lunedì 8 dicembre 2008

Quando le “toghe rosse” epurarono Agostino Cordova per salvare Bassolino


Dunque, come noto, in questi giorni si fa un gran parlare del terremoto giudiziario - forse una nuova Tangentopoli - che starebbe per abbattersi sui politici napoletani del centrosinistra.
Al centro delle indagini della magistratura, una delibera - denominata Global Service - varata dalla Giunta Iervolino (nel 2007), e con la quale si sarebbe dovuto attribuire all’imprenditore Alfredo Romeo (vicino a Francesco Rutelli), una commessa pubblica - del valore di 400 milioni di euro - per la riqualificazione del patrimonio urbano del Comune di Napoli.
Gli inquirenti sospettano che la delibera fosse - in qualche modo - pilotata. Vale a dire ritengono che gli amministratori napoletani abbiano escluso dalla gara altri competitor, per avvantaggiare Romeo.
Per quale motivo?
I magistrati - a quanto riferiscono i giornalisti -, sono convinti del fatto che Romeo avesse siglato un “accordo di spartizione” della commessa pubblica, con alcuni politici locali. In buona sostanza: la società di Romeo avrebbe vinto l’appalto, e poi avrebbe subappaltato alcune specifiche mansioni (per la riqualificazione dell’arredo urbano cittadino), a ditte “vicine” ad alcuni politici locali.
Tutto ciò, stando a ciò che da più di una settimana riferiscono i quotidiani, sarebbe provato da intercettazioni telefoniche disposte dalla Magistratura.
Ora, prima di proseguire è necessario far riferimento ad un aspetto non secondario della vicenda. Vale a dire: alla delibera di cui si è parlato non fece seguito alcuna erogazione di danaro. Cioè la Global Service è rimasta lettera morta, perché il Comune era privo delle risorse economiche necessarie a finanziare le opere di manutenzione, disposte dalla delibera stessa.
Questo è un aspetto non irrilevante della vicenda. In quanto, comunque la si pensi al riguardo, è quantomeno grottesco che da una settimana i giornali parlino dell’imminente arresto di 20/25 amministratori locali, in relazione a presunte irregolarità nell’assegnazione di un appalto pubblico che, nei fatti, mai è stato finanziato, mai si è tradotto in atti concreti, mai ha portato il Romeo ad incassare danari pubblici.
Fin qui, i fatti. Veniamo ai risvolti politici.
Dunque, come dovrebbe essere noto, presa contezza della malaparata - e per salvare il salvabile - Veltroni ha chiesto a Bassolino di dimettersi dal suo incarico, entro Natale.
Il leader del Pd, infatti, teme che lo tsunami giudiziario (di cui si è parlato) possa danneggiare - ancor più - l’immagine del partito in Campania (oggi, sul Corriere della Sera, Maria Teresa Meli parla di un sondaggio che vedrebbe il consenso del Pd al 28%: in drammatica discesa).
Bassolino, però, nemmeno ha preso in considerazione le richieste del suo segretario. Seguitando a fare lo gnorri e a prendere tempo.
Tuttavia, ciò che a me preme sottolineare, in relazione a tutta questa storia, è altro: in questo istante, finanche i politici del centrosinistra, sono concordi nell’affermare che il Pd campano e napoletano, sia da rifondare: perché indubitabilmente corrotto e rappresentato da personaggi discutibili e troppo “disinvolti“ (questo blog lo racconta da 3 anni).
Questa “degenerazione” - è opinione largamente condivisa - sarebbe il frutto di una circostanza: la troppo lunga esperienza di governo di Bassolino. Il quale, magari partito col piede giusto e le migliori intenzioni, avrebbe poi finito per divenire eccessivamente acquiescente nei riguardi di comportamenti opachi, che sotto il suo “Regno” andavano radicandosi.
Insomma: pur di rimanere legato alla poltrona, il già Sindaco di Napoli - e poi Presidente della Giunta Regionale campana - avrebbe finito per tollerare, magari assecondandolo addirittura, il malaffare prodotto dai “suoi uomini”.
E qui, allora, arriviamo alla questione che è al centro di questo post.
Visto che indiscutibilmente, la Napoli di Bassolino ha seguitato ad essere - come nella Prima Repubblica di Gava, Pomicino, Di Donato e De Lorenzo -, la terra del malaffare diffuso, come mai la Magistratura, soprattutto quella inquirente, non ha provveduto - se non con estremo ritardo - a “bonificare” il territorio? Come mai, insomma, la Procura di Napoli ha chiuso un occhio, se non tutti e due, dinanzi a fenomeni di corruzione che si vuole - ora - di così ampia portata?
La risposta è semplice: Napoli non è solo la sua classe politica, probabilmente corrotta. Napoli è un blocco sociale dominante, molto articolato e frastagliato al proprio interno, che contempla soggetti potenti. Che hanno protetto Bassolino, e che hanno ostacolato qualsiasi tentativo di porre argine ai fenomeni corruttivi che, sotto il suo Regno, venivano manifestandosi.
