mercoledì 28 gennaio 2009

IL RICORDO DELL'AMICO DI TUTTI


"Da quella notte


di Betlemme, nessuno ha piu' diritto


di essere felice da solo"
don Dino Lucchesi

sabato 24 gennaio 2009

TENSIONI SULLA NASCITA DEL PDL: FORSE SLITTA IL CONGRESSO


TROPPO DISTANTI LE BOZZE DI STATUTO PREDISPOSTE DA FORZA ITALIA E DA AN… SI PARLA DI RINVIO DEL CONGRESSO DOPO LE EUROPEE… AN E’ PER UNA ELEZIONE DEI QUADRI DALLA BASE, CON TESSERE E SEZIONI… FORZA ITALIA PER NOMINE DAL VERTICE E STRUTTURA LEGGERA… E QUALCUNO PENSA A UNA FEDERAZIONE, NON PIU’ A UNA FUSIONE

C’e’ ormai tensione evidente nel PdL: più si avvicina la data del “Congresso costitutivo” o celebrativo che sia, più nascono distinguo e mal celate perplessità. Ne risente indubbiamente anche l’azione di Governo che vede spesso presentate e ritirate proposte in Consiglio dei Ministri, perché invise a qualche componente della coalizione. Ha fatto un primo passo al Senato il progetto del federalismo fiscale, per ora una scatola completamente vuota, spacciata per la panacea di tutti i mali: in realtà, e per fortuna, rappresenta il nulla senza i decreti attuativi di cui si parlerà tra tre anni se va bene. Ma già c’è chi prevede che alla Camera non avrà un percorso facile, anche alla luce della vaghezza che circonda un progetto su cui lo stesso Tremonti non è stato in grado di dire “quanto ci costerà”. Per non parlare delle nuove tasse che alla fine, con il federalismo, graveranno sulle spalle del contribuente italiano e del Centrosud penalizzato dalla divisione della torta. Lo abbiamo sostenuto in tempi non sospetti: il federalismo è una patacca, il tempo ce ne darà ragione. Ma le differenti impostazioni si sono notate sul tema intercettazioni anche tra Forza Italia ed An, segno di un disagio che sta ampliandosi tra le due forze politiche del Pdl, in prossimità del traguardo della fusione. I due staff hanno messo a confronto le rispettive bozze del futuro Statuto e le distanze sono notevoli, An e Forza Italia, al di là della indiscussa leadership di Berlusconi, non trovano una sintesi sulla guida operativa del partito unico. Per gli azzurri ci vuole un solo numero due, un loro uomo (propongono Verdini), per An un due ( La Russa) o tre coordinatori ( un esponente dei partiti più piccoli). I quadri regionali saranno composti da un coordinatore e un vicario, più i vice coordinatori ( nella misura di 70 a 30). Nasce qua il problema: per An dovrebbero essere dalla base, per gli azzuri scelti dal vertice. E ancora: An vuole un partito tradizionale, con tesseramento e sezioni, per fare un minimo di selezione all’ingresso. Forza Italia è invece per una soluzione leggera, con adesioni online o nei gazebo e circoli solo nelle città capoluogo di provincia. La data del Congresso rimane per ora fissata per il 27 marzo alla Fiera di Roma, ma c’è chi inizia a pensare che occorra un supplemento di riflessione “meglio risolvere i problemi adesso che fare un partito in fretta e furia, finendo balcanizzati come il Pd” e chi pensa a tappe intermedie. Per non parlare dei più saggi di entrambi gli schieramenti che fanno tornare di attualità non una fusione, ma una federazione tra partiti, permettendo ad entrambi di mantenere la propria identità politica. Anche perché la base di An ha sempre mal digerito questa “fusione-annessione” da parte di Forza Italia… basta poco per riemergere giustificate perplessità. Ormai si parla di fare slittare il Congresso a dopo le Europee, un modo per prendere tempo e rimeditare il tutto? O solo per ottenere più potere interno?

venerdì 23 gennaio 2009

RESTITUIRE LA PAROLA AI CITTADINI


Tutto il mondo guarda con ammirazione alla straordinaria capacità di rinnovamento della società americana, al grande esempio di democrazia offerto dalle primarie e dal civilissimo confronto tra i candidati alla Casa Bianca. Il carattere, la storia, la cultura di quella società sono stati determinanti. Ma nulla sarebbe stato possibile se la vita pubblica degli Stati Uniti non fosse basata su alcune regole fondamentali, che ne fanno una democrazia aperta, incompatibile con qualunque chiusura dall'alto.
Queste regole sono innanzitutto:
1) le primarie, che affidano ai cittadini la scelta di ogni candidatura;
2) il collegio uninominale maggioritario, che crea un solido legame tra eletto ed elettore;
3) la scelta popolare del governo;
4) il bipartitismo, che porta chiarezza e stabilità;
5) la separazione dei poteri e la reale autonomia delle diverse istituzioni.
Noi siamo invece impantanati in una transizione infinita che ha condotto a un Parlamento nominato dai capipartito. E le dichiarazioni di chi vuole imitare Barack Obama rendono ancora più evidente la distanza. Perché da noi non nascerà alcun Obama e non vedremo grandi cambiamenti se non rompiamo gli schemi che ingessano la politica.Nel momento in cui, per uscire dalla transizione, si guarda a grandi modelli, noi proponiamo di assumere come punto di riferimento proprio la democrazia americana, perché crediamo che sia la strada giusta per rinnovare davvero la nostra vita pubblica. E' una convinzione che accomuna già una larga parte degli italiani. E noi, come liberi cittadini, vogliamo dar voce insieme a loro a questa grande speranza di cambiamento.


BERLUSCONI PER LE AMMINISTRATIVE METTE IN CAMPO KAKA’


I SONDAGGISTI LO HANNO AVVISATO IN TEMPO: CEDERE IL GIOCATORE BRASILIANO AVREBBE CAUSATO UN NOTEVOLE CALO DI CONSENSI… SAREBBE STATA OFFUSCATA L’IMMAGINE DEL PREMIER: DA UNO CHE COMPRA A UNO CHE VENDE… A RISCHIO UN MILIONE DI VOTI, TRA CONTESTAZIONI E CORTEI DI PROTESTA

Silvio Berlusconi ha rischiato più che durante le liti dell’anno scorso con Fini, si è trovato più in difficoltà che a dare retta alle richieste di Bossi, ha trangugiato amaro più che in occasione delle querelles passate con Casini.In realtà aveva dato l’assenso per la cessione al Manchester City del fuoriclasse brasiliano Kakà, anche perché di fronte a un’offerta “esagerata” (120 milioni di euro), qualsiasi presidente avrebbe portato il giocatore in Inghilterra anche in braccio.Ma domenica a San Siro ha capito che la politica ha i suoi costi: contestazioni alla presidenza da parte dei tifosi, striscioni dal tenore “Berlusca interista”, “Meschini e bugiardi: e ora vendete il Milan”, cortei di protesta dei tifosi sotto via Turati, con blocco del traffico.L’immagine vincente del Cavaliere sarebbe stata offuscata: lui è uno che compra, non che vende, lui spende, non incassa. Per il premier, calcio e politica sono sempre stati vicini, in termini simbolici. Il Milan rappresenta da sempre quel modello vincente che Berlusconi vorrebbe applicare al Paese. E’ il Milan, più che Mediaset, ad aver creato l’immagine di successo di Berlusconi ai fini elettorali. Secondo il sondaggista Crespi, l’impatto elettorale della cessione di Kakà sarebbe stato devastante. “A rischio concreto un milione di voti dei milanisti, sui cinque milioni di tifosi rossoneri in Italia”. Probabilmente il premier qualche sondaggio veloce l’ha fatto fare davvero e ha deciso di declinare l’offerta, con grande sconcerto degli inglesi che hanno sostenuto che l’accordo era fatto, ma poi sono intervenuti altri fattori: la politica e l’impatto dell’opinione pubblica.D’altronde non sarebbe la prima volta che Berlusconi decide in campo sportivo anche sulla base dei sondaggi.Nel 2001 aveva in corso due trattative: una politica, con l’Udeur di Mastella, e una calcistica per l’acquisto di Rui Costa dalla Fiorentina.I sondaggisti gli dissero che Rui Costa valeva elettoralmente molto più di Mastella e Silvio acquistò Rui Costa.Chi non ricorda, nel 2000, l’incursione nella conduzione tecnica della Nazionale con le critiche a Zoff, reo di non aver fatto marcare a uomo Zidane?Berlusconi era in piena rincorsa elettorale, Zoff si dimise per protesta, ma l’uscita del Cavaliere era stata consigliata dai sondaggisti che attestavano la rabbia dei tifosi per la sconfitta con la Francia agli Europei.E infine l’affare Ronaldinho, il pallone d’oro, il cui acquisto è stato annunciato da Berlusconi a pochi giorni dal voto per le elezioni politiche, salvo essere perfezionato a luglio, a urne ormai chiuse.Ora Silvio dice che Kakà resta al Milan per una questione di cuore: ” L’avevo lasciato libero di scegliere: lui ha dimostrato che i principi sono più importanti del denaro”…Peccato che il giorno prima Kakà avesse chiesto al Manchester City un aumento del 20% dello stipendio che gli avevano proposto…Berlusconi ora parla di “attaccamento alla bandiera, di riconoscenza verso la società e al suo presidente che l’hanno lanciato, di un ragazzo la cui anima corrisponde al suo viso”.Pensiamo che Kakà semplicemente abbia ottenuto dal Milan quello che gli avrebbe offerto la squadra inglese.A Silvio sarà costata un’integrazione salariale, ma sempre meno che perdere un milione di voti e la sua immagine vincente.

