martedì 9 dicembre 2008

La bassa cucina di «Famiglia Cristiana»


Un'abbondante dose di disinformazione, una buona quantità di antiberlusconismo, quanto basta di antipolitica, un pizzico di politicamente corretto per condire il tutto... e la ricetta è bell'è pronta. La cucina di Famiglia Cristiana, il settimanale dei paolini che, come il nome stesso dice, dovrebbe occuparsi e preoccuparsi di rappresentare la cara e vecchia «buona stampa» nelle case dei cattolici italiani, da un po' di tempo a questa parte ha abbandonato la sua originaria missione e, forse anche per contrastare il calo di abbonamenti e vendite, si è trasformata in una bocca da fuoco contro il governo Berlusconi e contro ogni suo provvedimento. Che l'attuale presidente del Consiglio non piacesse a Famiglia Cristiana sin dal momento del suo ingresso in politica è cosa nota. Ma la campagna anti-Cavaliere inaugurata quest'estate con l'accusa di fascismo e di razzismo rivolta al suo governo è davvero senza precedenti nella storia della rivista.
Questa settimana, ad essere presi di mira, sono i provvedimenti varati dall'esecutivo col decreto anti-crisi, in particolare la social card e il bonus famiglie. Secondo FC, col decreto in questione «la montagna ha partorito un topolino»; trattasi di «demagogia, più che dell'inizio di una politica familiare seria». E poi la sparata ad effetto, che vorrebbe produrre perfino ilarità, ma al prezzo di giocare sulla pelle degli italiani in difficoltà, quelli per i quali i 40 euro mensili della carta sociale davvero sono importanti se paragonati al reddito percepito: «E' come dare l'aspirina - scrive Famiglia Cristiana - a un malato terminale». Bella battuta. Peccato che di mezzo vi siano, come detto, le persone in carne ed ossa che non arrivano o che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, e che soltanto un cinismo senza confini può definire come «malati terminali». Si dirà: la rivista si riferiva al sistema-Italia nel suo complesso, di certo non ai poveri. Bene. Ma, se le parole hanno un senso, resta l'impressione che tutto faccia brodo per attaccare il governo, costi quel che costi.
Impressione confermata dal prosieguo dell'articolo, dove nessuna seria e approfondita analisi dei benefici (piccoli o grandi che siano) di cui potranno godere i cittadini in difficoltà è presente. In compenso, abbondano i giudizi meramente propagandistici come il seguente: «La borsa, quella vera, quella colma di denaro, sarà a disposizione delle banche, che hanno bisogno di soldi freschi per i loro affari». Dove sta scritto? Quale atto del governo può confermarlo? Domande destinate a rimanere senza risposta. E ancora: «Tremonti ha inventato la social card, poteva chiamarla "tessera del pane" (come Mussolini) o "carta della povertà": era lo stesso. Almeno, era più sincero». Ci risiamo con le accuse gratuite di fascismo, ormai immancabili nelle pagine del settimanale paolino.
Ma quanto poco importi a Famiglia Cristiana di dare un'informazione obiettiva ai suoi lettori, mettendo da parte almeno per un istante la battaglia preconcetta contro il governo, è documentato soprattutto dalla macroscopica contraddizione nella quale cade l'editorialista. Dapprima, come abbiamo visto, urla ai quattro venti che le misure votate dal Consiglio dei ministri sono insufficienti per affrontare la crisi, non bastano, non risolvono alcun problema, la social card «è meno di quanto la gente ruba per fame nei supermercati» e via strologando. Poi, come se niente fosse, ecco la giravolta logica: «La parola magica (usata dal governo, ndr) è bonus, cioè "carità". Che è cosa buona, ma non deve farla lo Stato». Dunque, dopo averci detto e ridetto in tutte le salse che il decreto è, nel migliore dei casi, un pannicello caldo, Famiglia Cristiana ci fa scoprire all'ultima riga, con un coupe de theatre, che lo Stato di queste cose non se ne deve occupare.
Ora, delle due l'una: o l'ultima frase cancella tutto il resto dell'articolo oppure è vero il contrario. Perché, se il principio aristotelico di non contraddizione è ancora vigente, è chiaro che non è possibile essere al medesimo istante campioni dello statalismo (il governo doveva fare di più) e del liberismo (il governo non doveva fare niente). A meno che la logica non sia stata abbandonata sull'uscio di casa nel momento in cui si partiva lancia in resta per l'ennesima crociata contro il nemico numero uno...

Ragionpolitica.it, di Gianteo Bordero, venerdì 5 Dicembre 2008.

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