mercoledì 28 marzo 2012

MENO MALE CHE MARCO C’E'!!!……MA VAIA…VAIA….(C) Panariello



28/03/2012 Tag in: Insieme per Quarrata
Aprendo il giornale “La Nazione” stamattina, sono rimasto allibito di come, alcune persone, riescono a far girare a proprio favore situazioni per loro imbarazzanti.
Mi riferisco al vicesindaco Mazzanti.
La vicenda è relativa all’ascensore del cimitero di Santallemura, rimesso in funzione dopo dieci mesi di inattività.
A leggere l’articolo tutto il merito è dell’Assessore nonché vicesindaco Mazzanti, che ha visto il problema, l’ha valutato, ha trovato i fondi e l’ha risolto!
Meno male che Marco c’è! Verrebbe da dire.
Peccato per lui che, purtroppo, le cose non stanno così.
Sono stato io che, nel luglio 2011, con un “question time”, chiesi perché l’ascensore non funzionasse da tempo, sollecitato da un vostro articolo.
L’assessore Mazzanti rispose che il danno era dovuto ad infiltrazioni di acqua che mandavano in tilt l’impianto elettrico, dicendosi speranzoso di trovare i soldi per intervenire.
Nulla è successo fino al 5 marzo 2012, data in cui ho protocollato al Comune una interrogazione nella quale si chiedeva come mai l’ascensore, a distanza di 9 mesi dalla domanda, ancora non funzionasse, nonostante si continuasse a erogare oltre € 2.000,00 alla ditta che ne cura la manutenzione (manutenzione di una cosa che non funziona!).
Solo allora, l’Assessore ha trovato i soldi!
Infatti, solo venerdì 16 marzo diversi operai del Comune erano a ripristinare l’ascensore, in vista del Consiglio Comunale del 19 marzo, nel quale il Mazzanti ebbe a dire che il problema era risolto, ma senza specificare QUANDO era stato risolto (tre giorni prima).
Quindi, come ormai tutti sanno, il vicesindaco Mazzanti ha bisogno di continue sollecitazioni da parte di cittadini, consiglieri e altro per risolvere anche il più piccolo dei problemi.
Ma una idea di suo, ce l’ha?
Vogliamo davvero mettere nelle mani di quest’uomo il destino di Quarrata?

Alessandro Cialdi



Anticorruzione, il Pdl frena, ecco il "partito degli onesti"

Non c’è solo la Rai, a turbare la “luna di miele” tra Pdl e governo. All’orizzonte, superata la riforma del lavoro che sta mettendo in seria difficoltà il Partito democratico, si staglia la norma anti-corruzione, fortemente voluta da tutti ma non dai berlusconiani. E così il “partito degli onesti” di Angelino Alfano si ritrova ancora una volta a dover difendere i “furbetti della casta”, innalzando barricate contro il disegno di legge predisposto dall’esecutivo.
«Mentre Fli si impone un codice etico per le elezioni amministrative impedendo a chi ha pendenze con la giustizia di candidarsi - sottolinea il finiano Fabio Granata, vicecoordinatore di Futuro e libertà - il Pdl è sempre più lontano dall'essere il partito degli onesti: lo dimostrano le pressioni che stanno esercitando i vertici del partito di Berlusconi nei confronti del premier Monti e del ministro Severino per bloccare la riforma della giustizia e il disegno di legge anticorruzione». E il deputato futurista si rivolge direttamente al governo, affinché «respinga questi maldestri tentativi di persuasione del Pdl e vada dritto per la sua strada».
Ma d’altronde Angelino era stato chiaro, dal palco della scuola di partito di Orvieto: la priorità nazionale è il lavoro. La corruzione, la giustizia e la televisione pubblica possono attendere. Eppure, che la lotta alla corruzione sia una questione di interesse nazionale (e di crescita dell’economia, viste le cifre in ballo) è evidente a tutti, premier incluso. Per questo c’è da credere (e da sperare) che la fermezza di Monti non si esaurirà con la battaglia sull’articolo 18...
http://www.ilfuturista.it/

giovedì 22 marzo 2012

Ne valeva la pena?