giovedì 22 gennaio 2009

Senato, sì al federalismo fiscale


Il federalismo fiscale supera lo scoglio del Senato e approda alla Camera. Con 156 sì, 6 no e 108 astenuti l'aula di Palazzo Madama ha approvato il ddl Calderoli. Tutto come previsto quindi: a favore del provvedimento si sono pronunciati Pdl, Lega e Mpa mentre Pd e Italia dei valori hanno scelto di astenersi. Contraria solo l'Udc.Una soluzione immaginabile visto lo spirito bipartisan che ha caratterizzato sia l'esame nelle tre commissioni riunite Affari costituzionali, Bilancio e Finanze, sia l'attività in aula. Basta guardare all'atteggiamento tenuto sulle novità che nelle ultime 48 ore sono state apportate al testo: ieri la precisazione sui metodi di composizione della futura bicamerale e l'esonero dal Patto di stabilità interno delle spese in conto capitale; oggi la norma di salvaguardia per le isole nell'ambito della perequazione infrastrutturale e i nuovi articoli su Roma capitale e città metropolitane.In base all'emendamento presentato da Carlo Vizzini (Pdl) e condiviso da Enzo Bianco (Pd), la ricognizione dei gap esistenti, da effettuarsi nel periodo di transizione al federalismo fiscale, dovrà tenere conto «della definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità». Ma viene anche previsto che il fondo debba essere utilizzato non solo per recuperare il deficit infrastrutturale del trasporto pubblico locale, ma anche dei «collegamenti con le isole».I principi Nell'attuare l'articolo 119 della Costituzione il Ddl Calderoli stabilisce la piena autonomia di entrata e di spesa per Regioni ed enti locali. Tra i principi della delega spiccano: il finanziamento integrale di tutte le funzioni pubbliche; la leale collaborazione tra i diversi livelli di governo; il divieto di sottoporre a doppia imposizione lo stesso presupposto d'imposta; il passaggio, per le funzioni fondamentali, dal criterio della spesa storica a costi e fabbisogni standard; armonizzazione di tutti i bilanci pubblici.L'iter Con l'approvazione del Senato il testo del disegno di legge delega passa alla Camera. Una volta approvato definitivamente cominceranno a decorrere i 12 mesi previsti per l'emanazione del primo decreto legislativo, che dovrà avere in allegato la relazione con i numeri. I decreti successivi andranno emanati nei due anni complessivi e altri 24 mesi serviranno per gli eventuali decreti correttivi. La bicamerale A esaminare i decreti sarà una specifica commissione bicamerale composta da 15 deputati e 15 senatori che si avvarrà di un comitato interno formato da sei rappresentanti delle Regioni, due delle Province e quattro dei Comuni.Le funzioni Le Regioni dovranno garantire il finanziamento integrale (a costi standard) dei livelli essenziali delle prestazioni per tutti i diritti civili e sociali. Di questi faranno parte (ma senza carattere di esaustività) la sanità, l'assistenza e le prestazioni e i servizi riguardanti il diritto allo studio oltre che le funzioni amministrative in materia di istruzione svolte dalle Regioni. Il Ddl prevede ora un elenco transitorio delle funzioni attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane e Roma capitale. Che verrà rivisto con la Carta delle autonomie.Il finanziamento Le Regioni potranno contare su: Irap (fino alla sua sostituzione); tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione, riserva di aliquota o addizionale sull'Irpef; compartecipazione regionale all'Iva. Tali fonti dovranno garantire il finanziamento integrale in una sola Regione, per le altre interverrà il fondo perequativo. Nelle funzioni fondamentali il finanziamento sarà integrale; per quelle fondamentali dovrà ridurre le differenze nella capacità fiscali senza alterare la graduatoria. Oltre ai tributi propri e alla possibilità di istituire tasse di scopo, i Comuni potranno contare su tassazione immobiliare (esclusa l'Ici), compartecipazione all'Irpef e all'Iva mentre le Province sull'imposizione legata al trasporto su gomma e compartecipazione a un tributo erariale. Premi e sanzioni Il Ddl prevede premi, anche sotto forma di quote ulteriori di tributi erariali, per le amministrazioni virtuose e sanzioni per quelle meno virtuose che possono arrivare anche all'ineleggibilità. Inserita in Aula l'esenzione dal Patto di stabilità interno per le spese. Il patto di convergenza Introdotto su sollecitazione del Pd questo strumento accompagnerà i territori verso il passaggio ai costi e fabbisogni standard. Ogni anno in Finanziaria bisognerà indicare a che punto è tale passaggio e stabilire come aiutare chi rimane indietro. Previsto poi il potere sostitutivo dello Stato.L'attuazione Il Ddl prevede un periodo transitorio di cinque anni. Sarà uno specifico decreto legislativo a stabilire da quando cominceranno a decorrere.Le clausole di salvaguardia Nell'attuazione della legge bisognerà rispettare il patto di stabilità e di crescita. La legge statale dovrà inoltre fissare un tetto massimo alla pressione fiscale e assicurare che il livello del prelievo complessivo non aumenti neanche nella fase transitoria.

Eugenio Bruno, IlSole24Ore.com, 22 Gennaio 2009

I naufraghi della nave di Tonino


Fa notizia se l’unico consigliere comunale dell’Italia dei Valori di Roma lascia Di Pietro per approdare tra le braccia di Alemanno? In teoria no, visto che si tratta di episodi locali, al massimo da destinare alle pagine di cronaca. Una piccola notizia solo se affrontata in maniera superficiale. In pratica quanto accaduto potrebbe dare il “la” a qualcosa di più grande. Questo perché il tutto succede a Roma, città che meglio di altre rappresenta quel laboratorio politico italiano citato ad ogni occasione buona. E questa è una di quelle. E’ Roma il terreno dal quale partono segnali che non si possono sottovalutare.
All’ombra del Colosseo avvenne lo sdoganamento di Fini, da qui si costruì la candidatura di Rutelli alla Presidenza del Consiglio, fu proprio partendo dal Campidoglio che Veltroni ha tentato la scalata a Palazzo Chigi. Questo consigliere comunale si chiama Gilberto Casciani, uno che a forza di fare politica a livello territoriali è invecchiato. Non è quindi un pivellino. Torna in mente quindi la storiella del topolino pronto ad abbandonare la nave prima che affondi. D’altronde siamo nella città dei Palazzi e certe cose si percepiscono prima che a Montenero di Bisaccia.
Insieme al valoroso Casciani abbandonano l’’Idv anche una piccola truppa di consiglieri impegnati nei municipi e il vice segretario della Federazione Romana. Tutti stufi a quanto pare di tradurre la loro azione politica in mera“ raccolta di firme referendarie”. A Roma, l’Italia dei Valori sta andando in frantumi. Un terremoto, piccolo quanto volete, ma indicativo, molto indicativo sul pessimo momento che vive il partito dell’ex Pm, ed infatti, se alla perdita del piccolo plotone romano ci si aggiungono le ambiguità del patrimonio immobiliare di Tonino, le ombre sui rapporti con l’ex provveditore Mautone e il discutibile operato del figliolo, il risultato è un calo elettorale di circa due punti, come è emerso dagli ultimi sondaggi.
A forza di seminare zizzania antiberlusconiana ecco spuntare nel campo di Tonino della gramigna frutto delle sue malefatte. Ora, considerata la sfrenata passione per l’agricoltura, la semina e i raccolti, a di Pietro non resta che montare sul suo trattore ormai scarburato e dare inizio a questa raccolta molto particolare. Ne avrà di cascine da riempire.


mercoledì 21 gennaio 2009

RENATO CURCIO VUOLE LA PENSIONE DALLO STATO: DAI VOLANTINI DELLE BR ALLA MODULISTICA INPS


IL FONDATORE DELLE BRIGATE ROSSE SI LAMENTA DI ESSERSI VISTA RESPINTA LA RICHIESTA DI PENSIONE… NELLE CARCERI NON HANNO VERSATO I CONTRIBUTI… QUELLA SOCIALE NON GLI SPETTA PERCHE’ LA MOGLIE HA UN REDDITO SUPERIORE AL NECESSARIO… VOLEVA PORTARE LA LOTTA AL CUORE DELLO STATO, HA FINITO PER PORTARE I MODULI ALL’INPS

Di lui aveva scritto Indro Montanelli nel lontano 1984, definendolo “un terrorista che aveva mantenuto la testa alta, la dignità e il coraggio. E’ a questa diversità che ci inchiniamo”.Parlava di Renato Curcio, fondatore dell’organizzazione terroristica “Brigate Rosse”, di cui fu l’ispiratore, più che un attivista, la mente più che il braccio armato.Le Br iniziano ad operare nel 1970, Curcio viene arrestato nel 1974. Famoso il suo documento di rivendicazione dell’omicidio di Aldo Moro, definito “un criminale”.Sarà scarcerato nel 1998, quattro anni prima della scadenza della pena prevista: mai pentito, mai dissociato, colui per il quale “l’omicidio era un principio accettato nella logica della pratica rivoluzionaria”, l’inventore della stella a cinque punte, Renato Curcio ora ha 67 anni e collabora da tempo a una cooperativa “di produzione e di lavoro”, scrive qualche libro e gira l’Italia a tenere conferenze come un “vecchio saggio”.Nulla da obiettare da parte nostra, sono le leggi dello Stato e preferiamo la coerenza a chi si è pentito, godendone i privilegi, un attimo dopo essere stato catturato ( chissà perché nessuno si pente mai prima di essere arrestato…) e diventando delatore dei suoi ex compagni. Ma proprio per questa premessa, leggiamo come una mancanza di dignità e una caduta di stile la polemica che Curcio ha sollevato circa la sua richiesta di pensione che è stata respinta dall’Inps. Abituato a immaginarlo mentre preparava i ciclostilati di rivendicazione delle azioni terroristiche delle Brigate Rosse per “colpire il cuore dello Stato”, ci risulta patetico immaginarlo a compilare la modulistica dell’Inps per richiedere a quello stesso Stato che legittimamente, dal suo punto di vista, avrebbe voluto annientare, il trattamento previdenziale di fine rapporto.Ma come, ci chiediamo, siamo partiti dal “colpiscine uno per educarne cento”, per finire a reclamare le marchette dalle istituzioni? Eh no, basta con questi rivoluzionari del cazzo, un minimo di dignità nella vita ci vuole.Va bene cambiare idea e non riconoscersi più in quelle lotte e in quei metodi, ma quanti “nemici” sono stati ammazzati in nome di quegli ideali e quanti non possono oggi riempire quella modulistica, quante loro famiglie hanno visto la loro vita distrutta, senza aiuti dallo Stato?Loro non avevano fatto una scelta rivoluzionaria, magari stavano dall’altra parte, come i militanti del Msi di Padova, o erano funzionari dello Stato come agenti e magistrati: loro alla pensione non vi sono arrivati, caro Renato. Li avete ammazzati prima.Tu hai scelto di fare il rivoluzionario, hai pagato il tuo debito secondo le leggi vigenti. Ma è giusto anche nelle scelte sbagliate conservare la cosa più importante: la dignità.E chiedere oggi la pensione allo Stato è perdere la propria dignità, rivendicare le marchette per i lavori che facevi in carcere e che non ti avrebbero versato (e che pare l’Inps non riconosca) è concetto degno della peggiore mentalità borghese propria di quegli esempi che avevi combattuto.Ma come, inizi le lotte all’Università di Trento per finire in coda a un Caf per farti compilare la richiesta della social card?Permetti ad uno che ha fatto politica molto a destra, in una scuola dove due studenti di sinistra aderirono poi alle Br, a chi come me ha vissuto a Genova negli anni degli omicidi Coco, Esposito, del rapimento del giudice Sossi, dell’assalto al covo di Oregina, a uno che faceva politica opposta alla vostra, di dirti che nella vita ci vuole un minimo di coerenza e di dignità.Le scelte si pagano, ma quando si perde non ci si genuflette ai vincitori.A destra abbiamo lottato per la sopravvivenza, per l’onore, per la vita, mai per il vitalizio.

