce nemmeno tanto velate riguardo la durata dell’esecutivo e con punture velenose che non sono certo passate inosservate, tanto da spingere il nuovo premier a rispondere in aula. E lo si capisce ancora meglio sfogliando il giornale di famiglia, "spia" della vera linea che il Cav intende seguire nei prossimi mesi.
La parabola del Cavaliere è così compiuta. Da Margaret Thatcher - agli albori della compianta rivoluzione liberale - e passando per Vladimir Putin - negli anni del “lettone” e delle dacie - ora Silvio ha forse trovato il suo nuovo modello: Hugo Chavez. L'italico nemico dei "poteri forti" avanza, e chissà che la sinistra estrema non si appresti ad abbracciare il suo nuovo leader carismatico (la destra estrema l’ha già fatto). Contro le banche, contro i potentati, contro i "grandi giornali", contro gli industriali e il Vaticano, gli Stati Uniti e Bruxelles, contro il gaullista Sarkozy e contro la democristiana Merkel: Silvio sarà in prima linea, pronto a difendere "el pueblo".
E per adeguarsi c’è anche chi, nel Pdl, si è schierato al fianco degli studenti indignati, che hanno marciato ieri in molte città italiane. La manifestazione del 15 ottobre e i toni da “anni di piombo” dell’allora maggioranza sono un lontano ricordo. In fondo, come ha scritto Annalisa Terranova, «se è contro Monti, va bene pure Er Pelliccia»...
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mercoledì 16 novembre 2011

Governo Monti, finalmente la vera politica


Un governo di soli tecnici (svanito il ticket Letta-Amato), eppure un governo assolutamente “politico”. Ecco l’identikit dell’esecutivo che sarà guidato da Mario Monti. Competenza, serietà, spirito bipartisan. C’è tutto questo, nella compagine che guiderà l’Italia - si spera - fino al 2013. Ma c’è anche l’avvio di una stagione politica dopo l’antipolitica della lunga avventura berlusconian-leghista. Cambia lo stile, cambia il linguaggio, cambia l’approccio ai problemi del paese, cambia il modo di affrontare le emergenze. La demagogia, il populismo, il calcolo elettorale di bottega cedono il passo all’impegno civile di personalità che non fanno della “militanza” la loro vita, ma che si apprestano a mettersi a disposizione per il bene del paese. Professori, militari, civil servant, uomini di cultura. Da Anna Maria Cancellieri all'Interno a Giulio Terzi di Sant'Agata agli Esteri, da Corrado Passera allo Sviluppo e Infrastrutture a Francesco Profumo all'Istruzione, da Lorenzo Ornaghi alla Cultura a Elsa Fornero al Welfare. Forse torna di moda la res publica, insomma. E quello che si riteneva essere un economista si dimostra un politico di alto livello.

Ma c’è di più: grazie a un governo di questo tipo, il Parlamento potrà ritrovare - così come sancisce la nostra Costituzione - il suo ruolo di “cuore politico” del paese. Starà ai singoli partiti e soprattutto ai singoli deputati tradurre nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama la nuova stagione. Certo, con deputati “eletti” e non “nominati” sarebbe più facile. E per questo è urgente una riforma della legge elettorale, prima che gli italiani tornino alle urne. È vero che il Pdl ha chiesto garanzie a Monti sul fatto che il suo governo non affronti il tema, ma questo non significa che non se ne possa occupare il Parlamento. Svanisce un altro effetto del disordine berlusconiano, ovvero la confusione tra i poteri dello Stato che si annullavano nella persona del Cavaliere. Si apre la strada della normalità e della “buona politica”. Non sarà facile, ma almeno ora possiamo provarci.
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domenica 13 novembre 2011

IL PUNTO (SUL SIC TRANSIT GLORIA MUNDI)


40. Prima che il gallo canti

Domenica 13 novembre 2011

Ogni giorno basta leggere il blog di Andrea Balli e… prende lo scoramento.

È tutto un andirivieni di notizie senza senso: chi va a destra, chi va a sinistra, chi sale, chi scende – basta vedere Pdl e Lega, per esempio –; e poi ecco anche qualche inattesa novità, con qualcuno che si affaccia e, con una falsa modestia da far salire di botto la glicemia, esclama (viene da pensare a quel cattolico di Dalì) domine non sum dignus!

Già. Il Dalì, pure lui, si candida – fra una negazione e un ammiccamento. Ha da fare il vivaista, mapperò… se la patria chiama, perché non portarle aiuto?

