Una fine silenziosa, quasi delicata, amorevole. È così che se ne va Lucio Magri, fondatore del Manifesto, a 79 anni, quando la vita, per lui, innamorato della sua Mara, era diventata insostenibile. Per questo ha scelto di seguirla e di essere sepolto con lei, a Recanati. Non ha voluto fare troppo rumore, e, per non morire solo, l'ha fatto in Svizzera, da un amico medico. Là, dove il suicidio assistito è una pratica legale, basta decidere. E non è facile.
Eppure Magri l'ha fatto, circondato dalle foto della moglie, dai ricordi ormai troppo struggenti, dai familiari e dagli amici di una vita di passione politica. Protagonista della sinistra eretica se ne va allo stesso modo: compiendo un'eresia, agli occhi di chi è pronto a giudicare il dolore e la sofferenza altrui. E allora questa morte farà discutere quanto la sua vita, anche se ha cercato di consumarla in silenzio, nel rispetto degli affetti.
Quegli stessi affetti che oggi meritano delicatezza e non i toni accesi di una inutile polemica cui, purtroppo, il tono del dibattito ci ha nel tempo abituato. Una polemica temuta da chi ritiene che oggi non sia tempo di sguardi infuocati pronti a giudicare, né di dita puntate, di regole sulle vita e sulla morte e sull'amore. Perché regole non ce ne sono. Ogni storia, e ogni fine di una storia, è un mondo a sé, prezioso. Anche nell'ultimo, struggente, gesto.
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