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Da "Il Sussidiario" 10/12
mercoledì 10 dicembre 2008
«Per rispondere alle esigenze delle scuole cattoliche butteremo alle ortiche l’articolo 33 della Costituzione?». Così Miriam Mafai su Repubblica del 6 dicembre. Il dettato costituzionale – e non solo secondo Mafai – escluderebbe dunque in maniera esplicita la possibilità di effettuare finanziamenti alle scuole pubbliche a gestione privata.
È proprio così? L’analisi degli Atti del dibattito svoltosi nell’Assemblea Costituente su quello che è divenuto poi l’articolo 33 della Carta costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948 può aiutare forse a comprendere le reali intenzioni degli autori dell’articolo, e quindi le direttive in esso contenute.
L’assemblea fu teatro di un aspro dibattito tra i rappresentanti dell’area social-comunista, incline ad affidare allo Stato il completo controllo del sistema educativo nazionale, e gli eletti nelle file della Democrazia Cristiana, favorevoli ad attribuire allo Stato una funzione sussidiaria rispetto alla responsabilità educativa delle famiglie.
Nella dichiarazione introduttiva alla sua relazione «sui principii costituzionali riguardanti la cultura e la scuola», il deputato comunista Concetto Marchesi sosteneva che l’intero sistema scolastico nazionale dovesse «appartenere allo Stato»: «tutta la organizzazione scolastica ed educativa», dall’istruzione primaria a quella universitaria, sia pubblica che privata, doveva ricadere «sotto il suo controllo»[1]. I partiti di sinistra non respingevano la possibilità di istituire istituti scolastici privati «sotto la vigilanza ed il controllo dello Stato e nei limiti della legge»[2], tuttavia la DC richiedeva che tale libertà fosse «effettiva», come ebbe a dire Dossetti. Secondo Moro e Dossetti, la semplice concessione del diritto giuridico a istituire enti a gestione privata avrebbe costituito la premessa per un monopolio di fatto della scuola pubblica. Il deputato reggiano precisava che non era intenzione dei democristiani rivendicare per la scuola non statale una posizione di privilegio: si voleva però «escludere una posizione di privilegio e anzi di monopolio per la scuola statale […]. La fiducia lo Stato non se la deve meritare precostituendo una posizione di privilegio per la sua scuola, ma organizzando la scuola in condizioni di libera concorrenza con la scuola privata, e facendo sì che la sua scuola sia migliore di quella privata»[3].
Un accordo tra le parti fu raggiunto sul testo di un emendamento firmato da democristiani, socialisti, comunisti ed esponenti di altri partiti, che sarebbe poi entrato a far parte del testo definitivo della Costituzione come articolo 33. Prima del termine del dibattito, però, venne presentato un ulteriore emendamento firmato da numerosi esponenti dello schieramento laico (dal comunista Marchesi al repubblicano Pacciardi, dal liberale Corbino all’azionista Codignola), che proponeva di aggiungere le parole: «senza oneri per lo Stato».
Dinanzi alle proteste del democristiano Gronchi, alcuni dei firmatari intervennero per precisare l’intento dell’emendamento. Corbino dichiarò: «Noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o non dare». Codignola ebbe a precisare che «con questa aggiunta, non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuole professionali (citate da Gronchi nel suo intervento, NdR): si stabilisce solo che non esiste alcun diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene chiarirlo»[4]. L’emendamento cioè precisava che lo Stato non è tenuto a intervenire, come avverrebbe nel caso in cui la Costituzione sancisse per le scuole a gestione privata un diritto a ricevere sussidi pubblici, ma non escludeva affatto che lo Stato possa erogare dei finanziamenti, se gli organi competenti lo stabiliscono. Se ne dovrebbe desumere che, in base al dettato costituzionale interpretato alla luce delle intenzioni originali dei padri costituenti, non è legittimo definire "incostituzionale" un intervento pubblico a favore delle scuole a gestione privata.
L’emendamento (inserito nel testo definitivo e dunque attualmente in vigore) va perciò letto in tal senso[5]. È quanto sostenuto anche dall’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida nella sua intervista a ilsussidiario.net dello scorso 5 giugno: «Il diritto di creare scuole non dà diritto ad usufruire di finanziamenti pubblici, ma appunto è un diritto che si deve esercitare senza oneri per lo Stato. Il che non significa che lo Stato non possa, in relazione a circostanze concrete, ad aspetti oggettivi, a utilità sociali, disporre e prevedere anche forme di finanziamento facoltativo»[6].
(Francesco Tanzilli)
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