La Camera dei deputati, votando il rendiconto dello stato, ha servito il conto a Silvio Berlusconi e alla sua pseudo-maggioranza. Il mito del Cavaliere invincibile si è infranto, il fatto - a tutti evidente - che il Caimano e la sua Corte fossero “minoranza” nel paese si è trasformato finalmente in una “minoranza” numerica in Parlamento. Capolinea, il viaggio di B. (salvo spiacevoli sorprese dell’ultimo minuto) finisce qui. E finisce qui anche la “traversata del deserto” futurista. O almeno, finisce la parte più rischiosa, complessa, incerta.
La sfida lanciata più di un anno fa da Gianfranco Fini con l’ormai storico dito alzato, le accuse di cesarismo e di velinismo mosse al Pdl, le critiche alla egemonia leghista sulla maggioranza e alla sottovalutazione della crisi economica, l’idea di un altro centrodestra possibile e di un bipolarismo costruttivo, l’addio alle barricate ideologiche e l’obiettivo di un soggetto politico “nazionale” e “plurale”: era tutto giusto, e ora è tutto possibile. Quel che è accaduto dopo, sebbene Fini e il suo movimento non ne abbiano beneficiato subito dal punto di vista elettorale (anche per una serie di errori interni), non ha fatto che dimostrare la bontà di quell’intuizione. Finisce un viaggio e ne inizia un altro. Meno impervio, perché senza l’ombra del Signore di Arcore tutto sarà più facile. Ma non meno difficile e non meno ambizioso.
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