mercoledì 15 ottobre 2008

OKKUPATI A CONSERVARE


di Gabriele Canè

FORSE, bisognerebbe arrivare a una situazione Alitalia. Il commissario, lo spettro del fallimento, le inevitabili convulsioni, e infine la rinascita da una base di ritrovata ragionevolezza. Forse la scuola italiana, i cui bilanci economici ed educativi sono al collasso, avrebbe bisogno di un percorso di questo tipo per uscire dalle sabbie mobili dei rituali e degli slogan. Del nulla, insomma, per entrare nel terreno della concretezza. Che può darsi non sia in tutto o in parte quello della riforma Gelmini, ma che di sicuro non è il penoso, trito, ritornello di «no» ideologico-politici che stiamo ascoltando in questi giorni. Con il solito personale che grida all’attentato alla sopravvivenza, anche se sono troppe le bocche da sfamare con i budget che passa il convento-Italia; con i soliti studenti che «okkupano» i licei perché alle elementari torna il grembiule, o perché i risparmi di domani (e non la voragine debitoria di oggi) uccideranno (chissà perché) la scuola pubblica; con i soliti genitori che fanno le veci dei loro figli troppo piccoli per presidiare un asilo e passare le notti in bianco a deplorare la dittatura di Berlusconi; con le solite autorità che consentono che accada nella scuola ciò che è vietato in ogni altro posto, legalizzando una sorta di extraterritorialità simile a quella degli stadi. Per cui, occupare un ufficio postale o impedirne il regolare funzionamento è un reato immediatamente represso dalle forze dell’ordine, mentre bloccare le lezioni in un liceo per giorni e giorni resta permesso, e anzi nobilmente commentato come momento di crescita culturale e politica. Con una Università che dovrebbe portare i conti e se stessa in tribunale, e che invece grida all’omicidio di Stato per una disastro finanziario auto-provocato con la moltiplicazione delle cattedre e delle clientele, con il fannullonismo (in molti casi) da quattro ore a settimana di lavoro in cambio di un buon stipendio mensile.TUTTA ROBA, come si vede, di un mondo che non c’è più, di una economia finiti, cancellati, soppressi. Ovunque, meno che da noi. Perché è vero che un bene fondante come l’istruzione non può essere ancorato a un puro equilibrio costi-ricavi. Ci mancherebbe. Ma è altrettanto certo, che il deficit finanziario (che in Italia, tra l’altro, non ha certo prodotto un’eccellenza pedagogica, come confermano le classifiche internazionali) non può essere la regola. Tanto meno il deficit educativo, ovviamente, che appare a tutti palese, crescente, enorme. A tutti, tranne agli ultra conservatori delle «notti bianche», e delle «okkupazioni». Quelli che vorrebbero tramandare di padre in figlio la propria cultura. Anche quella dell’ignoranza.

La Nazione, 15 Ottobre 2008

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