sabato 18 dicembre 2010

Ma la vera ribellione giovanile deve "mettere i fiori nei cannoni"...


Ribellarsi è giusto. Ribellarsi è sacrosanto.

E se a ribellarsi sono i giovani, in un mondo che sembra non garantire più nulla, che sembra levare i sogni e le speranze, che annega le prospettive e soffoca il respiro, allora è ancora più sacrosanto, ancora più giusto.

E non è un caso che l’onda della protesta lambisca tutta l’Europa. Ribellarsi è giusto. Far sentire la propria voce è un diritto, che si condivida o meno il merito di quelle proteste, di quelle richieste. E se è vero che il dovere della politica è quello di ascoltare queste voci e di capirle, e se è vero che è sulle forze dell’ordine che cade la responsabilità di evitare gli scontri sul terreno della protesta, è altrettanto vero che sono gli stessi giovani a dover dimostrare la forza di non cedere alle provocazioni, da qualunque parte arrivino.

Sono loro a dover declinare quella loro ribellione nel modo giusto. Nell’unico modo giusto.

Perché questa nuova ribellione giovanile non può e non deve essere figlia degli anni settanta, non può e non deve cercare di imitarne le forme.

Che abbia piuttosto la forza di imitare il primo Sessantotto. Che abbia piuttosto la forza di mettere i fiori nei cannoni.E ha ragione Roberto Saviano, che sulla Repubblica di oggi scrive una lettera ai ragazzi e ricorda che “chi ha lanciato un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee”.

Perché questa ribellione deve essere decisa ma sorridente, e non ha bisogno di passamontagna. Non brucia le macchine, non scalfisce le vetrine. Non tira le pietre, non mena, non sfascia. La ribellione vera è coraggiosa e serena, decisa e limpida. La vera ribellione, oggi, è una “forza tranquilla”. La vera ribellione è la partecipazione ottimista, la condivisione, l’abbattimento dei muri. Di tutti i muri.

Per riscrivere insieme un racconto collettivo, una storia migliore, un paese diverso. Anche perché basta poco ormai per far crollare il castello di carte di un potere sempre più solo, sempre più disperato, sempre più incapace, sempre più sordo. Basta poco.

Ma ogni sasso, come scrive Saviano, non fa che rendere le voci della protesta più lontane, più disperate.

E non fa che regalare a quel Leviatano moribondo, aggrappato alle lancette della storia, un soffio di ossigeno in più.

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