Certo se il Dalì dovesse andare avanti, ve lo immaginate che innovazione rispetto all’èra-Sabrina? Se Mazzanti che ha fatto 5 anni il capogruppo e altri 5 di vicesindaco è definibile il vice-disastro di Lei, il Dalì, che ha fatto 2 mandati interi di assessore, dovrebbe essere visto come un disastro al quadrato, potenziato anche da un altro fatto che – bisogna esserne certi – si verificherà puntualmente.

Al momento di andare in onda, infatti, tanto per dimostrare che nessuno di quelli che potranno prendere il posto dell’Illuminata le è figlio; e tanto per certificare che non c’è continuità, ma discontinuità rispetto al nulla di prima, tutti si metteranno al pari di Pietro in… prima che il gallo canti. In altre parole tutti inizieranno a dire che nessuno di loro conosceva la Sabrina, l’aveva mai vista, l’aveva mai sentita né incontrata (e questo, forse, potrebbe essere anche vero, visto che è stata la più grande struttura assente di Quarrata degli ultimi 10 anni). Insomma, faranno a gara a tradirla.

Eh sì, Quarratini! Anche la Sabry sarà come Gheddafi o i marescialli dei Carabinieri e della Finanza, o i magistrati che, dopo essere stati tolti di mezzo, nessuno li saluta più, perché nessuno li ricorda nemmeno!

Eh sì! Sic transit gloria mundi – come disse il Berlusca.

Buona domenica, Quarrata!

Mario Niccolai

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venerdì 11 novembre 2011

Fascisti siete, fascisti resterete... .


Diciotto mesi fa esultavano trionfanti per l’espulsione di Gianfranco Fini dal Popolo della libertà. La purezza della destra italiana veniva preservata, il traditore amico dei comunisti, dei froci, degli immigrati e degli intellettuali veniva sbattuto alla porta, e con la sua avventura per una “politica nuova” si “suicidava”, come scrissero subito - dando libero sfogo a un’insofferenza trattenuta per anni - i giornalisti loro amici. E oggi, dopo un anno e mezzo vissuto da protagonisti di uno dei peggiori sfaceli che la storia politica italiana ricordi, gli ex colonnelli della ex Alleanza nazionale si ritrovano ai margini di quella che pensavano fosse la loro "casa comune", additati come "fascisti" dai loro stessi colleghi di partito.

Non è bene godere delle sventure altrui, anche se è vero che la vendetta è un piatto da servire freddo. Ma sentire Gianfranco Rotondi che telefona al vicepresidente di Fli per “riconoscere la sconfitta”, leggere di Franco Frattini che si lamenta per i “fascisti che ci hanno fatto cacciare Fini e ora vogliono mandare all’aria il governo Monti”, vedere le facce di Altero Matteoli e Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa che gridano contro “gli inciuci” per venire poi sconfessati dallo stesso Cavaliere, guardare le prime pagine del Secolo d’Italia che lanciano strali contro i tecnici e gli eurocrati mentre il Pdl tratta già sui nomi dei ministri: tutto questo non ha prezzo.
Per anni hanno raccontato - con orgoglio masochistico - la favoletta dello “sdoganamento”, per anni si sono genuflessi al Caimano, ne sono stati i corifei e i cani da guardia, hanno svenduto quel poco che restava dei loro valori (dalla legalità all’unità nazionale), si sono spartiti le briciole di Berlusconi atteggiandosi a fini statisti e lungimiranti politici con la convinzione di incarnare una "destra moderna". Ora sono lì, con la coda tra le gambe, senza prospettive, ridotti a interpretare il ruolo dei "fascisti" virato sui toni della caricatura. Politicamente “nudi”, ora che il berlusconismo si è sciolto, mostrano al paese la loro vera essenza. La stessa, anacronistica "identità" in cui il pifferaio di Arcore li ha ingabbiati. Inadeguati, fuori tempo e fuori luogo, pieni solo della loro retorica, mal sopportati e improvvisamente "imbarazzanti" per il resto del Pdl. Poveri colonnelli e povere colonnelline. Se ci facevano rabbia, oggi fanno quasi pena. Potevano pensarci prima. Ma forse (anzi sicuramente) è andata meglio così...
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Rotondi ammette: «Fini ha vinto, e noi ce ne andiamo a casa» .