Il presidente Napolitano spiega ogni giorno quanto è buona e necessaria la riforma del mercato del lavoro presentata dal governo.

Qualche domanda però è lecita. Davvero svuotare l’articolo 18 è necessario per far ripartire la crescita e rassicurare i mercati?

Sembra di no: gli economisti non sono riusciti a dimostrare che le imprese italiane restano nane per non superare la soglia dei 15 dipendenti che fa scattare l’articolo 18, gli investitori stranieri sono più spaventati dalla camorra, dalla mafia, dalla burocrazia e dalla politica più che dai giudici del lavoro, l’aumento di produttività dovuto al timore del licenziamento difficilmente compenserà anni di investimenti troppo bassi da parte delle imprese.

I mercati non sembrano folgorati: ieri lo spread è salito da 287 a 302 punti.

Possiamo almeno dire che è una riforma equa, che toglie ai vecchi per dare ai giovani, distribuendo tra generazioni il peso della crisi? In parte. È vero che finora l’insofferenza delle imprese per la rigidità del mercato del lavoro italiano è stata scaricata sui precari.

E la riforma del governo Monti, va sottolineato, introduce novità rilevanti a difesa dei lavoratori più fragili: basta con le false partite Iva, contratti precari più costosi per le aziende, spinge verso il canale dell’apprendistato che dovrebbe evitare l’eterna reiterazione dei contrattini a progetto.

Però c’è il contesto: la riforma delle pensioni condanna le imprese a tenere i lavoratori anziani, demotivati e poco produttivi, fino a 67 anni. Facilitando i licenziamenti economici si fornisce l’incentivo a liberarsene per sostituirli con altri, più giovani e più economici. I cinquantenni di oggi rischiano quindi di trovarsi senza lavoro, senza pensione e con pochi ammortizzatori sociali, “esodati”, come quelli (oltre 200 mila) travolti dalla riforma Fornero per aiutare i quali il governo non riesce a trovare le risorse.

D’accordo, i cinquantenni di oggi hanno avuto una vita più facile di quella dei loro figli. Ma sostituire un’emergenza sociale con un’altra non sarebbe un gran risultato.

Poi c’è la politica. La prova di forza di Monti, con la Cgil pronta allo sciopero generale, serve a compattare la maggioranza al centro, come auspica Napolitano? Per ora l’unico risultato è che l’asse Pdl-Udc è più forte, ma il Pd è traumatizzato, umiliato. A forza di isolare gli estremi il governo rischia di trovarsi con una base risicata. E forse a quel punto anche Monti dovrà chiedersi: ne valeva la pena?



di : Stefano FELTRI da :Il Fatto Quotidiano, 22 Marzo 2012

martedì 20 marzo 2012

ARTICOLO 18, VA DI MODA IL MODELLO TEDESCO, MA ALLORA PERCHE’ NON SI INTRODUCONO ANCHE I SALARI TEDESCHI?



NON CI SIAMO: PER LICENZIARE SI GUARDA ALLA GERMANIA, MA PER PAGARE I LAVORATORI IL MODELLO PIU’ VICINO PARE LA GRECIA…NAPOLITANO AMMONISCE: “SAREBBE GRAVE UN ACCORDO SENZA IL CONTRIBUTO DELLE PARTI SOCIALI”