Questo blocco sociale dominante, come s’è già detto, contempla diversi soggetti. Innanzitutto, indiscutibilmente tutti i giornali locali: il Mattino, il Corriere del Mezzogiorno, l’edizione napoletana di Repubblica.
Per più di due lustri, “casualmente”, la direzione di tali testate giornalistiche è stata affidata a persone che avevano militato nel Pci napoletano (o campano): penso, ad esempio, all’ex direttore del Mattino, Paolo Gambescia (che, infatti, poi è divenuto parlamentare dei Ds); e penso, ad esempio, al direttore dell’inserto napoletano del CorSera, l’ex comunista Marco De Marco (ancora in carica).
E’ ben difficile, capirete, che una persona che abbia militato nello stesso partito di Bassolino, in gioventù (e che magari sia ancora di sinistra, il che è più che legittimo), vada poi a parlare male di lui, e denunci gli illeciti che la sua coalizione va facendo.
Ma fin qui, nulla di illegale: i giornali vengono editati e sono di proprietà di privati, i quali possono affidarne la direzione - e ci mancherebbe pure! - a chi pare loro.
Gli editori possono fare ciò che loro più aggrada, e noi cittadini muniti di blog, ci riserviamo il diritto di raccontare - con altrettanta legittimità - queste cose. Perché anche la stampa ha “coperto” le malefatte di Bassolino (e lo ha protetto).
Ma non è finita qui. Perché sul banco degli imputati, non può che sedere anche la Magistratura. Soprattutto una sua “corrente”, che per anni nella Procura di Napoli ha spadroneggiato: Magistratura Democratica. Vale a dire la corrente di sinistra dei togati. Che ha protetto Bassolino, allontanando - negli anni - chi cercava di indagare su di lui.
Com’è avvenuto nel caso di Agostino Cordova, il “Mastino napoletano”.
L’uomo che osò sfidare i suoi colleghi di Procura, ed osò sottoporre ad indagine il Re di Napoli: e per questo motivo fu epurato, in nome della “incompatibilità ambientale” (ad opera dell‘organo “politico“, noto come Consiglio Superiore della Magistratura).
Oggi è stato intervistato dal Corriere della Sera, e ha ripercorso i suoi anni a Napoli:
È una nuova Tangentopoli oppure una Tangentopoli di quei partiti che furono «salvati» negli anni Novanta? (chiede la giornalista).
«Propendo per la seconda ipotesi. Tangentopoli che non è mai scomparsa: è un fenomeno endemico».
Magistratura democratica, la corrente di sinistra, preferì lei a Falcone quando si trattò della Superprocura.
«Non ero una toga rossa ma, per loro, quasi. Avevo persino inquisito Gelli e la P2, oltre alla giunte democristiane calabresi! Quindi venni inteso come un imitatore di Mani Pulite. Ben presto però a Napoli si sono resi conto che quanto a colori politici io sono daltonico».
Cioè?
«Non vedo il colore di chi commette i reati. Lo dissi chiaro nel 1995 quanto ebbi il primo grosso scontro pubblico con il sindaco Bassolino, per due indagini sul Comune. Giornali locali e agenzie di stampa riuscirono persino a storpiare la parola, perché non si capisse quello che avevo detto. Scrissero ”cattolico” e non ”daltonico”».
E poi che successe?
«Andai avanti, non me ne curai molto. Nel 2000, il Csm mi diede atto della ”mia notevolissima capacità professionale”. Che avevo condotto ”la Procura di Napoli a un’efficienza organizzativa mai raggiunta in passato” e che ero ”un magistrato inquirente insensibile a pressioni condizionamenti o attacchi di qualsiasi tipo e genere”. Eppure un anno dopo, partì il trasferimento e fui espulso».
Il «rinascimento di Napoli» finì in mondezza, lei se ne è occupato?
«Negli ultimi tempi, intervenni 18 volte sui rifiuti e nel 2006 chiesi per ben tre volte alla Commissione Antimafia di acquisire le relative note di cui indicai data e numero di protocollo. Non ne ho più saputo nulla».
Oggi è necessaria la riforma della giustizia?
«Sì. Bisogna adeguare organici e strutture alle esigenze di giustizia e non il contrario, evitare amnistie e indulti che rendono eventuali, remote ed aleatorie le pene, mentre quelle di mafia sono immediate ed inappellabili. E riformare il sistema elettivo del Csm, in quanto è contro il principio di trasparenza che gli eletti valutino e giudichino i propri elettori e procacciatori di voti. La riforma potrebbe avvenire con l’estrazione a sorte tra le varie fasce di magistrati, o per designazione del Capo dello Stato».

Camelotdestraideale.it, 7 Dicembre 2008

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