Per la prima volta in tanti anni, Silvio Berlusconi è pronto a fare un passo indietro. Almeno stando a quanto raccontano retroscena e indiscrezioni, il capo del governo ha capito di essere un problema per il suo paese, e ha scoperto di non avere più la forza di “fare”, di decidere, di imporre, di contrattare, a partire dalla riforma (ineludibile) delle pensioni. Ha capito (forse) che il suo viaggio è finito, che è meglio passare la mano ad altri in attesa di una campagna elettorale che - in cuor suo - è ancora convinto di poter ribaltare a suo favore.
Ma intanto una cosa è certa: nella notte sembra essersi dissolta la sua magia. Si è spezzato definitivamente l’incantesimo del pifferaio di Arcore, infranto dalla realtà dei fatti, dall’urgenza della crisi, dalle risate dolorose di Merkel e Sarkozy, dall’oggettiva incapacità del governo di prendere decisioni “vere” e incisive su un tema impopolare come quello delle pensioni.
Ci ha provato fino all’ultimo, con i suoi soliti giochi di prestigio (quelli che finora gli hanno sempre garantito un certo successo): il carisma, le promesse, l’ottimismo, il ghe pensi mi, la sicurezza ai limiti del senso di onnipotenza, perfino i condoni annunciati e poi smentiti, in un crescendo confusionale che è il segno concreto dell’impasse. Non funziona più, non serve più. L’unico suono che esce dal piffero di Arcore è una triste cacofonia che non incanta più nessuno. Nemmeno lui.
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