È in corso l’incontro tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, e i sindacati confederali sulla riforma del mercato del lavoro.Il ministro Fornero cerca di stringere i tempi e incassare il sì del sindacato in vista del tavolo a Palazzo Chigi.All’incontro oltre al ministro Fornero partecipano il viceministro Michel Martone, i segretari generali di Cgil, Susanna Camusso, di Cisl, Raffaele Bonanni, di Uil, Luigi Angeletti, e dell’Ugl, Giovanni Centrella.Sul tavolo ci sono diversi temi, ma il nodo da superare resta quello dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.Per iniziare l’incontro, le parti sociali hanno dovuto attendere che Elsa Fornero terminasse l’incontro con il Capo dello Stato, durato circa un’ora, a con era presente anche il premier Mario Monti.Ore decisive per la riforma del mercato del lavoro.In una giornata cominciata presto e ancora da chiudere, in un vortice di contatti e di incontri alla vigilia del tavolo di martedì a Palazzo Chigi anche con il premier Mario Monti, i sindacati cercano una base comune, una mediazione sull’articolo 18, per evitare la rottura e andare avanti uniti.Mentre il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, esorta le stesse parti sociali perché «mostrino di intendere che è il momento di far prevalere l’interesse generale su qualsiasi interesse e calcolo particolare».Sarebbe «grave - dice - la mancanza di un accordo».E con il presidente della Repubblica, il premier Monti e il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, hanno avuto in serata un colloquio, incentrato proprio sulla riforma del mercato del lavoro.In vista dell’incontro con il governo, considerato decisivo per chiudere la partita, anche i leader di Cgil, Cisl e Uil si sono riuniti nella sede della Cgil per trovare una posizione comune sulla modifica dell’articolo 18.Anche se Susanna Camusso ha smentito l’esistenza di un documento condiviso sulla questione: «Non c’è».Così il segretario della Cgil, al termine dell’incontro con i leader di Cisl e Uil: «Si sta lavorando, si vedrà - ha aggiunto- ci continuiamo a sentire».Il fine settimana è stato segnato da dichiarazioni del governo che ha ribadito con il premier Mario Monti - che martedì presiederà il tavolo - e il ministro del Welfare, Elsa Fornero, la volontà di varare la riforma entro questa settimana, con o senza l’assenso delle parti sociali.I sindacati non hanno gradito la presa di posizione e hanno annunciato di non dare per scontato che l’accordo ci sarà dopo che la settimana scorsa sembrava che la cosa fosse sostanzialmente fatta.Nodo principale per i sindacati resta la modifica dell’articolo 18.Il modello sul quale punta il governo è quello tedesco.Il reintegro continuerebbe a essere garantito per i licenziamenti discriminatori. Possibile invece il licenziamento individuale per ragioni economiche a fronte di un indennizzo.Spetterà invece al giudice valutare, in caso di licenziamento per motivi disciplinari, se reintegrare il lavoratore o assegnargli un indennizzo.Si punta anche a velocizzare la durata delle cause del lavoro.Il leader della Uil, Luigi Angeletti, di solito dialogante, si è messo di traverso sulla possibilità che ci siano licenziamenti per motivi disciplinari.Anche Susanna Camusso che aveva aperto, nonostante le pressioni interne della Fiom, a modifiche sull’articolo 18 è tornata su posizioni più rigide.A favore di una mediazione a oltranza il leader Cisl, Raffaele Bonanni.Nel pomeriggio la Fornero incontrerà i rappresentanti di Rete Imprese Italia scontenti invece per i costi della riforma che aumenta i contributi a carico delle imprese per i contratti a termini e prevede una sorta di contributo in caso di licenziamenti.I metalmeccanici intanto hanno già deciso: due ore di sciopero da indire martedì in tutte le fabbriche contro ogni eventuale modifica dell’art. 18.È questa la proposta avanzata dal segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, al Comitato centrale riunito lunedì.«Proprio perchè ad oggi le condizioni per un accordo positivo non le vediamo - ha spiegato Landini - perchè le condizioni del Governo non sono accettabili e l’esecutivo vuole mettere mano all’art. 18, propongo che il Comitato centrale proclami per martedì almeno due ore di sciopero con modalità da definire in tutto il territorio nazionale per dire che non siamo disponibili ad accettare una modifica dell’art. 18. L’art. 18 non si può mettere in discussione».«Io ho sempre sostenuto che il mio impegno è massimo perchè si raggiunga un’intesa» con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. Lo ha detto il ministro del Welfare, Elsa Fornero, nel corso del suo intervento al convegno “TuttoPensioni” organizzato dal Sole 24 Ore.«Credo con molta sincerità - ha aggiunto - che una riforma raggiunta con il consenso delle parti sociali abbia un valore aggiunto che la stessa riforma approvata senza il consenso che non ha».



