lunedì 17 novembre 2008

VILLARI, VILLANI E DEMOCRISTIANI...


Fatta eccezione per l’affamato Pannella, costretto ad un nuovo sciopero contro le dimissioni di Villari, tutto il mondo politico dell’opposizione è un coro di: “dimettiti!”. Alcuni, tra cui la Finocchiaro, con la faccia truce e livida per aver mal digerito la nomina frutto del putch del centrodestra, altri affrontano la questione adoperando toni più velati. Il fatto è che schierarsi da una parte o dall’altra, nel frangente, è chiedere troppo. Persino a chi, come il sottoscritto, pur lontano dalle idee che muovono il moderno centrodestra, aveva fatto della simpatia umana verso il premier la principale motivazione delle sue prese di posizione. È difficile schierarsi perché i contendenti, Villari e Orlando, hanno lo stesso olezzo delle cripte nelle chiese, quel misto tra umido e ammuffito che ben si sposa con un certo modo di far politica tanto caro ai governanti del passato, ovvero il clichè democristiano. Già perché, non solo gli esponenti della tenzone sulla vigilanza R.A.I. provengono dalla notte dei tempi di quel partito, ma anche per il modo con cui la vicenda dell’elezione è stata condotta. Il lavorio ai fianchi di Bocchino (AN), degli esponenti della stessa commissione in quota maggioranza, su quelli della opposizione hanno generato, in un moto di distrazione e quasi notte tempo, l’elezione del napoletano presidente che, dopo una vita passata ai margini della politica, senza mai aver ricevuto un incarico degno di nota, si ritrova adesso nella posizione del cane che ha addentato l’osso e al quale, adesso, risulta difficile strapparlo di bocca. Certo c’è il pregio di aver sanato il vulnus della mancanza della guida della commissione che durava ormai da mesi, ma non basta per poter, nel frangente, esprimere note commendevoli ai protagonisti. Protagonisti che sono anche i membri del PD e dell’IDV. I primi vogliono le dimissioni di Villari o altrimenti provvederanno alla sua espulsione dal partito. Dai comportamenti neo democristiani, essi, ricordano di avere un passato comunista e si comportano alla stessa stregua di quel tale Togliatti che non esitava ad epurare i colleghi che non erano capaci di allinearsi al volere del “grande” partito. Essi però con la stessa tenacia con cui vogliono la testa di Villari si ostinano a difendere la logica democristiana dello scambio di poltrone a suggello di accordi, quelli presi mesi or sono tra Veltroni e Di Pietro. Del resto l’alleanza, sin qui fin troppo messa a dura prova, tra i due partiti, è frutto proprio di questa intesa sulle poltrone da spartire. Al democristiano siculo Leoluca Orlando deve andare quella poltrona. Da qui tutte le accuse di scorrettezza istituzionale rivolte alla maggioranza. Eppure quella stessa maggioranza seppe cambiare nome da Pecorella a Frigo, in una analoga vicenda, quello che Veltroni non sa fare. Si impunta, accusa, si sdegna, epura, accontenta, ma non propone una alternativa che sia una, eppure di nomi di garanzia reale il Pd ne avrebbe da spendere. Io ho tracciato il quadro, adesso tocca a voi decidere chi sia il villano e chi il democristiano.

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