Da oggi, Obama: svolta in politica interna, continua l'era Bush nel mondo


L'uomo più potente del mondo, da oggi è un uomo di colore. Tanto basta per capire perché è giusto essere filo americani: solo quel paese è in grado di rivoluzioni pacifiche di questa portata. Solo negli Usa il figlio di una studentessa bianca e di uno studente kenyota può far valere il suo merito, la sua capacità, sino a diventare il Comandante Supremo.Detto questo, il presidente Obama -è una previsione- farà molti cambiamenti nella politica interna statunitense (meno di quanti se ne attendano), ma non si discosterà per nulla dalle grandi linee di politica estera tracciata da Bush.Mesi fa scrivemmo che ad un certo punto i bombardieri americani decolleranno dalle portaerei della flotta dell'Oceano indiano e bombarderanno Busher e le altre centrali atomiche iraniane su ordine di Hillary Clinton.Sbagliammo nelle previsione di Hillary presidente. Ma accadrà lo stesso: Obama darà l'ordine di bombardare Busher e la Clinton, segretario di Stato lo farà eseguire.Questo, per dire che la lotta al terrorismo iniziata da G.W. Bush verrà continuata da Obama secondo linee omogenee.Vi sarà una breve fase di ''dialogo'', sia con la Siria, che con l'Iran. Ma Damasco e Teheran la faranno fallire e allora Obama dovrà decidere.Deciderà come ha già deciso Bush e alle anime belle del mondo, ai pacifisti, a coloro che pensano che sia possibile contrastare il terrorismo con i buoni sentimentei e le belle parole -alla Veltroni- non resterà altro che cercarsi un altro -inutile- mito.

CARLO PANELLA

ORA DIAMO SCANDALO NOI


Le buone parole fanno sempre comodo; ma c'è una cosa fondamentale che i cristiani non debbono dimenticare: la tattica di Gesù era quella di agire prima di parlare. La sua forza era soprattutto questa, in un mondo in cui predicatori e profeti abbondavano: rompere la consuetudine con il gesto, non con le parole. Prima stacco il fico dall'albero, anche se di sabato è un gesto che comporta la condanna a morte; poi ti spiego perché l'ho fatto. Perché questa strategia? I motivi sicuramente erano molti e noi oggi possiamo soltanto a fatica comprenderli tutti. Alcuni però sono evidenti: le parole istituzionali dei commentatori della Sacra Scrittura erano logore, lontane dalla realtà, dai bisogni degli uomini e delle donne, ma soprattutto non colpivano più le orecchie di nessuno, non «scandalizzavano». Ci si abitua a tutto, anche alle buone parole. È necessario che gli scandali avvengano per scuotersi dalla routine dello spirito e Gesù lo sapeva bene. Per questo la sua persona è rimasta così viva e forte attraverso i secoli: le parole si possono manipolare, le azioni no.Noi dunque ci dobbiamo scuotere dalla routine dello spirito, una routine che ci sta uccidendo, sotto le spoglie della bontà, della tolleranza, della carità, perché non corrisponde alla verità. Sopportare è più comodo, è meno faticoso, non richiede coraggio; ma siccome della tolleranza, della carità, della bontà non ne possiamo più, abbiamo l'obbligo di suscitare scandalo gridando che non le abbiamo affatto dentro di noi, che anzi siamo convinti del contrario. L'ipocrisia della «tolleranza» è la peggiore di tutte. Andava bene ai tempi di Voltaire; adesso è priva di senso. Gli immigrati, infatti, se ne infischiano di convertirci: occupano la nostra terra, le nostre piazze, le nostre case e il gioco è fatto. Dunque dobbiamo per forza scendere anche noi ad occupare le nostre piazze semplicemente perché sono nostre e nessuno ha diritto di togliercele. È questo che ci è richiesto per salvare la nostra civiltà: il coraggio delle azioni. Le azioni di Gesù erano violente proprio perché affermavano la verità che nessuno osava dire e sfidavano le buone parole delle istituzioni. Non si tratta perciò di imbracciare bastoni o fucili, ma di difendere i nostri beni; di sfidare le istituzioni che non difendono la nostra verità. Riflettiamoci bene: il Gesù «mielato» non è il vero Gesù altrimenti non lo avrebbero ammazzato. E comunque, anche per chi non è credente, si tratta di un momento decisivo per la sopravvivenza della civiltà occidentale, europea, italiana.La carta dei diritti universali, di cui fanno tanto vanto i nostri governanti, afferma che non si debbono compiere azioni che peseranno sulle generazioni future. Quali azioni peseranno sulle prossime generazioni più di quelle che si stanno compiendo in questi giorni trasformando il nostro Paese in un Paese musulmano? Il clero rivendica l'universalità del messaggio cristiano. Sebbene si tratti di un assunto che l'esperienza storica avrebbe dovuto costringere a rivedere, i sacerdoti sono liberi di pensarlo. Ma i sacerdoti italiani, dato che favorendo l'immigrazione si trovano a operare contro gli interessi e la vita stessa della società e della cultura italiana, debbono onestamente rinunciare alla cittadinanza italiana prendendo quella degli Stati che prediligono, oppure quella dello Stato del Vaticano. Anche per loro si presenterà così il difficile compito di comprendere ex novo il messaggio di Gesù, togliendosi dalla comoda abitudine delle opere di bene con i soldi degli italiani.Si dice che «Dio vomita i tiepidi». A noi deve averci vomitato da un pezzo. (il Giornale) articolo di IDA MAGLI

domenica 18 gennaio 2009

19 GENNAIO 2000 19 GENNAIO 2009


I SOCIALISTI E TUTTI COLORO CHE HANNO A CUORE LE SORTI DELL'ITALIA NON DIMENTICANO: L'UOMO, LO STATISTA, LO STRENUO COMBATTENTE PER L'AFFERMAZIONE DELLA LIBERTA'

sabato 17 gennaio 2009

COMUNISMO/ Jan Palach, un disperato gesto di speranza



«In modo lento ma inarrestabile si ricostituivano i vecchi ordinamenti, però allo stesso tempo era ancora possibile parlare e scrivere liberamente… Si protestava energicamente, eppure si poteva protestare soltanto contro chi non teneva in nessuna considerazione le proteste… La nave stava lentamente affondando, ma ai passeggeri era permesso gridare che stava affondando». Così Havel riassume l’atmosfera seguita all’invasione sovietica della Cecoslovacchia nell’agosto 1968. Nel suo drammatico discorso all’indomani dei colloqui sovietico-cecoslovacchi che sancirono la permanenza “temporanea” delle truppe del Patto di Varsavia sul territorio nazionale, Dubcek aveva parlato della necessità di una «rapida normalizzazione della situazione nel paese e del suo consolidamento», introducendo due termini che avrebbero dato il nome all’epoca che stava per cominciare, nella quale si inserì la tragedia di Palach.
Jan nacque l’11 agosto 1948 in una famiglia di piccoli commercianti di Vsetaty, un paesino a nord di Praga. Il padre, socialista e fervente patriota, gli infuse l’amore per la storia e per gli eroi patri e lo educò secondo principi saldi. Jan fu battezzato nella Chiesa evangelica dei Fratelli Boemi, frequentata dalla madre.
Terminate le superiori, Jan si immatricolò inizialmente alla facoltà di economia, per passare poi a filosofia. Ai compagni dello studentato sembrava «uno un po’ all’antica», che ricordava gli eroi-pionieri dei libri di lettura, ma era capace di creare un clima amichevole e franco. Disordinato e assorto nelle letture, preferiva studiare nottetempo ed evitare la crapula studentesca. Dopo aver vissuto il fallimento degli scioperi dell’autunno ’68, maturò nel giovane la convinzione che era necessaria un’azione forte, capace di ridestare l’opinione pubblica. Agli inizi del gennaio ’69 scrisse una lettera al leader studentesco L. Holecek in cui proponeva di occupare la sede della Radio e da lì diffondere un appello per l'abolizione della censura e per sostenere Smrkovsky, il presidente del parlamento. Holecek non rispose (il foglio finì in mano alla polizia e solo 40 anni dopo è stato ritrovato e pubblicato dallo storico P. Blazek in un libro appena uscito).
Solo a questo punto Jan decise il gesto estremo. Il 16 gennaio scrisse le lettere d’addio firmate “La prima fiaccola”: «Poiché i nostri popoli si trovano sull’orlo della disperazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la popolazione con questo gesto». Seguivano due richieste: «L’abolizione immediata della censura e l’interdizione delle Zpravy», il notiziario filosovietico. Infine l’avvertimento secondo il quale i volontari del fantomatico gruppo (si trattò solo di tattica politica: le “fiaccole” che seguirono non conoscevano Palach) erano pronti a darsi fuoco a scadenze regolari. Poi andò in centro, imbucò le lettere, mangiò un boccone alla mensa studentesca e si diresse verso il Museo Nazionale dove, presso la fontana, si cosparse di liquido infiammabile e si diede fuoco. Mentre lo portavano in ospedale ripeteva che non era un suicida ma di averlo fatto «per protestare contro quel che succede qui, contro la mancanza di libertà di parola e di stampa». Dopo tre giorni morì. Seguirono manifestazioni silenziose e appelli televisivi a non ripetere il gesto, mentre i politici si tennero in disparte, temendo di irritare Mosca. Il corteo funebre si snodò in un silenzio surreale nel cuore della capitale, accompagnato da migliaia di cittadini.
Il gesto supremo e terribile - qualcuno ha detto sproporzionato - di Palach increspò solo superficialmente le acque di un paese che veniva trascinato verso una nuova stagione di gelo: monsignor Halik ha ricordato che «Palach volle richiamare la società all’autocoscienza… . Non mutò nulla, certo: le truppe sovietiche non se ne andarono. Eppure, se cambiò qualcosa, fu la coscienza di coloro che capirono». Così anche durante la normalizzazione ci fu chi non si accontentò del relativo benessere socialista pagato con la resa del proprio io, e continuò a lottare per la “vita nella verità”. Non si trattò più di singole azioni clamorose, ma di un lavoro minuto e costruttivo di gruppetti eterogenei di “dissidenti”. Nel gennaio ‘89, poco prima che alcuni di loro deponessero fiori in piazza Venceslao in memoria di Palach, i portavoce di Charta77 V. Havel e D. Nemcova ricevettero una lettera anonima in cui uno sconosciuto minacciava di darsi fuoco «per i diritti umani, la libertà di espressione e la libertà religiosa». Ha aggiunto la Nemcova raccontando l’episodio: «Un gesto autodistruttivo di questo tipo non sarebbe stato in sintonia con lo spirito che animava Charta77. Certamente facevamo di tutto perché i diritti venissero garantiti e non intendevamo tacere quando venivano violati. Ma se l'autore di quella lettera si fosse realmente dato fuoco, più che la radicalizzazione dei movimenti di opposizione democratica, sarebbe stata una minaccia ai principi che riconoscevamo».

