martedì 2 dicembre 2008

SKY-FEZZA


Nel 1995 l’allora governo Dini varò un piano relativo agli incentivi da concedere al mondo televisivo digitale che si apprestava a muovere i primi passi nell’etere. Tra le pieghe del provvedimento era previsto che l’I.V.A. fosse commisurata in ragione del 10 per cento sul prezzo di acquisto degli abbonamenti. Da allora in Italia, per ben tredici anni, l’imposta sul valore aggiunto è rimasta praticamente invariata, malgrado il panorama televisivo offerto si sia moltiplicato a dismisura, con centinaia di canali e gli abbonati abbiano raggiunto un numero superiore ai quattro milioni. Un indubbio successo, di gran lunga superiore alle più rosee aspettative. Il programma di incentivo, grazie anche ad un offerta moderata del prezzo di abbonamento ha senza dubbio raggiunto quelle che erano le finalità iniziali. Succede poi che il governo di centrodestra in carica si accorge di questo privilegio concesso ai signori di Sky e propone di riallineare l’imposta al normale indice del venti per cento così come per legge. L’avesse fatto il signor Prodi o qualsiasi altro esponente di sinistra la proposta sarebbe stata salutata come un provvedimento di giustizia sociale, di equità esistenziale quasi; purtroppo, invece, l’idea è venuta ad un signore del centrodestra che risponde al nome di Silvio Berlusconi. Le reazioni? Un cielo che si apre e che lascia cadere i più strumentali strali aventi ad oggetto il conflitto di interessi e il “pauroso” aumento delle tasse. Silvio fa un favore a se stesso, mortifica la concorrenza, è il solito corruttore politico, per dirla alla Di Pietro. Sarà, ma va fatto notare come il provvedimento si inneschi in una fase in cui, per le casse statali, fra progetti di spesa per l’Alitalia, di social cards e di straordinari detassati, inseriti in un ambito di crisi ben più estesa, il colore rosso non è quello della bandiera falce martellata, ma quello della incapienza. L’aumento dell’I.V.A. colpisce essenzialmente l’abbonato, questo è vero, ma a conti fatti si tratta di pochi spiccioli mensili, tra i quattro e i sei euro, in pratica un caffè al giorno. Smontato il primo argomento di strumentalità utilizzato dalla sinistra, quello dell’aumento delle tasse, che come abbiamo visto è irrisorio, anche perché chi si può permettere Sky non è certo colui che vive con diecimila euro l’anno e di caffè al giorno ne prende ben più di uno, vediamo quali argomenti hanno i sinistri circa il conflitto di interessi. Innanzitutto va detto che il provvedimento riporta alla normalità una situazione di cui la sola Sky godeva in regime di monopolio, altro che conflitto di interessi e concorrenza sleale, nel primo caso esso non ha ragione di esistere visto che anche le televisioni digitali di Mediaset verranno colpite dal medesimo aumento, nell’altro si potrebbe ipotizzare che è addirittura Sky ad aver truccato il mercato godendo di un beneficio che altri non avevano. Tutto ciò ovviamente è stato ad arte distorto, senza colpire però nel segno, ovvero, che si può fare a meno di Sky. La sinistra ha nicchiato sulle social cards, dove avrebbe potuto avere seri motivi di disaccordo, si è limitata a definirle propaganda, mentre sulla televisione dei ricchi imbastisce una polemica fuoco e fiamme. Strano paese l’Italia, strana sinistra. Quest’ultima sempre più lontana dalla falce e il martello e più vicina al caviale e champagne, la prima può fare a meno del panettone, ma non delle tette di Ilaria D’Amico. In una sola parola una sky-fezza. ( nella foto: una volta a sinistra si ragionava così)
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