martedì 20 novembre 2007

Aborto - Desideriamo sapere chi protegge la pillola Ru486

Questa volta è vero: la Exelgyn, l’a­zienda che produce la pillola a­bortiva Ru486, ne ha chiesto la regi­strazione all’Aifa, l’ente italiano di con­trollo dei farmaci. Negli ultimi due an­ni lo stesso annuncio è stato fatto al­meno una decina di volte; poi, rego­larmente, il grande evento non si veri­ficava.
La Exelgyn diffida dei Paesi in cui esiste un’opinione pubblica vigile, capace di intentare cause legali o di a­prire il dibattito su questioni imbaraz­zanti. È per questo che la ditta france­se non ha mai voluto commercializ­zare la Ru486 in America, nonostante il presidente Clinton l’abbia pregata insistentemente di farlo. Queste pres­sioni sono ormai pubbliche, grazie all’apertura degli Archivi Clinton, e al­trettanto pubbliche sono le lettere di ri­sposta inviate al presidente americano dalla Exelgyn, in cui si afferma chiara­mente che l’azienda sarebbe entrata nel mercato Usa solo se l’amministra­zione Clinton le avesse garantito una sorta di immunità giudiziaria. Alla fi­ne, piuttosto che cedere, la ditta ha pre­ferito regalare il brevetto a un’organiz­zazione antinatalista americana, sot­traendosi così a ogni responsabilità legale.
La Exelgyn aveva visto giusto: è negli Stati Uniti che lo scandalo delle don­ne morte –15, a tutt’oggi – e degli e­venti avversi provocati dal farmaco è fi­nalmente approdato sui mass media, con un giornale 'liberal' come il New York Times a fare da battistrada. Tutt’altra storia in Europa, dove le mor­ti non hanno mai avuto l’onore di un titolo di cronaca, nemmeno quando la vittima era figlia del presidente del Comitato nazionale di bioetica fran­cese. L’Italia, però, è un Paese anoma­lo. Ci sono i cattolici, c’è una parte di laici che si rifiuta di aderire alle bana­lizzazioni del dogmatismo scientista, c’è stata una vittoria significativa al re­ferendum sulla legge 40.
Così la Exelgyn ha preso tempo. Non avendo fiducia nella sicurezza del proprio pro­dotto, ha cercato, come sempre, l’ap­poggio dei politici, e alcuni hanno ri­sposto.
Inizia quindi la campagna a favore del­la pillola, che prosegue nonostante il fallimento della sperimentazione a­perta nel settembre 2005 all’ospedale torinese Sant’Anna. Qualche assesso­re regionale alla Sanità, come Enrico Rossi in Toscana, decide di promuo­vere l’importazione diretta del farma­co. Ma l’azienda esita ancora, vuole im­pegni più circostanziati, o forse a livel­lo più alto.
Le garanzie evidentemen­te arrivano, se la Exelgyn dichiara og­gi ad 'Avvenire' che la richiesta di re­gistrare il farmaco proviene da «auto­rità italiane».Quando e da chi arriva la richiesta, e perché la politica è così interessata a un metodo abortivo? Quando, non lo sap­piamo. Sappiamo però che l’azienda ha mutato atteggiamento dopo il con­vegno romano della Fiapac, la Federa­zione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, tenuto un an­no fa e sponsorizzato proprio dalla Exelgyn.
In quell’occasione il ministro Emma Bonino e Maura Cossutta, con­sulente del ministro della Salute, por­tarono ai convegnisti il proprio ben­venuto. Il perché, invece, lo sappiamo benissimo: la Ru486, sinonimo di a­borto a domicilio, serve a scardinare l’attuale legge sull’aborto senza pas­sare dal Parlamento, dove non c’è una maggioranza per modificarla.
Il ministro Livia Turco ha garantito che, nel caso la pillola fosse autorizzata dal­­l’Aifa, si adopererà «affinché l’impiego del farmaco avvenga nel totale rispet­to delle esigenze di tutela della salute della donna, garantite dalla legge 194». Noi le crediamo, ma che «autorità ita­liane » abbiano sollecitato la Exelgyn desta serissime preoccupazioni. In­trodurre la pillola abortiva è una scel­ta etica e politica grave. E noi non sta­remo a guardare.

Eugenia Roccella – l’Avvenire

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