di SIMONA BONFANTE - Per la classe dirigente di un partito che, sulla mistificazione borderline di questioni alte – la civiltà liberale, il garantismo, i valori cristiani – ha creato il capitale lobbistico, oclocratico, tossico col quale ha campato sin qui, sentirsi dire che quel modo di fare non è politica, ma uno schifo, può risultare offensivo. Ma quello è: uno schifo. Nel liquidare come, appunto, un modo schifoso di fare politica, la reazione scomposta del Pdl alla notizia che il Ministro Paola Severino avrebbe incontrato riservatamente i leader di Udc e Pd per discutere di come sbloccare l’iter parlamentare del provvedimento contro la corruzione, il Ministro Riccardi non ha espresso un’opinione ma dato una definizione politologicamente impeccabile.
Buttarla in caciara quando il merito rode è consuetudine consolidata dei protagonisti di quel fallimento politico chiamato Seconda Repubblica – quindi, specularmente, del capace di tutto Berlusconi e del responsabile di niente Di Pietro, dell’anti-sistemico di sistema Bossi e del sistemico anti-sistema Vendola. Hanno fatto politica, costoro, nell’arco degli ultimi – diciamo – vent’anni? No, hanno fatto uno schifo. E pure certificato: dal tracollo della nostra tenuta sociale, democratica, finanziaria. L’hanno fatto loro il paese nel quale le imprese straniere non è che non vengono più ad investire, ma che proprio fuggono via qualora avessero avuto in passato l’idea – malsana – di poter riuscire a farlo nel paese con le caste, le corporazioni, la burocrazia che ha la presunzione di ritenersi non moralmente obbligata ad auto-riformarsi.
Intercettato dai giornalisti in un colloquio privato con la collega della Giustizia, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha detto, riferendosi al Pdl che gridava al tradimento: «Voleva solo creare il caso. Vogliono solo strumentalizzare: è la cosa che più mi fa schifo del fare politica. Ma quei tempi lì sono finiti». Mi permetto di dissentire su una cosa con il Ministro Riccardi: quei tempi non sarei così certa siano finiti davvero. 46 senatori del partito guidato da Angelino Alfano – che, come tutti sanno, è il leader del Pdl – hanno sottoscritto ieri una mozione di sfiducia ispirata, guarda un po’, dall’ex Ministro della Giustizia, Nitto Palma, di cui alzi la mano chi ricorda non dico i meriti ma, chessò, il record politico minimo (quello distinguibile dall’attività svolta, sul territorio, in sinergia con il collega Cosentino.
Eppure costoro, chiedono le dimissioni del ministro che – dicono – avrebbe offeso ‘la’ politica. Ma figuriamoci: Riccardi, semmai, la politica l’ha difesa. Ché la politica è missione nobile, è servizio alla democrazia. Non per polemizzare, ma quanti sono gli italiani che oggi ripongono fiducia nei partiti? Ecco, appunto.
Certo, vedere uno che non ha manco una lobby da servire, manco un pacchetto di voti da esaudire, muoversi libero, parlare libero e dare persino coerenza alle due facoltà – azione e parola – mi rendo conto debba fare rosicare – e non poco – i professionisti della mistificazione del consenso elettorale. Loro, che una libertà così non se la sono sognata neanche sotto le insegne del tycoon. Loro che, quando il Parlamento era il braccio operativo di un esecutivo diretto dai legali del premier, la giustizia era la priorità del paese che intanto, en passant, capitolava per inerzia all’incalzare della crisi. Loro che ora invece il governo, di giustizia, non si deve occupare. Come se la corruzione, l’incertezza del diritto, il sovvertimento della legalità non fossero la componente centrale della missione ‘salvataggio’ di cui l’attuale governo è stato chiamato ad onorare il mandato.
Buttarla in caciara quando il merito rode è consuetudine consolidata dei protagonisti di quel fallimento politico chiamato Seconda Repubblica – quindi, specularmente, del capace di tutto Berlusconi e del responsabile di niente Di Pietro, dell’anti-sistemico di sistema Bossi e del sistemico anti-sistema Vendola. Hanno fatto politica, costoro, nell’arco degli ultimi – diciamo – vent’anni? No, hanno fatto uno schifo. E pure certificato: dal tracollo della nostra tenuta sociale, democratica, finanziaria. L’hanno fatto loro il paese nel quale le imprese straniere non è che non vengono più ad investire, ma che proprio fuggono via qualora avessero avuto in passato l’idea – malsana – di poter riuscire a farlo nel paese con le caste, le corporazioni, la burocrazia che ha la presunzione di ritenersi non moralmente obbligata ad auto-riformarsi.
Intercettato dai giornalisti in un colloquio privato con la collega della Giustizia, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha detto, riferendosi al Pdl che gridava al tradimento: «Voleva solo creare il caso. Vogliono solo strumentalizzare: è la cosa che più mi fa schifo del fare politica. Ma quei tempi lì sono finiti». Mi permetto di dissentire su una cosa con il Ministro Riccardi: quei tempi non sarei così certa siano finiti davvero. 46 senatori del partito guidato da Angelino Alfano – che, come tutti sanno, è il leader del Pdl – hanno sottoscritto ieri una mozione di sfiducia ispirata, guarda un po’, dall’ex Ministro della Giustizia, Nitto Palma, di cui alzi la mano chi ricorda non dico i meriti ma, chessò, il record politico minimo (quello distinguibile dall’attività svolta, sul territorio, in sinergia con il collega Cosentino.
Eppure costoro, chiedono le dimissioni del ministro che – dicono – avrebbe offeso ‘la’ politica. Ma figuriamoci: Riccardi, semmai, la politica l’ha difesa. Ché la politica è missione nobile, è servizio alla democrazia. Non per polemizzare, ma quanti sono gli italiani che oggi ripongono fiducia nei partiti? Ecco, appunto.
Certo, vedere uno che non ha manco una lobby da servire, manco un pacchetto di voti da esaudire, muoversi libero, parlare libero e dare persino coerenza alle due facoltà – azione e parola – mi rendo conto debba fare rosicare – e non poco – i professionisti della mistificazione del consenso elettorale. Loro, che una libertà così non se la sono sognata neanche sotto le insegne del tycoon. Loro che, quando il Parlamento era il braccio operativo di un esecutivo diretto dai legali del premier, la giustizia era la priorità del paese che intanto, en passant, capitolava per inerzia all’incalzare della crisi. Loro che ora invece il governo, di giustizia, non si deve occupare. Come se la corruzione, l’incertezza del diritto, il sovvertimento della legalità non fossero la componente centrale della missione ‘salvataggio’ di cui l’attuale governo è stato chiamato ad onorare il mandato.
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