sabato 17 marzo 2012

Il futuro non è ancora avvenuto



Un anno e mezzo fa siamo stati buttati a mare dal Titanic berlusconiano, perché il capitano non sopportava che gli si dicesse che la rotta era sbagliata. Non ci eravamo imbarcati per i luccichii del salone delle feste e dallo stare ad ascoltare la musica poco prima di affondare non avremmo tratto né vantaggio, né consolazione.
ci siamo salvati trovando posto su di una scialuppa “inventata”, che ci ha permesso di salvare politicamente la pelle e di riprendere il viaggio. Questo è il successo di FLI: rientrare in rotta e a sopravvivere al disastro materiale e morale del “centralismo carismatico”. Non è stato certo un ripiego, ma un mezzo, non un fine.
La rotta è quella tracciata dalle “rotture” finiane. Ed è una rotta che ha portato a rimescolare le compagnie e a misurare l’inadeguatezza di un sistema e di una cultura politica imbullonata agli schemi della stagione berlusconiana e alle divisioni ideologiche di quella primo-repubblicana. La politica italiana ha iniziato a raccogliere i primi frutti di quelle rotture, e noi con essa. Se oggi il governo Monti può “fare sul serio” è perché Fini ha fatto saltare il banco dell’imprescindibilità berlusconiana e del suo irresistibile “fare finta”.
Se l’esecutivo ha potuto riacchiappare per i capelli un Paese sull’orlo del default, mentre Berlusconi diceva invece che “stava meglio degli altri”, è perché la politica si è svegliata dal sonno dogmatico, in cui il berlusconismo l’aveva addormentata. E la sveglia, per primi, l’abbiamo suonata noi.
Anche oggi penso che il nostro compito sia di stare qualche passo avanti rispetto ad un presente precario e comunque tutt’altro che eterno. Ciò che di buono c’è nella politica italiana si sta ancora “muovendo”. Lo stesso Terzo Polo come coalizione interpartitica sa ancora troppo di vecchio per incrociare una domanda politica sempre meno tradizionale e sempre più desiderosa di affidabili novità. Mi pare che i primi a saperlo siano Fini e Casini. Il futuro della politica italiana – e anche il nostro – non è ancora avvenuto.