Angelo Bonaguro, Il Sussidiario, venerdì 16 Gennaio 2009

venerdì 16 gennaio 2009

FI – AN (PDL) / RSA CASELLI – CASA DELLA SALUTE“DIRETTORE E SINDACO CONFERMANO:RIDUZIONE DI ASSISTENZA PER GLI ANZIANI


Con linguaggio politichese il Direttore Scarafuggi e il Sindaco Gori confermano i dubbi sollevati dall’opposizione in Consiglio Comunale sul trasferimento degli anziani quarratini, la riduzione dell’ assistenza all’ RSA del Caselli e dei servizi socio sanitari che saranno meno fruibili per la collocazione urbanistica della neo Casa della Salute.” Con queste parole i Consiglieri Comunali Ferranti, Niccolai, MAntellassi (Forza Italia verso il PDL) e Bianchi e Ciottoli (Alleanza Nazionale) replicano al Direttore dell’ASL3 pistoiese e al Sindaco quarratino annunciando contestualmente una mozione urgente in Consiglio Comunale nella quale chiederanno che gli anziani quarratini e dei comuni limitrofi abbiano priorità quando verranno effettuate scelte su chi rimarrà nell’RSA quarratina.
“E’ imbarazzante che si effettui un investimento di 2 milioni di euro per trasferire un presidio sanitario attualmente privo di parcheggi e di spazi idonei per crearne uno nuovo in pieno centro che avrà un potenziale di accesso minore a causa della viabilità presente nel centro cittadino così come affermato anche dal Direttore sanitario (“le due Rsa di Cantagrillo e Le Lame di Agliana sono più vicine e facilmente raggiungibili queste sedi rispetto al Caselli “). Non solo – proseguono i Consiglieri del Popolo della Libertà – si creerà disagio alle famiglie che dovranno andare a trovare i loro cari lontano dalle proprie residenze. E’ indispensabile, quindi, che il Comune assicuri ai nostri 7 anziani concittadini una permanenza nella loro terra d’origine nella quale amici e parenti possano assiduamente dimostrare il loro affetto. E’ una condizione indispensabile di assistenza sociale che non deve e non può venire meno per il loro benessere psico fisico molto più importante di un sussidio per la non autosufficienza che la Regione Toscana, tutt’ora, non ha elargito nelle casse delle Pubbliche Amministrazioni.
Non capiamo e ci opporremo con forza a quella che sembra essere una operazione che porterà alla spesa di soldi pubblici senza un reale beneficio per i quarratini. Infine vi è il problema, non secondario, della possibile perdita dei posti di lavoro sia per le OSS che operano al Caselli e che non potranno essere reimpiegate vista la drastica diminuzione di anziani. Ridiscutere anche di questo aspetto così come quello degli altri significa aver buon senso. Un buon senso – concludono i Consiglieri del Popolo della Libertà - che attualmente la nostra amministrazione sembra abbia smarrito per il solo gusto di non contraddire le decisioni che provengo dalla direzione sanitaria pistoiese”

Rsa Caselli, l’Asl non taglia




«LA SCELTA di trasferire la sede del presidio territoriale di Quarrata nel Caselli è stata presa dall’Azienda USL3 dopo aver valutato altre possibili sedi che non sono risultate idonee alle destinazioni di servizi socio-sanitari. La sede permetterà, al termine dei necessari lavori di ristrutturazione, di trasferire nel Caselli tutte le attività che sono attualmente ospitate nel Presidio di via M. Polo, con spazi più adeguati, di aumentare il numero di ambulatori a disposizione dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta e degli specialisti e di mantenere nel contempo le attività della Radiologia e del centro raccolta sangue gestito dalla locale sezione dell’Avis e la sede della Continuità Assistenziale (ex guardia medica). Sarà inoltre mantenuto e potenziato il Centro Diurno per anziani prevedendo ulteriori attività di socializzazione rivolte agli anziani». Così la direzione dell’Asl interviene per chiarire la situazione sul trasferimento. «Esaminando più in dettaglio la situazione delle persone anziane — prosegue l’Asl — emerge che nella Rsa “Caselli” hanno trovato ospitalità, nel corso del 2008, 51 persone di cui solo 13 residenti nel Comune di Quarrata. Al 31 dicembre erano presenti nella struttura 38 ospiti di cui solo 7 residenti nel Comune di Quarrata. Il Centro Diurno è stato frequentato nel 2008 da 18 anziani tutti residenti nel Comune. Considerando questi dati e tenendo presente che a distanza di pochi chilometri sono presenti le due Rsa di Cantagrillo e Le Lame di Agliana (da certi punti del Comune di Quarrata sono più vicine e facilmente raggiungibili queste sedi rispetto al Caselli ) e che è prossima l’apertura della nuova sede Rsa del Villone a Pistoia che offrirà ambienti di ulteriore maggior confort, l’Azienda ha ritenuto che il progressivo trasferimento degli anziani ospiti del Caselli non porti ad una significativa diminuzione di servizi per la popolazione anziana del Comune di Quarrata. Inoltre — prosegue l’Asl — non esiste praticamente lista di attesa per entrare nelle Rsa e il costituito Fondo per la non autosufficienza, reso disponibile dalla Regione Toscana, potrà permettere lo sviluppo di forme assistenziali diverse rispetto alla residenza». «Tutti questi interventi — conferma il direttore generale Scarafuggi (nella foto) — sono state rappresentate al Comune di Quarrata prevedendo comunque che l’inizio dei lavori di ristrutturazione del Caselli possa avvenire quando siano attivate azioni rivolte ad assicurare il rispetto degli ospiti del Caselli stesso, cercando sempre di migliorare la qualità dell’assistenza loro fornita e altrettanto la loro qualità di vita coinvolgendo in essa familiari e gli amici». I lavori di ristrutturazione del Caselli peraltro non potranno iniziare probabilmente prima di fine 2009-inizio 2010. «Sarà premura sia dell’Usl che del Comune — dice il sindaco Sabrina Gori — controllare che le persone anziane siano assistite nel miglior modo possibile».

DA LA NAZIONE DEL 15 GENNAIO

QUARRATA TRE LETTRICI scrivono alla Nazione CONTRO IL CAMBIO DI DESTINAZIONE


«Perché l’Asl allontana gli anziani dal Caselli?»

Come annunciato da tempo la residenza Sanitaria Assistita di Quarrata, conosciuta come ex ospedale Caselli, cambierà volto: diventerà «Casa della salute» e nuova sede dell’Asl 3 che attualmente opera nei disagiati locali di via Marco Polo. Il cambio di destinazione obbliga a trasferire in altra residenza sanitaria assistita gli anziani presenti, circa una quarantina, in gran parte non autosufficienti: escluso eccezioni, dovrebbero trovar accoglienza nei rinnovati locali del Villone Puccini a Pistoia. A seguito di tutto ciò, tre giovani donne, Annalisa, Cinzia e Patrizia, hanno inviato questa lettera alla nostra redazione. «Ci rivolgiamo a voi de La Nazione perché abbiamo sentito dire che verrà chiuso l’ospizio dell’ospedale Caselli.Se non ricordiamo male, si tratta di una struttura donata alla città di Quarrata dalla famiglia Spalletti, allo scopo di accogliere le persone anziane. Allora per trasferire in locali più idonei l’Asl di via Marco Polo, non si può trovare un altro edificio? Li avete mai guardati questi vecchietti? Forse molti di loro non comprendono quanto gli sta accadendo, ma il “Caselli” è la loro casa e le persone che li assistono sono la loro famiglia». Le tre donne sostengono che gli anziani necessitano di «stabilità», ed aggiungono: «Quarrata ha bisogno di un luogo dove potere invecchiare dignitosamente, anche per chi non ha una famiglia: non c’è veramente più spazio per chi ha dato tanto e adesso non ne può più? Non sappiamo se abbiamo reso l’idea di questo nostro rammarico, ma vi preghiamo di chiedere spiegazioni a chi di competenza, per questa notizia passata un po’ in sordina». Abbiamo messo al corrente della lettera il sindaco Gori, la quale si è dichiarata disposta a chiarire ed illustrare quanto richiesto da Annalisa, Cinzia e Patrizia. Pubblicheremo nei prossimi giorni la risposta. Giancarlo Zampini la Nazione del 13 gennaio

La Annunziata lascia Annozero "Santoro, sei filo-palestinese"


ROMA - La giornalista Lucia Annunziata ha abbandonato la trasmissione Anno Zero, condotta da Michele Santoro su Raidue, accusando il giornalista di aver realizzato una puntata dedicata alla situazione a Gaza, "al 99,9 per cento schierata" a favore dei palestinesi. Santoro ha polemicamente risposto alla Annunziata invitando la collega ad entrare nel merito e discutere di contenuti, evitando alla trasmissione critiche "che vengono avanzate da anni nei nostri confronti". Alla conduttrice di "in mezz'ora", in particolare non sono piaciuti i commenti dei ragazzi della comunità palestinese di milano, intervistati da corrado Formigli. "Non si possono affidare a due ragazzine" questioni così importanti, aveva detto. Lucia Annunziata si è quindi alzata e ha lasciato la trasmissione. Nel finale di trasmissione Santoro si è lasciato andare, quasi gridando, a un attacco alla politica, che "su queste tragedie non fa un tubo", e personale a Veltroni: "Andasse a Gaza invece di andare in Africa". Santoro ha criticato anche il Pse, che "da anni non fa niente... perché non convoca una riunione e decide quali azioni politiche intraprendere?". "Non accetto - ha scandito Santoro - che questi bambini muoiano e i potenti della terra non fanno niente per fermare questo massacro".

http://www.repubblica.it/, 15 Gennaio 2009.


