martedì 7 ottobre 2008

PER UN PUGNO DI VOTI


IL CAPO dello Stato lancia dal Vaticano l’allarme razzismo. Per Veltroni è emergenza nazionale. Le anime belle (e anche quelle brutte) della sinistra si danno convegno sui teleschermi, nelle piazze, sui giornali. Denunciano sopraffazioni xenofobe. La colpa è del ‘clima’, del berlusconismo, del maronismo. Se la prendono con la polizia che a Ciampino ha fermato una somala già nota per contrabbando di droga. Marciano per condannare l’uccisione a Milano di un giovane di colore (nero e negro sono al di fuori del politically correct). Ma — forse è il caso di ricordarlo — non fecero una piega quando, qualche tempo fa nelle Marche, un rom ubriaco investì e uccise quattro persone senza peraltro finire in prigione.Siamo davvero tanto cattivi? E se lo siamo, come sconfiggere la ‘deriva’ razzista, mi chiedono alcune e-mail? La risposta ovvia è: l’integrazione. Intendo l’integrazione sociale e economica, come sta avvenendo in molte province del Nord, in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, che sono un modello per tutta l’Europa.Ma non è questo il traguardo inseguito da chi ci (e si) dipinge come un popolo di ipocriti sciovinisti indulgenti o complici di fronte a pestaggi e insulti. Il traguardo è la concessione del diritto di voto. Dapprima a livello locale, amministrativo. Successivamente a livello politico. E se ne comprende il perché: in ogni nazione che abbia conosciuto fenomeni migratori, la prima generazione vota in grande prevalenza a sinistra. E’ accaduto fra gli italo-americani: sino alla metà del secolo scorso erano quasi tutti democratici, ora sono quasi tutti repubblicani.E’ giusto, mi chiedono ancora? Sarebbe giusto, anzi doveroso far votare quegli immigrati che hanno la cittadinanza italiana. Per ottenerla ci vogliono dieci anni di residenza legale. Si può discutere se ridurla a cinque come avviene negli Stati Uniti. Ma il passaporto è una condizione pregiudiziale. E non solo negli States.Se diamo un’occhiata all’Europa, vediamo che solo la Gran Bretagna fa un’eccezione per i cittadini provenienti da Paesi del Commonwealth. E a livello locale le eccezioni più note sono in Danimarca, Svezia, Finlandia, Svizzera, Portogallo (per i brasiliani). La chiusura dei grandi Paesi dell’Ue si spiega con la consapevolezza di due grandi ostacoli. Il primo riguarda, come in Italia, la Costituzione: va emendata e ci vuole una maggioranza qualificata. Il secondo è di opportunità: le elezioni amministrative hanno talvolta una forte valenza politica. (cesaredecarlo@cs.com), La Nazione, 6 Ottobre 2008

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