mercoledì 14 marzo 2012

Formigoni, consegnati



L’indagine che riguarda il consigliere regionale Angelo Giammario non è inaspettata. Giammario compare già in altre indagini e la sua inopportuna vicinanza con alcuni esponenti delle cosche è stata oggetto di diversi dibattiti. Certo le perquisizioni al Pirellone che riguardano esponenti del governo lombardo sono all’ordine del giorno, le notizie a cui non possiamo (e non dobbiamo) abituarci arrivano con cadenza praticamente quotidiana ma il punto è etico, morale e strettamente politico.Infilarsi nell’analisi scollegata dell’indagato di turno (che sia Giammario, il presidente del Consiglio Davide Boni, la Minetti e sarebbe troppo lungo l’elenco per includerli tutti) finisce per salvare il responsabile di questo sfascio istituzionale e democratico: Roberto Formigoni.Proprio poche ore prima della notizia d’indagine su Davide Boni la stampa nazionale pubblicava la lettera con cui Formigoni si giustificava con Don Verzè sul dissesto finanziario del San Raffaele ma la notizia è scomparsa sotto la polvere delle indagini sull’esponente leghista. Come sempre in questi ultimi anni ci si dimentica di analizzare la sistematica serie di indagati, arrestati e rinviati a giudizio in Regione Lombardia come gli inevitabili anelli di un sistematico controllo del potere che per privatizzare le regole (oltre alle scuole e alla sanità) ha bisogno di servitori al soldo. Perché il modello Formigoni funzioni è necessario che alcune figure chiave (tra i funzionari, le corporazioni e nei partiti) si prestino all’asta incessante dei diritti rivenduti come privilegi e regalie. In un sistema lombardo dove evidentemente chi ha disponibilità finanziaria riesce a comprare anche gli strumenti democratici servono “svenditori” disponibili a farsi comprare. Che oggi sia Giammario, che ieri sia stato Ponzoni e che domani sarà qualsiasi altro, è il punto politicamente meno interessante.Per questo le analisi circoscritte non valgono più: il Consiglio Regionale della Lombardia ha poco meno di due anni ed è in pieno disfacimento morale, etico e rappresentativo. Dopo due anni si ritrova già una credibilità logorata e sconfitta. Formigoni dimostra di avere frequentazioni, amici, assessori, ex assessori e compagni di partito scelti con una chirurgica precisione negativa, il centrosinistra ha il portabandiera della scorsa battaglia elettorale (Filippo Penati) che ha dimostrato predisposizioni “sistemistiche” che non hanno certo avuto il sapore dell’alternativa e che sono finite nello stesso rivolo giudiziario e di inopportunità politiche.Formigoni si consegni. Agli elettori. E ad una regione che ha bisogno il prima possibile di recuperare il valore dell’opportunità politica e dell’intolleranza verso ladri e ladrocini (l’unica intolleranza che servirebbe, impellente).Gli altri propongano temi e modi (senza segreta ammirazione per il modello lombardo esistente, possibilmente).
DI: Giulio CAVALLI da: http://www.ilfattoquotidiano.it/

martedì 13 marzo 2012

Cari finiani, indietro non si torna




- di BENEDETTO DELLA VEDOVA – In tre mesi il governo Monti ha tagliato quel di più di rischio finanziario che stava perdendo l’Italia, costretta a indebitarsi a tassi insostenibili. Ne è prova, più ancora che il calo del differenziale con i bund, il fatto che oggi il debito italiano costi meno di quello spagnolo (a dicembre scorso i BTP decennali rendevano duecento punti base più dei bonos). Forse per questo, qualcuno sembra cominciare a pensare: “passata la festa, gabbato lo santo”. Da qui le impuntature e i veti e il diffuso sentimento di rivalsa sui “tecnici”.
Una cosa va detta però con chiarezza: i rapidi miglioramenti cui abbiamo assistito non sono “una grazia” concessa dal “santo” Monti, ma il frutto di un salto di qualità politico i cui risultati, potrebbero purtroppo essere altrettanto rapidamente vanificati dal ritorno alla “normalità” inconcludente della Seconda Repubblica. Non c’è nessun passato a cui tornare, ma una stagione di serietà e di riforme a cui dare continuità nei mesi e negli anni a venire. Questo è l’orizzonte politico di Fini e di Futuro e Libertà: essere protagonisti della nuova stagione che abbiamo contribuito in modo decisivo ad aprire. Dobbiamo lavorare per rafforzare il governo e la sua azione, partecipando agli oneri per poter condividere gli onori del montismo.
Dobbiamo costruire un progetto politico-elettorale fondato sull’assunto che indietro non si torna. Un progetto riformatore e pragmatico, “strano” e “radicale” come questo governo sobrio e moderato. Un progetto che non ripercorra le geometrie scontate dell’Italia berlusconiana, ma neppure di quella pre-berlusconiana. Questa deve essere l’avventura delle forze del Terzo Polo, aperta ad altro e ad altri. C’è il tempo, da qui alle elezioni, per suscitare la passione e la fiducia degli italiani.
Bisogna muoversi subito, però, superando di slancio gli spiacevoli incidenti di percorso delle elezioni amministrative. Per troppi, nel Pd e soprattutto nel PdL, il governo Monti è una parentesi che prima si chiude, meglio è. Per la maggioranza degli italiani – e per noi con loro – è una prospettiva da coltivare nel futuro, al di là dei nomi dei suoi protagonisti.