M.O.: GASPARRI, ANCHE ANNUNZIATA SI SMARCA DA FAZIOSITA' SANTORO
Roma, 16 gen. (Adnkronos) - "Se anche Lucia Annunziata ha ritenuto cosi' fazioso Santoro, al punto di dover abbandonare la trasmissione Rai di unilaterale attacco ad Israele, l'azienda pubblica dovrebbe interrogarsi su questo modo di fare informazione. Siamo al fiancheggiamento di ogni estremismo". Lo dichiara il presidente del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. "E la Annunziata, giornalista di sinistra e combattiva, non puo' essere certo sospettata di pregiudizi politici. La verita' e' che alcuni usano la tv per scopi politici che molte volte suscitano indignazione. Facendolo in questo modo danneggiano, per eccesso di faziosita', la parte a cui sono asserviti. La Rai pero' ha il dovere di mettere spazi a disposizione per esporre anche altri punti di vista, oltre a quelli dei fans dei terroristi di Hamas", conclude Gasparri.




16-01-09
M.O.: NIRENSTEIN (PDL), DA SANTORO SOLO DISINFORMAZIONE

(ASCA) - Roma, 16 gen - ''La trasmissione di Santoro di ieri sera sul conflitto fra Israele e Hamas (che non e' il conflitto Israelo-palestinese, come si e' suggerito durante tutto il dibattito) altro non e' stato che una fonte di disinformazione mestatoria e confusiva tesa a creare la criminalizzazione dello Stato d'Israele. Bene ha fatto la collega Lucia Annunziata ad abbandonare un dibattito disinformativo. Il servizio pubblico dovrebbe intervenire per verificare un minimo di livello culturale e morale dei suoi prodotti, pena la trasformazione dell'informazione in incitamento pericoloso e primitivo''. Lo dichiara in una nota Fiamma Nirenstein (Pdl), vicepresidente della Commissione Esteri alla Camera.

Cesare Battisti: rifugiato politico, Brasile nega estradizione. Dura protesta italiana


La Farnesina convoca l'ambasciatore brasiliano:«E' un terrorista, Lula riveda la sua decisione»

RIO DE JANEIRO (14 gennaio) - Il ministro brasiliano della giustizia Tarso Genro ha concesso lo status di rifugiato politico a Cesare Battisti.«E' tradizione del Brasile considerare di concedere lo status di rifugiato politico ogni volta che riteniamo che esiste un fondato timore di persecuzione politica contro un cittadino», ha il segretario del ministero della giustizia a Brasilia. Battisti, per il quale l'Italia ha chiesto l'estradizione, è stato condannato all'ergastolo per 4 omicidi commessi tra il 1977 e il 1979. Espatriato in Francia e poi in Brasile, dove è stato arrestato nel marzo del 2007, ora è rinchiuso nel carcere di Papuda, a Brasilia.Nella sua relazione, citata sul sito del quotidiano brasiliano o Globo, il ministro Tarso Genro parla di parzialità del sistema giudiziario italiano. «Il contesto nel quale sono occorsi i reati di omicidio imputati al ricorrente e le condizioni nelle quali si sono svolti i suoi processi, la sua potenziale impossibilità di ampia difesa di fronte alla radicalizzazione della situazione politica in Italia, come minimo generano profondi dubbi sul fatto se il ricorrente abbia avuto diritto al dovuto processo legale».La Farnesina convoca l'ambasciatore brasiliano. L'ambasciatore del Brasile in Italia, Adhemar Gabriel Bahadian, è stato convocato alla Farnesina dal segretario generale del ministero degli Esteri, ambasciatore Giampiero Massolo, su istruzioni del ministro Franco Frattini. Al diplomatico brasiliano Massolo - informa una nota della Farnesina - ha «in particolare evidenziato lo sdegno unanime di tutte le forze politiche parlamentari nonché dell'opinione pubblica e dei familiari delle vittime, esprimendo forti perplessità sulle motivazioni alla base del provvedimento». Farnesina: Lula riveda la decisione. La Farnesina interviene ed esprime rammarico per la decisione del Brasile ribadendo che Battisti è un terrorista: «Da parte italiana si esprimono viva sorpresa e forte rammarico per la decisione assunta dal ministro della Giustizia brasiliano che, ribaltando quanto stabilito dal Comitato nazionale per i rifugiati, ha accolto il ricorso di Cesare Battisti, un terrorista responsabile di gravissimi delitti che nulla hanno a che fare con lo status di rifugiato politico». È quanto si legge in una nota della Farnesina. «L'Italia rivolge un appello al Presidente del Brasile Lula da Silva affinché vengano esperite tutte le iniziative che possano promuovere, nel quadro della cooperazione giudiziaria internazionale nella lotta contro il terrorismo, una revisione della decisione giudiziaria adottata».Maroni: «Non merita lo status di rifugiato». Di «errore molto grave» da parte del governo brasiliano» ha parlato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, perché Battisti è «un criminale condannato per omicidio, che tutto merita tranne che lo status di rifugiato». «Mi auguro davvero - ha concluso Maroni - che possa ritornare su questa decisione, che è una offesa alle vittime, al sistema giudiziario e al popolo italiano». Alfano: delusione per decisione Brasile. Condanna anche dal Guardasigilli: «Siamo assolutamente delusi e dispiaciuti per la decisione assunta dalle autorità brasiliane su Battisti», ha detto Angelino Alfano, annunciando «nuove iniziative» in tandem con il collega Frattini.

giovedì 15 gennaio 2009

IL GOVERNO FA AUTOGOL: I CRITERI PER IL BONUS ANTICRISI ALLE FAMIGLIE ERANO COMPLETAMENTE SBALLATI


ORA SI SCOPRE CHE L’82% DEI 2,4 MILIARDI DEL BONUS PER LE FAMIGLIE FINIRANNO A PENSIONATI SINGLE E A FAMIGLIE SENZA FIGLI… I CRITERI RELATIVI AL REDDITO ERANO SBAGLIATI…PER RIMEDIARE TORNA IN AUGE IL DUCE CHE AVEVA CREATO GLI ASSEGNI FAMILIARI

Forse qualcuno al Ministero dell’Economia pensava ancora alle famiglie del profondo Sud che mettevano al mondo anche sei figli.Forse nessuno ha fatto presente che distribuire i 2,4 miliardi del bonus per le famiglie in base agli scaglioni di reddito individuati avrebbe dovuto presupporre che la famiglia numerosa in Italia esistesse ancora.Fatto sta che ora, dopo aver approvato la norma, preparato gli stampati e messo in moto il meccanismo, qualche dirigente preciso ha rifatto bene i conti e, come denuncia l’Associazione delle Famiglie numerose, in realtà i nuclei familiari italiani non vedranno un euro.Una gaffe colossale, dopo aver spacciato il provvedimento come un toccasana per le famiglie in difficoltà.Si calcola che ben l’82% dei 2,4 miliardi stanziati finiranno ai pensionati single e alle famiglie senza figli. Un paradosso, una figura barbina che dovrebbe forse far meditare a qualcuno le dimissioni ( e quando mai…).Vi spieghiamo meglio. Il bonus è una misura straordinaria, erogato una volta sola. Non è concesso ai single a meno che non siano pensionati e con reddito da pensione.Il valore del bonus è variabile a seconda dei redditi dell’intero nucleo e della composizione dello stesso. Ecco le cifre elargite. Duecento euro per il nucleo con unico componente e reddito da pensione non superiore a 15mila euro; 300 euro per due persone e reddito entro 17mila euro; 450 euro per nucleo di tre persone e reddito entro 17mila euro; 500 euro per nucleo di 4 persone e reddito entro 20mila euro; 600 euro per nucleo familiare di 5 persone e reddito non superiore a 20mila euro; 1.000 euro per nucleo oltre 5 persone e reddito entro 22mila euro oppure con componenti portatori di handicap e reddito entro 35mila euro.Dove sta l’inghippo? Un esempio: se un pensionato vive da solo e guadagna 15mila euro ha diritto al bonus, se uno invece guadagna 22mila euro e ha 5 figli non prende una mazza.Se ha due figli e guadagna 21mila euro stesso discorso: neanche un euro.Insomma i redditi fissati erano così bassi che pochissime famiglie in Italia vedranno un euro: ottimo risultato anche questa volta.Non solo, andiamo oltre. Un gruppetto di deputati del PdL, guidati dal toscano Gabriele Toccafondi ( nome emblematico per un provvedimento con cui si è toccato davvero il fondo…) si accorge che la norma è completamente sballata e cerca di rimediare con una serie di emendamenti.Nulla da fare: il Governo ammette di aver incasinato i conti ma non è più in condizioni di rimediare: i moduli ormai sono stampati e non si poteva ora fare la figura di togliere i quattrini che molti pensionati poveri ormai contano di ricevere.Come si può rimediare alla figuraccia, si sono chiesti in molti?Ecco che viene in soccorso la buonanima del Duce, sì proprio il cav. Benito Mussolini che in tempi non sospetti e senza grandi economisti al proprio fianco, nel lontano 1934, aveva introdotto, a tutela dei lavoratori, con il contratto collettivo dell’industria, l’istituto degli assegni familiari.In pratica un’integrazione al reddito che prende a riferimento il numero dei componenti del nucleo familiare ( sia figli che genitori).Dopo la riforma di de Mita, tramite il datore di lavoro, lo Stato assegna un’integrazione attualmente a circa 2 milioni di lavoratori con figli a carico, in base a determinati parametri di reddito.Ora il Governo, su imput di alcuni deputati, cercherà di rimediare in parte alla gaffe integrando i fondi degli assegni familiari con la cifra di 350 milioni di euro.Intendiamoci, rispetto ai 2,4 miliardi previsti è una piccola goccia, ma ormai gli altri si sono volatilizzati per altri lidi.Attualmente l’assegno familiare oggi oscilla tra i 30 e 100 euro a lavoratore avente diritto. Facciamo un esempio concreto: il lavoratore con nucleo familiare composto da padre, madre e due figli con un reddito di 16.000 euro, prende attualmente 46 euro in più al mese.Sorge spontanea una domanda: non era meglio integrare questi assegni familiari subito, invece che sbagliare completamente i parametri del bonus anti crisi?Mah… forse si sarà opposto a suo tempo Fini, temendo che la manovra amarcord di ritornare alle idee di Mussolini potesse costituire un pericoloso rigurgito fascista…O più semplicemente qualcuno ha preso lucciole per lanterne, come al solito…

http://rfucile.altervista.org/

mercoledì 14 gennaio 2009

UNIVERSITA’/ Solo atenei liberi e autonomi possono realmente valutare i docenti


Da pochi giorni il decreto Gelmini sull’università è diventato legge. Un testo che prevede alcuni cambiamenti rilevanti, tra cui alcune norme riguardanti la valutazione dei docenti. Tema importante, ma che, secondo Gianni Toniolo, Reserach Professor di economia e storia alla Duke University ed editorialista de Il Sole 24 Ore, deve essere strettamente legato al tema, fondamentale, dell’autonomia.

Professor Toniolo, il testo appena approvato introduce norme che riguardano anche la valutazione dei docenti. C’è però il rischio, come sottolineato in un recente intervento da Giorgio Vittadini, che si valuti solo con criteri quantitativi: cosa ne pensa?