Fini ha vinto e il Pdl ha perso. Chi l’ha detto? Un deputato futurista? Uno degli “eretici finiani” cacciato dal partito del predellino e ora felice spettatore del tracollo berlusconiano? No. A dirlo è stato Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma, democristiano doc, fedelissimo del premier e acerrimo nemico del governo Monti (ha minacciato di dimettersi da parlamentare, qualora l’ex commissario europeo varcasse la soglia di Palazzo Chigi con un esecutivo di larghe intese al seguito).

Il ministro - che qualche sera fa si confrontava proprio con il presidente della Camera negli studi di Ballarò - ha dunque riconosciuto la sconfitta, con una telefonata al vicepresidente di Futuro e libertà Italo Bocchino. «La mia coscienza mi ha suggerito un gesto di galateo come i sindaci sconfitti fanno col vincitore: ho chiamato Italo e ho riconosciuto che ha vinto lui, perché Fini resta presidente della Camera e noi andiamo a casa. Onore al merito del combattente che ci ha battuto».
E ora Rotondi si organizza. Franco De Luca, anche lui deputato del Pdl ed esponente della Dca avvisa: «I sopravvissuti della Prima repubblica si aggrappano a Monti sperando di prenotare la Terza, ma li aspetta il vento del Nord che stavolta soffierà anche a Sud; se Berlusconi rompe il centrodestra congeda la Lega e spacca il Pdl: così darà partita vinta a chi voleva la sua fine politica». Ieri, tutta la delegazione della Dca in Parlamento (il ministro Rotondi, De Luca e il senatore Mario Cutrufo) ha annunciato le dimissioni se il Pdl appoggerà il governo di Mario Monti: un modo, hanno spiegato, per consentire al partito di Berlusconi di avere comunque i voti, con il subentro dei primi non eletti, se riterrà di appoggiare una soluzione tecnica.

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mercoledì 9 novembre 2011

Ma non fidarsi è meglio... .


Gli oppositori del Cavaliere è bene che tengano lo champagne in frigo ancora per un po’. Sì, è vero: la maggioranza non c’è più, la frana nel Pdl è iniziata, la Lega ha chiesto ufficialmente un passo indietro al premier, lo stesso Berlusconi - dopo il voto di oggi alla Camera - è salito al Quirinale per “promettere” le sue dimissioni non appena sarà varata la legge di stabilità. Se il Caimano non fosse il Caimano, si potrebbe stare tranquilli. Ma il personaggio è noto, i metodi che è solito usare anche, e il colpo di coda resta (purtroppo) nel novero delle cose possibili. Anche un anno fa quel “tempo supplementare” che fu concesso dalle opposizioni (appena arricchite dalla componente finiana) proprio per votare la legge finanziaria, permise a Berlusconi l’acquisto dei responsabili. Che si possa ripetere lo stesso modulo? Che davvero il presidente del Consiglio arrivi a rimangiarsi le parole pronunciate dinanzi a Giorgio Napolitano? Che stia preparando una trappola, un ultimo gioco di prestigio? Forse. Ecco perché i fuochi d’artificio possono attendere.

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martedì 8 novembre 2011

Qui finisce la "traversata del deserto"? .


La Camera dei deputati, votando il rendiconto dello stato, ha servito il conto a Silvio Berlusconi e alla sua pseudo-maggioranza. Il mito del Cavaliere invincibile si è infranto, il fatto - a tutti evidente - che il Caimano e la sua Corte fossero “minoranza” nel paese si è trasformato finalmente in una “minoranza” numerica in Parlamento. Capolinea, il viaggio di B. (salvo spiacevoli sorprese dell’ultimo minuto) finisce qui. E finisce qui anche la “traversata del deserto” futurista. O almeno, finisce la parte più rischiosa, complessa, incerta.

La sfida lanciata più di un anno fa da Gianfranco Fini con l’ormai storico dito alzato, le accuse di cesarismo e di velinismo mosse al Pdl, le critiche alla egemonia leghista sulla maggioranza e alla sottovalutazione della crisi economica, l’idea di un altro centrodestra possibile e di un bipolarismo costruttivo, l’addio alle barricate ideologiche e l’obiettivo di un soggetto politico “nazionale” e “plurale”: era tutto giusto, e ora è tutto possibile. Quel che è accaduto dopo, sebbene Fini e il suo movimento non ne abbiano beneficiato subito dal punto di vista elettorale (anche per una serie di errori interni), non ha fatto che dimostrare la bontà di quell’intuizione. Finisce un viaggio e ne inizia un altro. Meno impervio, perché senza l’ombra del Signore di Arcore tutto sarà più facile. Ma non meno difficile e non meno ambizioso.
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domenica 6 novembre 2011

IL PUNTO (SULLA SCIOCCHEZZA DELLA GIUNTA)


40. «Sabrina, hai innalzato piramidi e hai dimenticato i fiumi!»