sabato 10 marzo 2012

W Riccardi, ché la politica cialtrona è uno schifo



di SIMONA BONFANTE - Per la classe dirigente di un partito che, sulla mistificazione borderline di questioni alte – la civiltà liberale, il garantismo, i valori cristiani – ha creato il capitale lobbistico, oclocratico, tossico col quale ha campato sin qui, sentirsi dire che quel modo di fare non è politica, ma uno schifo, può risultare offensivo. Ma quello è: uno schifo. Nel liquidare come, appunto, un modo schifoso di fare politica, la reazione scomposta del Pdl alla notizia che il Ministro Paola Severino avrebbe incontrato riservatamente i leader di Udc e Pd per discutere di come sbloccare l’iter parlamentare del provvedimento contro la corruzione, il Ministro Riccardi non ha espresso un’opinione ma dato una definizione politologicamente impeccabile.
Buttarla in caciara quando il merito rode è consuetudine consolidata dei protagonisti di quel fallimento politico chiamato Seconda Repubblica – quindi, specularmente, del capace di tutto Berlusconi e del responsabile di niente Di Pietro, dell’anti-sistemico di sistema Bossi e del sistemico anti-sistema Vendola. Hanno fatto politica, costoro, nell’arco degli ultimi – diciamo – vent’anni? No, hanno fatto uno schifo. E pure certificato: dal tracollo della nostra tenuta sociale, democratica, finanziaria. L’hanno fatto loro il paese nel quale le imprese straniere non è che non vengono più ad investire, ma che proprio fuggono via qualora avessero avuto in passato l’idea – malsana – di poter riuscire a farlo nel paese con le caste, le corporazioni, la burocrazia che ha la presunzione di ritenersi non moralmente obbligata ad auto-riformarsi.
Intercettato dai giornalisti in un colloquio privato con la collega della Giustizia, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio ha detto, riferendosi al Pdl che gridava al tradimento: «Voleva solo creare il caso. Vogliono solo strumentalizzare: è la cosa che più mi fa schifo del fare politica. Ma quei tempi lì sono finiti». Mi permetto di dissentire su una cosa con il Ministro Riccardi: quei tempi non sarei così certa siano finiti davvero. 46 senatori del partito guidato da Angelino Alfano – che, come tutti sanno, è il leader del Pdl – hanno sottoscritto ieri una mozione di sfiducia ispirata, guarda un po’, dall’ex Ministro della Giustizia, Nitto Palma, di cui alzi la mano chi ricorda non dico i meriti ma, chessò, il record politico minimo (quello distinguibile dall’attività svolta, sul territorio, in sinergia con il collega Cosentino.
Eppure costoro, chiedono le dimissioni del ministro che – dicono – avrebbe offeso ‘la’ politica. Ma figuriamoci: Riccardi, semmai, la politica l’ha difesa. Ché la politica è missione nobile, è servizio alla democrazia. Non per polemizzare, ma quanti sono gli italiani che oggi ripongono fiducia nei partiti? Ecco, appunto.
Certo, vedere uno che non ha manco una lobby da servire, manco un pacchetto di voti da esaudire, muoversi libero, parlare libero e dare persino coerenza alle due facoltà – azione e parola – mi rendo conto debba fare rosicare – e non poco – i professionisti della mistificazione del consenso elettorale. Loro, che una libertà così non se la sono sognata neanche sotto le insegne del tycoon. Loro che, quando il Parlamento era il braccio operativo di un esecutivo diretto dai legali del premier, la giustizia era la priorità del paese che intanto, en passant, capitolava per inerzia all’incalzare della crisi. Loro che ora invece il governo, di giustizia, non si deve occupare. Come se la corruzione, l’incertezza del diritto, il sovvertimento della legalità non fossero la componente centrale della missione ‘salvataggio’ di cui l’attuale governo è stato chiamato ad onorare il mandato.



venerdì 9 marzo 2012

La Lega ultimo partito della prima Repubblica .



