domenica 22 febbraio 2009

Passaggio burocratico Franceschini eletto segretario di un partito che non c'è


“Se è notte si farà giorno. Lo dicevano due partigiani come Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini e noi ora lavoriamo per costruire un giorno nuovo. Adesso è la stagione dell’unità". Con queste parole si apre l’interregno di Dario Franceschini, eletto nuovo segretario del Partito Democratico dall’assemblea costituente, sia pure tra mille dubbi e cautele.
Sono gli stessi delegati, a stragrande maggioranza, a decidere in mattinata che la sola risposta possibile dopo l’uscita di scena di Walter Veltroni è quella della nomina immediata di un sostituto con pieni poteri, non dunque di un semplice reggente, che possa guidare il partito nei prossimi mesi e traghettarlo fino al congresso di ottobre. Sui 1229 delegati presenti (ma ne erano stati annunciati quasi 3 mila) sono 1.006 quelli che votano per eleggere subito un segretario, a fronte di 207 no e 16 astenuti. Nel pomeriggio viene completata l’opera con l’assemblea che affida a Franceschini 1047 voti. Ad Arturo Parisi vanno 92 preferenze mentre al voto partecipano 1258 delegati.
Alla prova dei fatti, dunque, quello che era stato presentato come il giorno più lungo per il Pd si traduce in un passaggio quasi burocratico, un rito di stanca sopravvivenza, una recita dal copione scontato. Nella grande sala della Nuova Fiera di Roma manca il pathos delle grandi occasioni, è come se nei giorni caldi del dopo-voto in Sardegna le energie si fossero esaurite e ora si facesse fatica a recuperare la rabbia o perlomeno lo slancio necessario a combattere la grande crisi che attanaglia il partito. L’unico che prova a metterci del pepe è il solito Arturo Parisi ma la sua candidatura e il suo tentativo di includere nel Grande Fallimento della dirigenza del Pd lo stesso Franceschini si infrange sul muro dell’impotenza numerica. E così finisce con la “transizione morbida” ovvero con il passaggio delle consegne dal segretario Veltroni al suo vice e con il partito erede del Pci che si consegna a una guida di stampo democristiano. Nei suoi due interventi, però, Franceschini, comprensibilmente, evita di toccare territori di confine o i nervi più scoperti della convivenza tra diversi, citando come valori fondanti del suo mandato la Costituzione, la Resistenza, la laicità dello Stato e l’unità sindacale.
Franceschini disegna quello che sarà il filo rosso del suo mandato. Che sarà a termine ma non sarà, giura, quello di un mero reggente, di un segretario dimezzato. Magari facile preda "delle oligarchie" del partito. Il neo segretario rassicura che non c’è nessun 8 settembre del Pd: "Non è il momento della delusione, della paura, della fuga ma quello della raccolta delle forze per dare vita a una lunga battaglia civile". Ci tiene Franceschini a fugare lo spettro delle divisioni, dei passi indietro e in ultima analisi della dissoluzione. "Non ho fatto patti, non avrò padrini e protettori, non sono qui per preparare il mio futuro personale". La sala esplode in un applauso. Ma Franceschini avverte: "Non faccio trattative e chi batte le mani adesso non mi chieda domani di nominare qualcuno”. C’è spazio per un excursus sul recente passato, dalle difficoltà del Pd, alle dimissioni di Veltroni ("i suoi errori sono i miei errori") fino Romano Prodi e l'Ulivo di cui rivendica l'esperienza. Per il presente preferisce, invece, imbracciare il copione più antico: quello dell’affondo contro Berlusconi e il suo governo “che nega la crisi e che vuole diventare padrone dell'Italia, sfruttando una ragazza morente per attaccare la Costituzione”. Ma anche alla Chiesa il cattolico Franceschini manda precisi segnali rivendicando la laicità dello Stato. Parole che la sala accoglie con un lungo applauso. E che fanno storcere il naso alla cattolica Paola Binetti che non nasconde il proprio disappunto.
Per quanto riguarda la gestione pura, l’aspirazione è quella di mandare in pensione il partito-liquido e recuperare il radicamento con il territorio. Niente più governo-ombra ma soprattutto “basta con le interviste sulle nostre divisioni - tuona Franceschini - gli scontri si fanno in casa e non sui giornali e sulle televisioni". Infine un omaggio al suo predecessore. "E' tornata la fiducia e la voglia di combattere e se è tornata è grazie a Walter, che nel suo atto d'amore verso il Pd è stato l'unico ad aver capito che serviva una scossa". In una giornata dalle polveri bagnate il protagonista dell’unica contestazione frontale è Gad Lerner, nella sua qualità di membro dell’Assemblea Costituente. «Rischiamo di farci ancora una volta molto male a non parlare con il Paese e a illuderci di trovarci compatti dietro un gruppo dirigente che ci ha portato di sconfitta in sconfitta». Per lui scatta un’ovazione. Chiedendo a gran voce le primarie, Lerner si inoltra nel territorio polemico: «Come mai qui oggi non si presenta Bersani, per quando si annunciano le candidature? A cosa si rinvia la propria assunzione di responsabilità? Già una volta Bersani ha ammesso di aver fatto una grossa cavolata a non presentarsi – sottolinea - non vorrei che oggi la facessimo noi, se ci chiudessimo dentro a un gruppo dirigente che deve essere fortemente ricambiato. Il problema vero del Paese oggi è un’ opposizione che non c’è».
StefanoFolli, L'Occidentale, 22 Febbraio 2009.

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