Innanzitutto direi che, per quanto criticabili possano essere, i criteri quantitativi sono comunque meglio di nessun criterio. Detto questo, sono però d’accordo con quanto detto da Vittadini nel momento in cui sottolinea il fatto che i criteri utilizzati nei paesi in cui si fa veramente una valutazione del sistema universitario e dei docenti prevedono una serie di indicatori, alcuni oggettivi e altri soggettivi, che sono molto più complessi e completi della semplice valutazione quantitativa. Ciononostante ritengo comunque che per uno scienziato una valutazione basata su criteri standard oggettivi, come ad esempio il criterio delle citazioni, deve avere senza dubbio un peso molto forte.

Che cosa impedisce secondo lei la presenza di un sistema di valutazione in Italia?

Il fatto che si continua a pensare che questi aspetti possano essere gestiti centralmente. Io sono da tempo convinto che il primo passo da fare sia quello di dare una reale autonomia agli atenei, tramite ad esempio la scelta volontaria di trasformarsi in fondazione, secondo la proposta da me e da Nicola Rossi, cui anche Vittadini ha fatto riferimento. Se le università sono veramente libere, dato contestualmente un sistema premiale forte per cui le università migliori ricevono più risorse, data l’abolizione del valore legale del titolo di studio, dato un sistema di borse di studio che permetta agli studenti di scegliere l’università che preferiscono, allora potrà veramente attuarsi una rivoluzione copernicana del nostro sistema. Rivoluzione per noi; perché ciò di cui stiamo parlando è invece la normalità nei paesi dove le università funzionano bene. In un sistema come questo, allora le università devono essere libere di assumere i docenti che credono, e di valutarli come credono.

L’obiezione a questo è nota: le università assumeranno gli amici degli amici…

Lo facciano pure, e ne paghino le conseguenze. Poste tutte le condizioni di cui sopra, se un’università deciderà di assumere non sulla base del merito ma per altri motivi, con scelte che andranno evidentemente a incidere sulla qualità dell’ateneo stesso, alla fine nel lungo periodo questo comportamento suicida farà sì che l’università si riduca a poca cosa.

Torniamo alla valutazione: è meglio puntare sulla ricerca o sulla didattica, oppure entrambe hanno lo stesso peso?

Anche in questo caso, per rispondere, bisogna rifarsi al discorso dell’autonomia e della differenziazione degli atenei. Io credo, ad esempio, che siano poche le università che possano fare bene delle lauree specialistiche, e ancor meno quelle che possano istituire dei corsi di dottorato competitivi a livello internazionale. Questo non significa distinguere tra università migliori e università peggiori: ci possono essere università che fanno molto bene le lauree triennali, concentrandosi più sulla didattica che sulla ricerca, e che potranno fornire un ottimo servizio al territorio e alla collettività. Prendiamo l’esempio degli Stati Uniti: lì ci sono le research university, e sono poche, dove evidentemente il criterio di valutazione per l’assunzione di un professore si concentrerà al 90% sulla ricerca, e ci si potrà permettere di prendere un grande scienziato anche se è un pessimo didatta. Accanto a queste però ci sono i teaching college, dove si privilegia chi insegna bene. Ma pensiamo anche alle business school: lì la capacità di insegnare è assolutamente decisiva, e i docenti vengono valutati nella didattica non solo corso per corso, ma addirittura lezione per lezione, dagli studenti stessi. Quindi io credo veramente che si debba uscire dall’idea che tutto venga deciso da Viale Trastevere. Altrimenti sembra come quando si faceva il militare: arrivavano le circolari del ministero sul cambio della divisa da estiva a invernale, e doveva valere per chi stava sulle Alpi come per chi stava in Sicilia.

Sempre a proposito di Stati Uniti, visto che lei insegna lì: che cos’ altro dovremmo imparare da quel sistema a livello di valutazione?

Sono tantissime le cose di quel sistema che dovremmo fare nostre. In particolare, sui criteri di valutazione, è importante ricordare che la parola finale per l’assunzione o meno di un professore viene presa da una commissione che comprende tutte le discipline. La pre-valutazione viene fatta dagli esperti delle discipline, ma per assumere un candidato, ad esempio un economista, bisogna convincere tutti (anche giuristi, filosofi e letterari) che l’università, assumendo proprio quell’economista, farà un buon investimento. Tutto questo viene deciso sulla base di dossier molto complessi, secondo i criteri di cui parlavamo all’inizio. Criteri che naturalmente possono variare in base al candidato; è naturale, ad esempio, che la capacità di attrarre fondi potrà essere un criterio molto importante per un biologo o un chimico, meno per un letterato o un filosofo.

Alla luce di tutte queste considerazioni, qual è il suo giudizio sulla politica universitaria del ministro Gelmini, e in particolare su questo decreto?

La Gelmini mi pare che abbia fatto per la prima volta un passo avanti in direzione dell’autonomia. Il documento più importante per capire questo è quello delle “linee guida per il governo dell’università”, che contiene elementi a mio avviso rilevanti. Innanzitutto perché ha il coraggio di dire chiaramente che la nostra università sta andando a catafascio. Il punto problematico è che dovrebbe essere molto più coraggiosa su due aspetti: l’abolizione del valore legale del titolo di studio, e l’abolizione dei concorsi. I concorsi, infatti, non sono riformabili, nemmeno col sorteggio, da cui per altro siamo già passati: i concorsi vanno semplicemente aboliti. Istituiamo una lista di idonei, una libera docenza, e poi le università assumano chi vogliono e lo paghino come vogliono. Dopo di che, come detto prima, si assumano la responsabilità delle loro scelte.

INT. Gianni Toniolo
Il Sussidiario, lunedì 12 gennaio 2009

SOLIDARIETA’ A PIERO SANSONETTI, EPURATO DA RIFONDAZIONE


IL DIRETTORE DI “LIBERAZIONE” MESSO ALLA PORTA DAL NUOVO SEGRETARIO FERRERO… PURO STILE DA PADRONE DELLE FERRIERE O DA ALLIEVO MAL RIUSCITO DI STALIN… PIERO E’ UN COMUNISTA SENZA TESSERA, AVEVA FATTO CON “LIBERAZIONE” BATTAGLIE CORAGGIOSE, ANCHE CONTRO FIDEL CASTRO

A noi piacciono le persone intelligenti, gli avversari onesti, coloro che sanno rimettersi in gioco. Tante cose ci separano da Piero Sansonetti, diverse le idee, diversi i percorsi di vita, diverse le soluzioni. Ma sapere che è stato fatto fuori dalla direzione di Liberazione per sostituirlo con un “commissario politico” che non è neppure un giornalista, ma un sindacalista, fa male a tutta la politica italiana che avrebbe bisogno di esempi e di etica, non di misure da padroni delle ferriere o da allievi mal riusciti di Stalin.Siamo tra quelli che riteniamo che una maggioranza “cresce” se c’è una opposizione che incalza, che una destra è costretta a migliorarsi se c’e’ una sinistra che guarda avanti. E viceversa.Non ci piacciono i monocolori nell’apatia generale, non ci piacciono le dittature in assenza di dibattito.E dal Congresso di Prc, con la nuova segreteria Ferrero, appoggiata in modo determinante dal brezneviano Claudio Grassi, non è certo uscita una sinistra moderna, ma una lotta intestina che non fa solo male alla sinistra radicale, ma a tutta la politica italiana. Esclusi per loro stupidità dal Parlamento, ora si divertono a escludersi a vicenda dai piccoli posti di potere interno, in uno stillicidio di regolamenti di conti quotidiani che fa saltare alla fine solo le poche teste pensanti.Condividiamo poco o nulla di quello che Piero ha scritto su Liberazione in questi anni, ma non si può negare che avesse cercato di farne un giornale aperto al dibattito interno alla sinistra, una bandiera dei “diritti civili e dei gay”, un tentativo di superamento delle vecchie logiche comuniste, con posizioni anche coraggiose contro il regime di Castro a Cuba.In 4 anni alla guida del giornale del Prc, senza aver mai preso la tessera, quasi a segnare la propria indipendenza di giudizio, dopo una vita passata all’Unità.Un direttore amato dalla redazione che scrive: ” Rifondazione Comunista vota la rimozione di Piero Sansonetti, direttore del suo quotidiano. E prima ancora di questo voto, con rara villania, indica chi dovrebbe sostituirlo. Una pagina nera, nerissima, nella storia di una sinistra agonizzante. Da oggi vengono, di fatto, neutralizzati l’intero gruppo dirigente della testata e il collettivo redazionale. Da oggi ci riteniamo imbavagliati”.Il sindacalista Dino Greco, chiamato alla direzione della testata, sarebbe il nuovo garante del “bollettino di partito” riportato sulla retta via del conformismo.Vladimir Luxuria ha dichiarato che “Ferrero è seduto su un regno fatto solo di macerie: un partito spaccato, un direttore epurato, una redazione incazzata”.Il giornale di Curzi e Manisco finisce in mano ai commissari del popolo…Sansonetti ha dichiarato: ” Ho paura di questo pezzetto della sinistra che si imbambola su se stessa e ricade nel vizio dello stalinismo: E’ terrificante. Ho paura di un Paese nel quale non c’è più la sinistra, ma c’è chi pensa che il muro di Berlino fosse una cosa buona e che i diritti civili non contino. La libertà è un valore, anzi il valore più grande. Finché la sinistra non si pianterà nella zucca che questo è il primo punto per la rinascita, che l’uguaglianza non può essere mai così importante da schiacciare un’idea moderna di libertà, saremo perduti.”E alla domanda “Quale futuro vede per Rifondazione?”, Sansonetti risponde: ” Futuro è una parola grossa. I due termini sono incompatibili. O parliamo di futuro o discutiamo di Rifondazione”.In una moderna democrazia riteniamo ci sia sempre bisogno di un pluralismo di informazione, non ci piacciono i Tg di regime.Facciamo un esempio recente: domenica la Moratti ha criticato aspramente la vendita di Alitalia a Cai, definendo l’operazione una “svendita ad amici” che hanno fatto l’affare. Cosa che peraltro noi sosteniamo da tempo, raccogliendo qualche non isolato consenso a destra ( magari in privato).A parte che la Moratti avrebbe potuto dirlo prima di noi e non svegliarsi tardivamente ( e passi…), chissà perché la sera sulle reti Mediaset la notizia non è stata data…A noi le censure non piacciono, a destra. Per questo possiamo dirlo con credibilità anche a sinistra. Per questo l’avversario Piero oggi lo sentiamo umanamente vicino: mai rinunciare a essere se stessi e a dire quello che pensa.Meglio scomodi che proni, almeno il mattino non si hanno problemi a guardarsi allo specchio…

Messaggi atei sugli autobus di Genova: Cui Prodest?