E’ facile andare in queste ore con la memoria a quel giorno in cui il deputato della Lega Luca Leoni Orsenigo esibiva nell’aula di Montecitorio la forca contro i ladri di tangentopoli.Eppure quell’immagine, che molti giornali hanno deciso di riesumare, potrebbe essere fuorviante ai fini di un’analisi corretta del fenomeno Lega.Essa infatti rinvierebbe ad una presunta diversità del Carroccio in tema di corruzione che non trova fondamento nemmeno se allunghiamo lo sguardo agli anni ruggenti del crepuscolo della prima Repubblica, quando la Lega, strumentalmente, faceva la parte del partito fuori dal coro.No. Se c’è una fotografia che può spiegare anche ciò che sta accadendo oggi, questa è quella che ritrae il capo della Lega dinanzi ai pubblici ministeri della Procura di Milano, per la tangente che il suo partito ricevette dal gruppo Ferruzzi.Si, quella foto in cui Umberto Bossi è seduto sulla stessa sedia su cui si erano seduti i principali leader della prima repubblica.Foto emblematica, evocativa, che parlava da sola: Bossi e la Lega, che pure si erano affermati cavalcando l’inchiesta mani pulite, in quell’inchiesta ci finirono come tutti gli altri.Passarono così dall’esibizione del cappio all’avvertimento per i giudici che “al nord le pallottole costano trecento lire”.La tangente Enimont è stato il battesimo della Lega con la prima Repubblica, dalla quale, a differenza degli altri partiti, non ne sono mai più usciti.La Lega rappresenta oggi l’ultimo partito di quella stagione politica. Non ci sono più la Dc e il Psi, nemmeno il Pci ed il Msi, ma la Lega si, c’è ancora, con lo stesso simbolo, lo stesso nome, lo stesso segretario e, soprattutto, con tutti i vizi che i partiti di allora assommavano.Valga anche per i loro esponenti il principio della presunzione di innocenza, ma, per carità, non dicano mai più “Roma ladrona”…..



di Luigi Pandolfi



Saviano: «Varare subito la legge anticorruzione» il PDL ponga fine al boicottaggio



«Si deve fare subito la legge anticorruzione», chiede Roberto Saviano. E - intervenendo su Repubblica.it - l’autore di Gomorra chiede che a prendere un provvedimento non più rinviabile siano «tutte le forze politiche», anche su impulso del governo, se necessario.
E in effetti la battaglia parlamentare per introdurre norme più severe è frenata costantemente dai “soliti noti”, ovvero il Popolo della libertà. Futuro e libertà, Partito democratico, Italia dei valori, Udc: le forze politiche si stanno muovendo da mesi per accelerare i tempi di una legge che - come spiega anche Saviano - «al di là dell’aspetto morale aiuterebbe anche l’economia “onesta”, il che è aspetto fondamentale in un momento di crisi come questo».
«È importante - prosegue Saviano - l’aumento dei tempi di prescrizione per i reati di corruzione. Ma è importante anche l’introduzione del reato di corruzione tra privati, ovvero il traffico di influenza: le mafie lo considerano oggi come un “territorio vergine” a loro disposizione».
Si è aspettato fin troppo. «I gruppi politici - continua lo scrittore - che stanno boicottando il provvedimento se ne assumano la responsabilità». Così i cittadini vedranno, e sapranno giudicare, chi si è opposto e chi invece ha lavorato a una norma di legalità e di civiltà.