giovedì 16 settembre 2010

TERZO POLO? NO, TERZA REPUBBLICA


Non è un caso se si parla insistentemente di Walter Veltroni in uscita dal Pd e in procinto di costituire suoi gruppi parlamentari. Veltroni non è uno qualunque: Veltroni era “l’altro polo” dell’unico vero bipolarismo che l’Italia ha conosciuto: quello delle elezioni 2008. Allora il suo Pd sfidava il Pdl in modo aperto e limpido, in uno scenario politico concentrato su cinque aree in concorrenza (oltre ai due big c’erano l’estrema destra, il centro e l’estrema sinistra).
Il voto ridusse quelle aree a tre, una di governo (Pdl-Lega) e due di opposizione (Pd-Di Pietro e Udc). Dopo due anni è tutto finito. Nel Pd il segretario è stato rapidamente detronizzato, mentre uno dei co-fondatori, Francesco Rutelli, ha cambiato decisamente strada. Nel Pdl Gianfranco Fini ha posto questioni di primo piano, ricevendo in risposta prima anatemi poi procedimenti di espulsione. Risultato: nel Pd, il fondatore pensa a nuovi gruppi mentre uno dei co-fondatori ha già un nuovo partito che guarda al terzo polo.
Nel Pdl, mentre uno dei co-fondatori ha già formato nuovi gruppi, il leader Berlusconi si è in pratica scisso da se stesso, dal suo predellino, dal programma originario di un partito liberale e inclusivo. Si potrebbe ragionare a lungo sul perché in Italia il bipolarismo ha fallito.
Uno splendido articolo di Giuliano Ferrara racconta questa storia: «…Berlusconi, ormai è chiaro, non è mai entrato in politica. Quello era il mio desiderio e di pochi altri scemi. Una anomalia che diventa nuova cultura politica… Ma non era politica. Era davvero una discesa in campo. Era una partita. Quel che più importa, era una partita personale… È chiaro che Berlusconi non ha mai voluto superare la sua anomalia, che è in fondo la sua identità… Berlusconi ha giocato sé stesso nell’avventura, e quando si difende con le unghie e con i denti, fa semplicemente politica, la fa nel modo legittimato dal ruolo che ha interpretato nella storia italiana, dal consenso che riceve, e dalla giusta, sacrosanta resistenza alla trasformazione di questo paese in una caserma o in una dépendance delle procure della Repubblica».
Si può dire meglio di così perché la democrazia italiana non è mai maturata davvero? Da una parte il partito delle procure, che ritiene un certo giornalismo la continuazione della guerra con altri mezzi. Dall’altra, l’uomo che mette in piedi un partito anti-procure per difendere se stesso e magari, ma solo di sfuggita, anche quel po’ di garantismo che sta a cuore agli uomini di buon senso. Ne vien fuori una politica gridata e sofferente, eternamente “ad personam” o “contra personam”, questione di punti di vista. Una politica inchiodata all’odio, perché quando in gioco ci sono le manette, lo sputtanamento e il denaro, non ci sono amore o rispetto che tengano.
La cosiddetta “destra” della Seconda Repubblica è stata soprattutto questo, partito personale più partito del portafoglio nordista, sia pure con i distinguo degli ex An e i sinceri aneliti riformisti dei suoi esponenti socialisti e liberali.
E la cosiddetta sinistra, lucido specchio della destra, è stata un’accozzaglia di forcaioli, massimalisti e tatticisti che ha vissuto come un oltraggio la stagione di Veltroni (“non esistono nemici ma solo avversari”). Ciò di cui è necessario prendere atto è che il bipolarismo così inteso non è finito per ora, ma è finito e basta. Anzi, è utile al paese aiutarlo a tirare le cuoia al più presto. Basti pensare a cosa accade oggi.
Da un lato, come è stato notato, il premier rispolvera i libri sacri dell’anticomunismo, come se l’Urss fosse tra noi (mentre tra noi, se mai, c’è Vladimir Putin).
Dall’altro Bersani evoca una sorta di Cln – l’ennesimo – per liberare il paese da un usurpatore che tuttavia, al contrario di lui, ha il consenso del popolo.
In mezzo… cosa c’è in mezzo?
Ha proprio ragione Massimo Cacciari: “centrista a chi?”.
Davvero si può chiamare “centro” lo sforzo di andare oltre questa perenne barbarie politico-giudiziario-mediatica?
Davvero si può definire “terzo” il polo politico che potrebbe nascere da un cambiamento profondo dei linguaggi e dei metodi di lotta politica?
Davvero si può dire minoritaria e velleitaria un’area che crede nel federalismo solidale, in una giustizia che tuteli le istituzioni ma soprattutto i cittadini e la legalità, nella legge proporzionale e nelle liberalizzazioni dei servizi?
È bene cominciare a chiamare le cose per nome: c’è una parte della politica e della società italiana che, pur rispettando in pieno il governo e il suo mandato popolare, sta cercando di uscire dal pantano di un bipolarismo mai nato e costruire la Terza Repubblica.

Sergio Talamo

1 commento:

Anonimo ha detto...

Chiacchere!!
B.M.