venerdì 12 dicembre 2008

SCIOPERO/ Bonanni: la Cgil sbaglia. Contro la crisi non servono la piazza e il conflitto



In modo ostinato e preconcetto la Cgil si avvia a uno sciopero generale del lavoro che non aiuta i lavoratori, non serve a impostare una seria politica contro la crisi economica, accentua le divisioni anziché favorire la convergenza di tutto il sindacalismo confederale attorno a una politica riformista e di sviluppo.

Siamo persuasi che ci si trovi in presenza di un errore di portata storica proprio perché non soltanto il nostro Paese, ma l’Europa e il mondo intero sono oggi di fronte alle dimensioni inedite e gigantesche di una crisi che non è solo finanziaria, ma colpisce i settori produttivi, aggredisce i livelli di vita di grandi masse e fa intravedere i sintomi di una recessione senza precedenti.

In nessun Paese industrializzato il sindacato si è sognato di dichiarare uno sciopero generale. In Germania, il governo, le banche, gli imprenditori, i sindacati, le istituzioni, tutti si stanno muovendo come un sol uomo. La risposta alla recessione è la concertazione, con interventi mirati a proteggere il sistema produttivo e l’occupazione nelle grandi, medie e piccole aziende.

Che fare? Come individuare percorsi per attutire il peso e le insidie che gravano sulle spalle dei lavoratori? Non è certo con lo sciopero generale che si affrontano simili circostanze. Per questo la Cil, assieme alla Uil, ha ribadito la sua contrarietà alla iniziativa presa dalla Cgil.

I problemi non si risolvono ricorrendo alla “piazza”. Già si era visto nel passato, quando nei momenti più difficili della storia italiana, il sindacalismo confederale (“tutto” il sindacalismo confederale) seppe trovare la via della coesione dimostrandosi all’altezza di rispondere alle esigenze del cambiamento, introducendo uno spirito riformista con senso di responsabilità nazionale: basti pensare a quanto determinante fu l’apporto sindacale nel secondo dopoguerra, nella buia stagione del terrorismo, della crisi finanziaria negli anni ’90.

La Cisl ha più volte indicato alle forze politiche di maggioranza e di opposizione l’esigenza di unità nazionale che deve prevalere nell’individuare percorsi virtuosi nei frangenti più complicati del governo della vita economica e sociale.

Il “conflitto” è sempre stato e resta il sale della democrazia. Ma niente fa più male alla democrazia della conflittualità a oltranza, della conflittualità fine a se stessa, in una parola del “conflittualismo” inconcludente e dannoso. Non è cavalcando tutti i movimenti, i radicalismi, le spinte estremiste e di dissenso sociale che si possono risolvere i problemi dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani. Questa è una deriva movimentista del sindacalismo che non appartiene alla storia e alla cultura pragmatica e partecipativa della Cisl.

A questo vizio pregiudiziale ci pare corrisponda la decisione presa dalla Cgil: una scelta unilaterale che la vede isolata rispetto all’insieme del mondo sindacale. E questo non è certo un dato che ci conforta poiché solo un sindacalismo capace di trovare grandi obbiettivi comuni su cui marciare è un sindacalismo che può aspirare a contare nei processi di riforma e di governo della democrazia.

In questa straordinaria congiuntura economica, più che mai deve prevalere a tutti i livelli la capacità di dialogo, di negoziato e di concertazione. È un assioma che deve investire l’insieme del Paese, sul piano politico e sociale. Di questo la Cisl è persuasa da tempo e oggi come non mai ritiene necessario ribadire questa esigenza.

Siamo tutti preoccupati, la Cisl in primo luogo, per la caduta della fiducia di imprese e famiglie, per le difficoltà delle categorie più deboli, nel mercato del lavoro. Proprio per questo occorre una più coerente capacità propositiva nella intenzione di governare e non subire la crisi, salvaguardando diritti e benessere nel mondo del lavoro, e allargando le opportunità a quanti finora ne sono rimasti esclusi.

Vogliamo discutere di questo assieme alla Cgil nel momento stesso in cui ribadiamo il nostro “no” a uno sciopero generale che risponde a logiche antagoniste ideologiche e pregiudiziali. E quando critichiamo gli “errori”, non abbiamo la presunzione, né tantomeno l’orgoglio, di condannare “l’errante”.

Anche quando il livello della polemica si alza è sempre necessario confrontarsi, trarre lezioni dall’esperienza, e tenere aperta la via del confronto per indicare vie di uscita possibili, possibili azioni che danno più forza alle ragioni riformiste del sindacato confederale, superando nettamente l’acqua stagnante delle vecchie posizioni conservatrici nell’interesse generale dei lavoratori e del Paese
Raffaele Bonanni, 12 Dicembre 2008, Il Sussidiario

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