Domenica 6 novembre 2011

Lo spunto di riflessione ce lo offre, stamattina, un intervento di Massimo Bianchi sulla stoltezza di un’amministrazione che a tutto ha pensato fuorché ai servizi e alle vere necessità del proprio territorio.

Scrive Il Tirreno:

La protesta. Futuro e Libertà incalza sull’incuria del torrente. «Stella, cosa accadrebbe se piovesse come in Liguria?»

Sul torrente Stella incalza Futuro e Libertà: dopo la segnalazione dello stato di degrado del torrente apparsa ieri su Il Tirreno, il consigliere Massimo Bianchi lancia alcune riflessioni: «Guardando le immagini di Genova – spiega – avverto dei brividi alla schiena; è terribile vedere quanta povera gente abbia perso la vita e quanti abbiano perso tutto: affetti, auto, casa. Mi domando: come mai si è arrivati a tutto questo? Sono anni che a Quarrata sento parlare di casse di espansione che si annunciano come immediate ma alla fine, dopo dieci anni di slogan, saranno realizzate in 1300 giorni. Nel frattempo tanti cittadini hanno subito danni delle alluvioni. Fortunatamente non ci è mai scappato il morto. Quando negli ultimi tempi si sono verificate conseguenze infelici sono rimasto sorpreso nel sentire dire che la causa sarebbero le nutrie; la causa purtroppo è l’uomo che non ha più rispetto verso la natura e di conseguenza verso se stesso. Certo, le condizioni climatiche si sono stravolte negli ultimi anni, ma proprio per questo l’uomo dovrebbe interrogarsi su cosa avrebbe potuto fare per evitare quanto si sta verificando ovunque. Dappertutto vige l’incuria, non vengono più fatte le manutenzioni dei boschi, dei fossati e delle arterie fluviali; i principali torrenti negli ultimi 30 anni si sono ristretti a dismisura e i loro argini hanno subito vere e proprie violenze nella piena e totale indifferenza degli amministratori. Non ho mai più avuto risposta alla mia proposta di ispezionare gli argini a tappeto. L’incompetenza di pochi grava sulla tranquillità di tanti».

Bianchi chiama in causa l’incuria delle amministrazioni: ed ha ragione. A questo va aggiunto che, se invece di dare corso a opere inutili di abbellimenti (???) del centro città, con spese milionarie; se invece di chiedere alla Fondazione Caripit soldi per le scritte di Nannucci e per le fontane di Buren, come ebbe a dire Paci a Cialdi alla fine del Canto al Balì in cui Bardelli, dall’alto della sua scienza onnisciente, difese quella improponibile scelta, la Sabrina avesse chiesto soldi per mettere al sicuro Quarrata, almeno alcuni dei problemi non sarebbero ancor oggi sospesi sulla testa della gente.

Penso alla sicurezza di via Roma, più volte alluvionata, perché le fognature-sud di Quarrata sono per lo più otturate e non sono mai state ripulite.

Se invece di darsi a meeting della legalità e infruttuose opere della retorica, la Sabrina avesse seguito ed eseguito la manutenzione ordinaria del suo territorio e avesse stimolato il Consorzio Ombrone non a darsi agli appalti di grandi opere, ma ai fini istituzionali di manutenzione per i quali è nato, oggi avremmo meno preoccupazioni in testa. E qualche cassa di espansione in più.

Invece, anche insieme a Mari e alla Provincia, che non hanno voluto prendere chiara posizione in proposito, il Commissario straordinario Bargellini ha persino fatto variazioni di bilancio deviando fondi (12mila euro) alla gratificazione della già ben retribuita opera del direttore del Consorzio.

La Sabrina, l’illuminato-disastro di Quarrata, ha già fatto abbastanza per questa città, con i suoi sette nanetti ossequiosi.

È l’ora di mandare a casa non solo Lei, che comunque ci andrà, ma anche chi di Lei dovesse portarsi dietro, l’odore, il colore e il sapore. E solo a danno dei Quarratini che non lo meritano.

Buona domenica, Quarrata!

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