(NON) ABILE E ARRUOLATA ANCHE LA MORATTI CHE LASCIA IL SUO APLOMB PER INDOSSARE I GUANTONI, MA NEL NUOVO RUOLO E’ CHIARAMENTE A DISAGIO…PENSAVA DI ASSESTARE IL COLPO DECISIVO MA E’ FINITA STESA SUL RING… IL BALLOTTAGGIO SI AVVICINA
Mai avremmo immaginato di vedere Letizia Moratti come ieri.
Di lei tutto si poteva dire tranne che fosse in sintonia con la politica urlata e un po’ killer dei nostri tempi.
Una politica fatta di insulti, di riesumazioni di peccati di gioventù, di dossieraggi. Il sindaco di Milano fino a ieri è stata tutt’altro e, se aveva difetti, erano di segno opposto: per quelli del suo schieramento, semmai, era troppo timida e troppo poco passionale, perfino algida, insomma inadeguata a stare sul palcoscenico, a scaldare i cuori, a strappare l’applauso; per i suoi rivali invece la freddezza era il segno di un irreale distacco dalla città e dal mondo, dai problemi della gente comune. In ogni caso – ripetiamo: fino a ieri – Letizia Moratti era, nel bene e nel male, una donna di addirittura eccessivo self control, anzi di gelido aplomb.
Ieri abbiamo vista un’altra Moratti.
Alla fine del confronto su Sky con il suo rivale candidato sindaco, Giuliano Pisapia, ha colpito basso, con un’arma segreta che evidentemente aveva tenuto in serbo durante tutta la trasmissione per poter chiudere con un colpo di teatro, anzi con un colpo da pugile che avrebbe dovuto mettere ko il suo avversario.
Il sindaco di Milano ha così abbandonato il suo bon ton per passare all’attacco personale.
Diciamo subito che in questo ruolo Letizia Moratti è parsa evidentemente a disagio.
Non era lei, e lo si è visto da com’erano contratti i suoi lineamenti e da come fosse assente, sotto i suoi panni, il sacro furore di una Santanchè.
Oltretutto, dev’essere anche stata imbeccata male, perché il dossier sbandierato –una condanna per furto d’auto – era una patacca.
Il cambio di marcia della Moratti comunque c’è stato, ed è evidentemente un ribaltone rispetto all’inizio della campagna elettorale, quando il sindaco di Milano aveva posto un “o io o lui” alla presenza in consiglio comunale di Roberto Lassini, il candidato del Pdl che ha tappezzato Milano con i manifesti “Via le Br dalle Procure”.
E forse non è un caso che il ribaltone abbia seguito di poche ore l’uscita, sul Giornale, di un editoriale del direttore intitolato “Elezioni come un ring. E’ giusto suonarle”.
Evidentemente nel centro destra sono convinti che per raggiungere la pancia del proprio elettorato un Lassini è più efficace di un’educata signora della Milano bene; e così è partito un ordine di scuderia.
Letizia Moratti ha dovuto obbedire.
Ma perché s’è deciso questo inasprimento dei toni?
Da sinistra si è subito risposto così: il centro destra a Milano è nervoso perché ha paura di perdere. Che lo dica la sinistra, è ovvio, Ma è anche plausibile?
A prima vista, una sconfitta del centro destra a Milano appare quasi impossibile. Però ci sono alcuni numeri e alcuni fatti che turbano i sonni del Cavaliere, il quale sa bene quali disastrose conseguenze avrebbe per lui la perdita di Milano. Cominciamo dai numeri.
Nel 2006 Letizia Moratti vinse al primo turno con il 51,97 per cento: ma aveva nella propria coalizione l’Udc e i finiani, che ora non ci sono più.
Il margine appare ancora più esiguo se lo si conteggia, anziché in percentuale, in voti: 35 mila in più del candidato del centrosinistra, che era il debolissimo Bruno Ferrante.
Ma andiamo avanti.
In quelle elezioni comunali, il Pdl prese il 41,8 per cento; alle politiche del 2008 è sceso al 36,9; alle regionali del 2010 al 36.
Sempre alle regionali del 2010, e alle provinciali del 2009, a Milano città il candidato del centro sinistra Filippo Penati ha superato quelli del centrodestra, Roberto Formigoni e Guido Podestà.
Insomma, anche se il Cavaliere ha fatto girare un sondaggio dei suoi, che dà la Moratti vincente al primo turno con il 52 per cento, i numeri reali non sono del tutto rassicuranti.
E poi c’è ci sono quelli che abbiamo chiamato “alcuni fatti”.
Si potrebbe anche dire che per il momento sono, più che fatti, suggestioni.
Stiamo parlando dell’atteggiamento del tradizionale alleato, la Lega.
Quanta voglia ha di impegnarsi per la Moratti? I leghisti non la amano.
Bossi non è andato ai suoi comizi, al massimo ha acconsentito che lei venisse a uno dei suoi.
Ma se queste sono appunto suggestioni, ci sono anche dei fatti.
E i fatti dicono che in queste amministrative c’è effettivamente una prova di disimpegno da parte della Lega.
In Lombardia il Carroccio propone 70 candidati sindaco e, di questi, 49 corrono da soli.
In sette importanti comuni – Desio, Rho, Gallarate, Cassano d’Adda, Malnate, Nerviano e San Giuliano Milanese – la Lega ha rotto con il Pdl.
Bossi in questa campagna elettorale sta privilegiando soprattutto questi comuni, è stato certamente più volte (quattro) a Gallarate che a Milano: vorrà dire qualcosa?
E vorrà dire qualcosa anche quella battuta che Maroni – uno che non parla mai a caso – s’è lasciato scappare appunto a Gallarate?
Ha detto che la scelta di rompere con il Pdl in quel comune – che, non dimentichiamolo, è in provincia di Varese, la culla del leghismo – “ci riporta alle origini e indica anche una possibile strada per il futuro”.
Non è chiaro se la Lega lanci questi messaggi perché davvero sia tentata di rompere, oppure se si tratti delle solite strategie interne all’alleanza.
Ma che Berlusconi cominci a essere irritato, l’ha scritto anche il Giornale.
Ecco insomma le preoccupazioni del centro destra.
Preoccupazioni che hanno portato avanti la linea dei falchi.
Una linea però rischiosa, tanto che la prima uscita della Moratti alla Gattuso pare aver prodotto un autogol.
Michele Brambilla
(da “La Stampa”)
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