Su quest'autobus di Genova si legge: "La cattiva notizia è che Dio non esiste, quella buona è che non ne hai bisogno".Ed eccovi l'incipit di quest'articolo del Corriere della Sera: "Dopo gli Stati Uniti, l’Australia, l’Inghilterra e la Spagna, anche in Italia arrivano quelli che sono già stati ribattezzati i «bus atei». Precisamente - e non a caso - a Genova, sede arcivescovile del capo dei vescovi italiani Angelo Bagnasco".La campagna "pubblicitaria" è promossa dall'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar).
Commento:
Quando la Chiesa fa riferimento alla vita politica e sociale italiana, molti l'attaccano perché "ingerente" e perché il nostro Stato è laico, dimenticandosi che il Papa rappresenta la Guida religiosa di chi è cattolico ed ha il dovere di indirizzare il proprio "gregge", essendone "pastore". Per i credenti, infatti, il Papa è il rappresentante di Gesù Cristo in terra: insomma, non tende ad interagire con lo Stato (che giustamente deve essere laico), ma sui membri cattolici della società. Ora, il Comune di conseguenza deve essere laico ed a Genova, così come altrove, il trasporto pubblico è tale perché amministrato pubblicamente ed è al servizio del pubblico, cioé di tutti i genovesi. Tra di loro ci sono atei, agnostici e fedeli. Il messaggio dell'Uaar, che non pubblicizza qualcosa che ha una utilità pubblica, pertanto offende una parte dei genovesi, acclamando una verità che non è assoluta, ma è pur sempre una forma di fede: si crede che Dio non esiste. Inoltre, si vuole schernire il credente, sottolineando che avere fede in Dio non giovi a nulla.E' vero: anche altrove sta avvenendo la stessa cosa. Per esempio a Londra: però lì c'è in più un avverbio che ha un valore non di poco conto: "Probabilmente Dio non esiste. Smetti di preoccuparti e goditi la vita". Il grassetto tende ad evidenziare la faziosità del messaggio genovese e gli inglesi ancora una volta dimostrano di avere rispetto per il prossimo. Ed ora qualche domanda: Cui prodest? Perché dovere diffondere un messaggio anti-religioso? Perché all'ateo interessa non tanto esserlo, quanto convincere gli altri ad esserlo pure? Perché dovere annunciare ad un altro di non credere a niente? Sono convinto che non ci sia niente di più bello che avere fede in una vita che non finisce con la morte, piuttosto che essere convinti che ci sia il nulla dopo che il cuore smetterà di battere. In fondo, lo psicologo e sociologo francese Gustave Lebon scrisse: "Se l'ateismo si propagasse, diventerebbe una religione non meno intollerante delle antiche".


lunedì 12 gennaio 2009

Il "dhimmy" Cardinale Tettamanzi


Alcuni giorni fa, in occasione dell’inizio dell’azione militare di Israele tendente ad eliminare i focolai terroristici di Hamas nella striscia di Gaza, una folla di manifestanti musulmani, ignari dell’obbligo che incombe agli ospiti di rispettare il paese nel quale sono ospitati, hanno inscenato una ignobile gazzarra in piazza del Duomo a Milano, così come anche in piazza San Petronio a Bologna. Non contenti di essersi abbandonati alle solite piacevolezze consistenti nel bruciare bandiere israeliane e statunitensi (queste ultime chissà perché in questa circostanza) hanno deciso di dar corso ad una vera e propria provocazione, che di politico non aveva nulla. Essi infatti hanno utilizzato il sagrato delle cattedrali delle due città a mo’ di moschea ed hanno effettuato la loro rituale preghiera senza alcun rispetto per il luogo nel quale si trovavano, di cui non potevano ignorare il carattere quasi sacro, impedendo di fatto l’accesso alla chiesa ai fedeli.Solo l’intervento di alcuni funzionari di polizia, che hanno tempestivamente chiuso le porte del Duomo nel quale si stavano svolgendo delle funzioni religiose, ha impedito che la cosa prendesse una piega ancor più pericolosa e sacrilega, con l’invasione dell’interno della cattedrale.C’è stato un quasi unanime movimento di protesta da parte dei nostri concittadini, e non solo di quelli abitualmente praticanti, nei confronti di questi nostri ospiti, molto spesso tutt’altro che graditi, e che in questa occasione non hanno fatto nulla per rendersi bene accetti. Il Cardinale Tettamanzi, dopo aver mantenuto il più assoluto silenzio per vari giorni, ha avuto il pessimo gusto di non stigmatizzare l’accaduto, facendo capire in sostanza che quanto avvenuto, in fondo, serviva ad avvicinare anche gli islamici a noi, e quindi poteva essere giudicato come un fatto a suo modo positivo. Non va dimenticato che il Cardinale in questione ha più volte perorato la causa dei musulmani sostenendo la necessità che in ogni quartiere della diocesi venga eretta una moschea.Il grave fatto si commenta da sé. Comunque, se il Cardinale crede veramente che questi episodi servano veramente ad avvicinare cristiani e musulmani – rappresentino in definitiva un avvenimento a carattere ecumenico – dovrebbe spingere il suo ragionamento e soprattutto il suo comportamento in modo coerente con le sue convinzioni. Provi dunque, con tutti i paramenti del caso, a tentare di celebrare la preghiera eucaristica cristiana sullo spiazzo antistante qualche moschea in Arabia Saudita od in qualche altro simile paese. Se ci riuscirà avrà avuto ragione lui, se fallirà potremo contare su un martire in più, che non avrà esitato a pagare di persona le sue convinzioni, giuste o sbagliate che siano.Ma non deve giustificare sempre e comunque tutto ciò che i nemici dichiarati della nostra religione fanno o dicono, senza peraltro rendersi conto che le sue parole hanno un sicuro effetto negativo su tanti cristiani, che troveranno nel suo comportamento giustificazione per disertare le cerimonie religiose ed allontanarsi dalla Chiesa.

Gli amministratori del centrodestra sono i più amati dai cittadini


Riportiamo un vasto sondaggio del Sole24Ore sulle pagelle date ai sindaci, presidenti di provincia e governatori, il cosiddetto Governance Poll
A coabitare sul primo scalino del gradimento elettorale, con un favore record tributato loro da tre cittadini su quattro, sono personaggi molto diversi, che mostrano quante siano le applicazioni pratiche possibili del vademecum.C’è quella della new entry in vetta, il sindaco di Verona Flavio Tosi, della Lega, che guadagna 15 punti dall’anno scorso (e 14,3 dal giorno delle elezioni). Sergio Chiamparino, puntuale sul podio in ogni edizione del Governance Poll, che da buon piemontese non abbandona mai l’understatement, ma nemmeno il puntiglio sui temi che gli stanno a cuore. Che anche per lui trovano una sintesi parziale ma efficace nelle parole d’ordine del federalismo e della sicurezza. Sicurezza che domina l’agenda anche dell’altro habitué del medagliere, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Scopelliti, che guida anche la classifica dei capoluoghi per il numero delle ordinanze emanate dopo il decreto Maroni.
Bene anche i sindaci del centrodestra delle grandi città
tra i big sorride anche Letizia Moratti, accreditata del favore del 57% dei milanesi (5% in più rispetto al risultato elettorale), e Gianni Alemanno, che con il 56% guadagna 2,3 punti rispetto al giorno delle elezioni.
In generale
Rispetto ai voti ottenuti nelle urne, il 69% dei sindaci di centrosinistra ha perso consensi, mentre nel centrodestra (35 amministrazioni) le pattuglie di chi è in crescita e di chi perde terreno sono quasi equivalenti (16 a 19).
Malissimo molte amministrazioni di centrosinistra
Ma la «questione morale» e le divisioni politiche hanno colpito più duro; e oltre a travolgere le quotazioni della Iervolino con una picchiata degna della crisi finanziaria, hanno assottigliato drasticamente le fila dei sostenitori di Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e presidente dell’Anci, che perde 11 punti rispetto al consenso ottenuto nelle urne alla vigilia di una partita elettorale che si annuncia insolitamente aperta per il capoluogo toscano. Impossibile misurare il favore di Luciano D’Alfonso, agli arresti nei giorni in cui Ipr Marketing effettuava le rilevazioni, ma è l’intero centrosinistra abruzzese a essere schiacciato dalla vicenda nata con gli arresti dell’ex presidente Ottaviano Del Turco: come sa il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, che si ferma nove punti sotto il risultato ottenuto l’anno scorso, e il suo collega di Chieti, Francesco Ricci, che rispetto al risultato elettorale ha perso per strada il 18,3% dei consensi.Ma il Pd soffre anche lontano dalle Procure, tanto da occupare nove delle dieci posizioni di coda
Passando all’analisi dei governatori, vediamo che i primi 3 posti della classifica sono appannaggio dei governatori di centrodestra Lombardo, Formigoni e Galan. Tiene anche Tondo in Friuli.
Malissimo nel centrosinistra con ben 10 governatori su 11 che hanno un apprezzamento peggiore rispetto a quando erano stati eletti e ben 5 sotto la soglia del 50% con addirittura un Bassolino a un pessimo 39%
Tra i presidenti di provincia ben 8 posizioni sulle prime 10 sono occupate da presidenti di centrodestra con l’exploit della Sicilia. Gli ultimi 13 posti della classifica sono tutti di centrosinistra
In 63 Province (il 59% del totale) il 2009 è anno di elezioni e, con i numeri attuali, in 17 (di cui 15 di centrosinistra) si candidano a cambiare colore. Tra le amministrazioni a rischio c’è anche quella milanese, dove Filippo Penati oscilla sul filo del 50%, mentre il presidente di Napoli, Dino Di Palma, dei Verdi, se tornerà a guidare il centrosinistra alle urne, avrà bisogno di una campagna elettorale molto efficace.
Insomma ottimi risultati per gli amministratori di centrodestra e un complessivo sostegno alle politiche della coalizione in tutta Italia


BETTINO CRAXI: UNO STATISTA CHE NON DIMENTICHEREMO


Il film-documentario su Bettino Craxi è ora disponibile nelle principali librerie e videoteche

domenica 11 gennaio 2009

Unione Europea. Le nuove regole sui pesticidi contestate dai paesi in via di sviluppo


Il parlamento europeo deciderà il prossimo 13 gennaio se adottare nuove regole in materia di pesticidi per uso agricolo che prevedono la messa al bando di numerose sostanze molto usate. 160 scienziati e Campain for Fighting Desease, un cartello internazionale di associazioni impegnate nella lotta alle malattie che affliggono i paesi poveri, stanno cercando di impedirlo e vale la pena conoscere le loro ragioni, esposte in un rapporto di 14 pagine e in un appello rivolto all'Unione Europea. Come accadde negli anni '70 con il Ddt, in base a un principio di precauzione dovrebbero essere proibiti diversi prodotti indubbiamente tossici se usati in quantità esagerate, ma provatamente efficaci in dosi finora ritenute del tutto tollerabili per l'ambiente e per l'uomo. Il provvedimento può interessare fino all'85% dei pesticidi oggi in commercio, estendendosi a molti di quelli impiegati per proteggere l'uomo da insetti nocivi come ad esempio la zanzara anophele. Secondo il rapporto, le nuove regole mancano di base scientifica e impongono standard di sicurezza inutilmente elevati senza tener conto dei danni certi che ne deriveranno.
La prima conseguenza negativa evidenziata è la riduzione della varietà di pesticidi disponibili proprio mentre il rapido svilupparsi di forme di resistenza agli insetticidi richiede una gamma di sostanze chimiche quanto più possibile ampia. In secondo luogo, si ritiene che ne risentiranno la ricerca, che risulterà disincentivata dall'esclusione di una serie di prodotti di base, e quindi lo sviluppo di nuovi preparati.
Ma a preoccupare sono soprattutto le ripercussioni che le decisioni dell'Unione Europea avranno sui paesi poveri. Infatti le regole proposte al parlamento vietano l'impiego di sostanze che costituiscono la base di quasi tutti i 12 insetticidi raccomandati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, impiegati per combattere i vettori di malattie come la dengue, la tripanosomiasi, la febbre gialla e la malaria e per la disinfestazione da pidocchi, scarafaggi, acari, zecche e altri insetti.
Se le regole saranno approvate, l'Unione Europea proibirà l'importazione di prodotti che contengano residui delle sostanze bandite superiori a una quantità stabilita. Per molti paesi africani e asiatici si porrà dunque l'alternativa o di sospendere l'uso dei pesticidi che ne sono composti o di rinunciare a esportare nei paesi europei, come è già successo negli anni scorsi per il Ddt. Ancora nel 2005, benché la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità abbia poi «riabilitato» l'insetticida che più ha contribuito a sconfiggere la malaria nel mondo, l'Unione Europea ha avvertito l'Uganda che se lo avesse impiegato contro la malaria, avrebbe adottato delle restrizioni all'importazione dei suoi prodotti. Poiché l'esportazione in Europa di generi agricoli, principalmente caffè e fiori recisi, rappresenta il 30% dell'economia ugandese, i coltivatori chiesero al governo di sospendere l'uso del Ddt che fu ripreso solo nel 2007: questo in un paese che conta 12 milioni di casi di malaria su una popolazione di circa 30 milioni di abitanti e che si trova al 154esimo posto (su 177 Stati considerati) nell'Indice dello Sviluppo Umano dell'Undp, l'Agenzia per lo Sviluppo delle Nazioni Unite.
Per la stessa ragione, durante una carestia, lo Zambia aveva respinto il dono di diverse tonnellate di mais geneticamente modificato dagli Stati Uniti temendo che il sospetto di un suo uso nell'alimentazione del bestiame inducesse l'Unione Europea a interrompere l'importazione di generi alimentari dal paese.
Tra gli stati più preoccupati per il voto del 13 gennaio vi è il Kenya. Le nuove disposizioni europee potrebbero far perdere esportazioni al paese per un totale di 400 milioni di dollari e mettere sul lastrico le circa 250.000 piccole aziende, 4/5 delle quali con meno di un ettaro di terra coltivata, la cui sopravvivenza dipende dall'esportazione di fiori recisi e di raccolti ortofrutticoli.
L'Unione Europea si vanta di essere «il maggiore fornitore di assistenza allo sviluppo» - ha ricordato il direttore di Campain for Fighting Desease, Philip Stevens, nel presentare il suo rapporto - ma sta per varare misure che elimineranno degli strumenti vitali per sradicare la malaria e ostacoleranno il tentativo di uscire dalla povertà di milioni di coltivatori.

di Anna Bono
mailto:collaboratori@ragionpolitica.it?subject=messaggio

Caro Fazio, parlando con Beppino Englaro si ricordi anche delle famiglie che lottano per la vita


Caro Fazio
lei ha un’occasione unica nella sua trasmissione ospitando Beppino Englaro papà di Eluana. Che non è quella di dare voce agli aspetti legali di chi conduce una battaglia per la morte della propria figlia, o di alimentare ancora una volta la curiosità dell’opinione pubblica sul dove, come e quando questo succederà, né quella di offrire al Beppino Englaro - che rispetto nella sua battaglia anche se non la condivido - un’altra possibilità di ribadire senza contraddittorio argomentazioni contro coloro, laici e cattolici, che invece si battono sul versante opposto.
La moratoria chiesta da Beppino Englaro se vale, deve valere sempre. Essere nella sua trasmissione contrasta con il silenzio che lui stesso si è imposto. Bisognerebbe perciò che lei desse spazio anche a familiari che invece vivono la stessa situazione pensandola diversamente ed avendo un atteggiamento propositivo verso persone che vivono “vite differenti”come Eluana. Lei ha, dunque, l’occasione domani di aprire il versante su una tematica ampia e complessa che deve dare in seguito voce anche alle opinioni delle famiglie che vivono le stesse situazioni, dando valore alle loro storie. Perché la tematica sollevata dal caso specifico pone una serie di domande che potrebbe fare sue e rivolgere direttamente al padre di Eluana. Eccone alcune:
- Non crede che il “diritto al morire” messo così in contrapposizione al “diritto di cura” possa ledere la libertà di tante famiglie che, non la pensano come lei e si vedono negati diritti con tanta difficoltà conquistati?
- Non sente di dover dire una parola di comprensione, conforto, alle tante famiglie che vivono la sua stessa condizione e, mi perdoni se quello che dico le sembra indelicato, sono meno fortunate di lei perché hanno scelto, o sono state obbligate dalle situazioni, a tenere in casa il proprio caro e di accudirlo ed accompagnarlo nella vita quotidiana?
- Non pensa che la sua famiglia sia stata lasciata troppo sola nella gestione di questa grave situazione dopo l’incidente di sua figlia determinando in lei un atteggiamento tanto intransigente?

L'altro ieri è stato l’undicesimo anniversario della morte di mio figlio Luca dopo un lungo coma nel 1998.
In suo nome è nata la Casa dei Risvegli a lui dedicata un centro pubblico postacuto per giovani e adulti con esiti di coma e stato vegetativo. Un luogo che accompagna la famiglia e mette in campo tutte le risorse attualmente possibili per il reinserimento sociale. Mi è capitata proprio ora una foto di Luca ricoverato in Austria, lo sguardo provato, una mano alzata nel tentativo di esprimersi.
E con commozione mi sono detto: «La vita è ingiusta, ma non per questo dobbiamo soccombere…».
Con sincera stima e viva cordialità

Fulvio De Nigris
Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma
Gli amici di Luca
www.amicidiluca.it

sabato 10 gennaio 2009

RAGAZZI "NORMALI" E MORTI


Ho seguito con orrore la cronaca dell’incidente capitato a Civitavecchia. Non solo perché quattro ragazzi sono morti ed uno è in gravi condizioni. Gli incidenti capitano, e, a parte le solite banalità, c’è poco da ragionarci su. Ma il contorno di questa tragedia fotografa una realtà terribile, un disfacimento morale e familiare che fa paura proprio perché “normale”. Cosa dicono i ragazzi che conoscevano i loro sfortunati coetanei? Erano ragazzi normali. Certo che lo erano, ma non è affatto normale tornare a casa alle sei del mattino, dopo avere ballato e sballato con ecstasy e cocaina. E’ ovvio che hanno diritto al divertimento, così come alla trasgressione. Ma è divertente, è trasgressivo, consumare droghe e rincoglionirsi con la musica sparata al solo scopo di ottundere?Sono normali, immagino, anche i loro genitori. Ma non è affatto normale che, a Civitavecchia, diffusasi la notizia dell’incidente, si siano presentati, all’obitorio, trecento genitori che, muniti di fotografia, cercavano di sapere se si fosse trattato dei loro figli. E’ allucinante pensare che a mattina fatta ci siano trecento famiglie che non sono in grado di sapere che fine hanno fatto i figli, molti dei quali minorenni.Ma che razza di famiglie sono, che razza di genitori? Normali. Esatto, normali, ed è questo a spaventare. Che tutto questo sia considerato normale, salvo vestire il lutto perché un incidente, un drogato alla guida, abbia interrotto il fluire della normalità.Ho come l’impressione che sia diventato impossibile dirlo, ma sento il dovere di sottolineare che questa decomposizione sociale, questo trionfo dell’incoscienza, siano normali solo a patto di considerarsi già persi.www.davidegiacalone.it

E Fassino si arrabbiò: “Mi hai rotto i coglioni!”


il PD ogni giorno ci regala incredibili botte di comicità. Oggi è Fassino a essere protagonista della gaffe di giornata
Prima lo avvicina mentre lo sta intervistando Radio Radicale, poi torna alla carica, in pieno Transatlantico, all’uscita dell’aula dopo il voto sul dl Gelmini. Una doppia «scenata» davanti a deputati e giornalisti che ha visto protagonista Piero Fassino infuriato con Pierluigi Mantini.
Il motivo dell’irritazione dell’ex-segretario Ds è un’intervista a in cui Mantini, tra le altre cose, mette sotto accusa la gestione dei conti del Pd. «Nell’intervista - racconta poi Mantini ai cronisti- ho fatto notare che molti circoli del Pd sono in ex sezioni dei Ds. Sezioni che ora sono diventate proprietà delle fondazioni della Quercia. Per questo ci sono circoli del Pd che pagano l’affitto ai Ds. È un paradosso e il mio unico torto è quello di aver detto come stanno le cose».
Fassino non l’ha presa per niente bene: «Hai detto un sacco di cazzate. Non basta dichiarare per andare sui giornali. Io mi sono rotto i c….», grida a Mantini e poi ancora: »Sei un cretino. Ci vediamo in tribunale».
«Era fuori di sè - commenta Mantini - mi dispiace perché da sempre stimo Fassino e forse è ora di rivedere il mio giudizio perché non è possibile dare del “cretino” a una persona solo perché esprime il suo pensiero. Comunque, cercherò Fassino privatamente per farlo ragionare. Quanto alla minaccia di andare in tribunale, in questa fase forse è meglio lasciare stare i tribunali…»
Qui a fianco il link dell’audio degli insulti. Clicca qui
Ammirevole l’aplomb di Mantini che non si lascia intimorire dallo spilungone